La teoria dell'elettromagnetismo di Lorentz

Cenni biografici

Hendrik Antoon Lorentz nacque ad Arnhem in Olanda nel 1853 e vi compì i primi studi; studiò poi a Leiden, insegnando contemporaneamente nelle scuole serali della sua città natale. Ottenne il dottorato nel 1875 con una tesi sull'ottica fisica; nel 1877 gli fu offerta una cattedra di matematica all'Università di Utrecht e, nello stesso anno, la nuova cattedra di fisica teorica costituita a Leiden. In quel tempo si andava formando la figura professionale del fisico teorico distinta da quella del fisico sperimentale; la cattedra di Leiden, prima in Olanda, era una delle prime in Europa.

Lorentz scelse la cattedra di Leiden e vi rimase fino al 1912, anno in cui prese la direzione del gabinetto scientifico di un museo ad Haarlem, con un laboratorio che fu da lui potenziato. In questo periodo, dopo il 1912, Lorentz proseguì la sua attività di ricerca e mantenne incarichi di insegnamento presso l'Università di Leiden; si occupò inoltre di diversi lavori per il governo del suo Paese, relativi all'istruzione superiore e, nel 1920, del progetto di una diga sullo Zuider-Zee.

Nel 1902 Lorentz aveva ottenuto il Premio Nobel per la Fisica con Pieter Zeeman.

Morì nel 1928 a 74 anni.

Benchè la sua vita sia trascorsa principalmente fra le città olandesi, Arnhem, Leiden, Haarlem, Lorentz ebbe moltissimi contatti internazionali, favoriti anche dalla sua naturale capacità di apprendimento delle lingue. Ricordiamo che proprio alla fine del secolo scorso e all'inizio dell'attuale si istituiscono congressi internazionali per la Fisica; Lorentz fu spesso chiamato a presiederli e a far parte di organizzazioni internazionali per la ricerca scientifica [16].

L'attività di ricerca di Lorentz si può dividere in tre periodi: nel primo periodo, dalla tesi di dottorato del 1875 ai primi anni '90, egli si occupò della spiegazione di diversi fenomeni di ottica mediante la teoria elettromagnetica della luce; uno dei suoi principali interessi fu anche la teoria cinetico-molecolare del calore. Già dal 1875 egli aveva previsto la fecondità di una combinazione fra la teoria molecolare della materia e la teoria elettromagnetica di Maxwell; nei suoi studi su questa seguì però la rielaborazione datane da Helmholtz nei termini di azione a distanza (punto 3 dell'esposizione di Hertz). In questi anni si venne inoltre delineando nella sua opera la chiara distinzione fra l'etere e la materia ponderabile, che sarà poi uno dei cardini del suo programma scientifico.

Nel secondo periodo, dall'inizio degli anni '90 al 1904, l'interesse di Lorentz fu rivolto alla teoria dell'elettrone e all'elettrodinamica dei corpi in moto; egli scelse da questo momento il punto di vista dell'azione per contatto per la propagazione delle interazioni, e fino al 1895 tentò inoltre di derivare le equazioni di base della propria teoria mediante i procedimenti della meccanica analitica. Nel 1892, nel trattato La théorie électromagnétique de Maxwell et son application aux corps mouvants egli espose tale teoria in forma già compiuta ed ebbe particolare successo nel derivare il coefficiente di trascinamento di Fresnel.

Nel 1895, nel Versuch einer Theorie der electrischen und optischen Erscheinungen in bewegten Körpern, Lorentz arrivò infine a postulare le equazioni di base; nel frattempo egli andava rielaborando le equazioni di trasformazione delle coordinate e del tempo e il teorema degli stati corrispondenti, e formulava l'ipotesi di contrazione dei corpi in moto rispetto all'etere.

Nel 1904 uscì il suo articolo Electromagnetic Phenomena in a System Moving with Any Velocity Smaller than that of Light, che precedette di poco quello di Einstein contenente l'enunciazione della teoria della Relatività Ristretta, con la quale fu spesso confrontata la teoria di Lorentz; in questo articolo l'autore espone l'ipotesi di contrazione dell'elettrone e quella di variazione della massa con la velocità. Nonostante questi straordinari risultati Lorentz restò sempre fondamentalmente estraneo alla relatività einsteiniana.

Analisi dei punti fondamentali della teoria seguendo il trattato del 1909

Nel I capitolo di The Theory of Electrons scritto nel 1909 Lorentz presenta i punti fondamentali della propria teoria, introducendo mediante una sequenza logica e nella forma più matura i concetti che aveva elaborato nelle opere precedenti[17]. Dalle scuole dell'azione per contatto Lorentz mutua il concetto di etere come sede delle azioni elettromagnetiche che qui vengono chiamate campi, caratterizzandolo però in modo tale che esso risulta molto diverso dall'etere di altri autori. Dalle scuole dell'azione a distanza Lorentz prende il concetto di carica, anch'esso con caratteristiche precise. La sostanziale originalità di Lorentz sta nel fatto che l'etere e le cariche sono due enti distinti. Il primo è la sede del campo ed è nettamente distinto dalla materia usuale, mentre nelle scuole di Maxwell, Helmholtz, Hertz l'etere era un dielettrico materiale. La carica è prerogativa della materia ponderabile a cui Lorentz assegna una struttura particellare, mutuata, come vedremo, dalle teorie molecolari. Riguardo all'etere era caduta per Lorentz fin dal 1895 ogni pretesa di darne un modello meccanico[18] e ad esso rimane soltanto la proprietà di essere in quiete, nel senso che le sue varie parti sono a riposo relativamente le une alle altre; potremmo dire quindi che conserva il ruolo di riferimento assoluto. Inoltre questo continuo permea la materia anche nelle sue particelle ultime. Ciò che avviene nell'etere è completamente descritto dalle equazioni che esprimono le relazioni fra i campi in esso situati. Riguardo alla carica che ha sede nella materia, Lorentz anche nel 1909 dichiara che alcuni aspetti della teoria sono sottoposti a incertezze, essendo ancora a livello di ricerca. Risulta comunque chiara la sua scelta per un modello particellare e viene giustificata la necessità di introdurre questo modello, così come vengono giustificate le equazioni che legano i campi e le cariche. Da un lato quindi Lorentz adotta i principali concetti delle due scuole, in un certo senso conciliandoli, pur mantenendo il dualismo carica-campo, discreto-continuo. Dall'altro lato però, riguardo alle modalità con cui si trasmettono le azioni, la scelta di Lorentz è, come vedremo, esplicitamente a favore di una azione contigua.

L'etere libero

Nei paragrafi 1 e 3 del I capitolo di The Theory of Electrons Lorentz definisce i campi e le equazioni relative all'etere libero. Mentre nei primi scritti aveva tentato di dare un modello meccanico dell'etere e di ricavarne le equazioni mediante la meccanica analitica, fin dal 1895 aveva rinunciato a tali tentativi, assumendo che l'etere è radicalmente diverso dalla materia usuale, che esso è in quiete, che è dovunque anche all'interno della materia, e postulando le equazioni relative.

Anche qui egli rifiuta in partenza di dare modelli meccanici come hanno fatto Maxwell e altri fisici; stabilite poche assunzioni generali, mostrerà che la teoria si può sviluppare fino a una certa estensione senza bisogno di altre costruzioni concettuali. La parte di teoria che non richiede modelli è quella riguardante l'etere libero, cioè in assenza di materia ponderabile. Definiti il campo elettrico e quello magnetico mediante la forza unitaria causata da un certo stato dell'etere, il ruolo preminente viene assunto dalle equazioni matematiche che, non più dedotte in base a modelli, sono dunque semplicemente postulate, nella forma data da Hertz e Heaviside.

Paragrafo 1

Voi tutti conoscete la teoria di Maxwell, che possiamo chiamare la teoria generale del campo elettromagnetico e nella quale abbiamo costantemente davanti agli occhi lo stato della materia o del mezzo in cui si instaura il campo. Mentre parlo di questo stato, devo subito richiamare la vostra attenzione sul fatto curioso che, sebbene non lo perdiamo mai di vista, non dobbiamo in nessun modo andare oltre nel tentare di formarcene un'immagine e, infatti, non possiamo dire molto su di esso. E' vero che possiamo rappresentare le tensioni interne esistenti nel mezzo che circonda un corpo elettrificato o un magnete, che possiamo pensare l'elettricità come qualche sostanza o fluido, libero di muoversi in un conduttore e vincolato a posizioni di equilibrio in un dielettrico e che possiamo anche concepire un campo magnetico come la sede di certi moti invisibili, per esempio rotazioni attorno alle linee di forza. Tutto questo è stato fatto da molti fisici e Maxwell stesso ne ha dato l'esempio. Però non deve essere considerato come realmente necessario; possiamo sviluppare la teoria fino ad una ampia estensione e chiarire un grande numero di fenomeni, senza entrare in speculazioni di questo tipo. In realtà, a causa delle difficoltà alle quali esse ci conducono, negli ultimi anni c'è stata una tendenza ad evitarle completamente e a stabilire la teoria su poche assunzioni di natura più generale. La prima di queste è che in un campo elettrico c'è un certo stato di cose che fa sorgere una forza che agisce su un corpo elettrificato e che perciò può essere simbolicamente rappresentato dalla forza agente su un tale corpo per unità di carica. Questa è ciò che chiamiamo "forza elettrica", il simbolo per uno stato del mezzo sulla cui natura non ci arrischieremo a fare nessuna ulteriore affermazione. La seconda assunzione riguarda un campo magnetico. Senza pensare a quelle rotazioni invisibili di cui ho appena parlato, possiamo definirlo mediante la cosiddetta "forza magnetica", cioè la forza agente su un polo per unità di potere [magnetico].

Dopo aver introdotto queste due quantità fondamentali, cerchiamo di esprimere le loro reciproche connessioni per mezzo di un insieme di equazioni che poi si applicano a una grande varietà di fenomeni. Le relazioni matematiche perciò sono venute a prendere un posto molto importante, cosicché Hertz andò perfino così lontano da dire che, dopo tutto, la teoria di Maxwell è meglio definita come il sistema delle equazioni di Maxwell. 19

Dopo aver introdotto nel paragrafo precedente le notazioni matematiche di cui si serve, Lorentz scrive nel paragrafo 3 le equazioni per il campo elettromagnetico nell'etere. E' fondamentale in questo caso osservare che la corrente è la corrente di spostamento di Maxwell, ossia esiste dove il vettore spostamento (che per altro nell'etere coincide con la forza elettrica prima definita) varia con il tempo. Mediante calcoli che Lorentz riporta nell'appendice del trattato, si può ricavare l'equazione differenziale per una perturbazione che viaggia con velocità c.

Paragrafo 3

Siamo ora pronti a scrivere le equazioni fondamentali per il campo elettromagnetico nella forma che assumono per l'etere. Indicheremo la forza elettrica con d, ([*]) il medesimo simbolo che serve per lo spostamento dielettrico, poiché nell'etere quest'ultimo ha la stessa direzione e, grazie alla nostra scelta delle unità, lo stesso valore numerico della forza elettrica. Rappresenteremo inoltre con h la forza magnetica e con c una costante che dipende dalle proprietà dell'etere. Un terzo vettore è la corrente c, che ora consiste soltanto nella corrente di spostamento di Maxwell. Questa corrente esiste dovunque lo spostamento dielettrico d è funzione del tempo ed è data dalla formula

Nella forma di equazioni differenziali, le formule del campo elettromagnetico possono ora essere scritte come segue:

div d = 0

div h = 0

La terza equazione, insieme con la seconda, determina il campo magnetico prodotto da una data distribuzione della corrente c. L'ultima equazione esprime la legge secondo cui le forze elettriche sono chiamate in gioco in un sistema con un campo magnetico variabile, cioè la legge di quella che solitamente è chiamata induzione elettromagnetica. Le formule (1), (4) e (5) sono equazioni vettoriali e ciascuna può essere sostituita da tre equazioni scalari riferite separatamente ai tre assi coordinati. Perciò la (l) è equivalente a

e la (4) a

Lo stato di cose che è rappresentato dalle nostre equazioni fondamentali consiste, parlando in senso generale, in una propagazione con velocità c. In realtà, delle sei quantità dx, dy, dz, hx, hy, hz, cinque possono essere eliminate (I) e inoltre per la grandezza che rimane troviamo un'equazione della forma

Questa è l'equazione differenziale caratteristica per una perturbazione dello stato di equilibrio, che viaggia in avanti con velocità c. 20

Lorentz afferma nel seguito di questo paragrafo che le soluzioni dell'equazione differenziale trovata sono una grande varietà. La più semplice corrisponde a un sistema di onde polarizzate in un piano, fra cui, per esempio, un fascio di luce polarizzata in un piano. Altre soluzioni corrispondono alle onde hertziane, altre permettono di studiare fenomeni come la diffrazione della luce attraverso strette fenditure o il suo scattering da piccoli ostacoli.

Questa è quindi l'estensione a cui la teoria giunge sulla base di poche assunzioni generali e senza bisogno di alcun modello per l'etere ed è anche la parte più saldamente stabilita.

Le formule per l'etere costituiscono la parte della teoria elettromagnetica che è stabilita con maggior sicurezza. Sebbene forse il modo in cui sono state dedotte sarà cambiato negli anni futuri, difficilmente si può pensare che le equazioni stesse saranno alterate. E' solo quando veniamo a considerare i fenomeni nei corpi materiali, che siamo condotti a incertezze e a dubbi. 21

La materia ponderabile

Come si è visto, Lorentz conclude il paragrafo 3 prospettando il fatto che, riguardo ai fenomeni nei corpi ponderabili, sorgono alcuni problemi. Nel paragrafo 4 egli presenta brevemente un modo di trattare la questione che, pur avendo aspetti positivi, non lo soddisfa pienamente. Questo approccio, che potremmo definire macroscopico, consiste nello scrivere quattro equazioni formalmente analoghe a quelle per l'etere, introducendo quattro vettori: "la forza elettrica E e la forza magnetica H, la corrente elettrica C e l'induzione magnetica B" e aggiungendo le relazioni fra E e C, fra H e B. Limitandosi al caso di corpi isotropi, e dovendo considerare sia le proprietà dei conduttori che quelle dei dielettrici, questo metodo comporta l'introduzione di tre costanti: la costante dielettrica [[epsilon]], la conduttività [[sigma]] e la permeabilità magnetica u di cui, per ogni sostanza, va determinato sperimentalmente il valore [22],

Nel paragrafo 5 Lorentz afferma che il metodo macroscopico non è soddisfacente se si vuole cercar di capire più a fondo come i fenomeni elettromagnetici avvengono nei corpi ponderabili e quindi, diversamente da quanto ha fatto per l'etere, ritiene necessario costruire, mediante ipotesi, un modello. Il concetto di elettroni, necessario per esaminare il meccanismo delle azioni nei corpi, viene qui introdotto senza commenti come quello di "particelle estremamente piccole, cariche di elettricità" (quindi di entrambi i segni).

Vedremo come nei paragrafi seguenti esso sarà sottoposto ad analisi critica e completato nel suo significato. Quanto Lorentz afferma in questo paragrafo è sufficiente per costruire un modello di corpo conduttore: in esso parte degli elettroni sono liberi e possono quindi essere spostati da una forza elettrica nelle due direzioni, secondo il segno della carica, dando luogo, per esempio in un filo metallico, a una corrente di conduzione. Si può anche costruire un modello di dielettrico: in esso gli elettroni possono muoversi attorno a posizioni di equilibrio; una forza elettrica esercitata dall'etere provocherà uno spostamento, il quale a sua volta provocherà una forza di richiamo di tipo elastico. La corrente di spostamento di Maxwell consiste allora, nei corpi non conduttori, nel moto oscillatorio degli elettroni così provocato, insieme con la variazione temporale dello spostamento dielettrico nell'etere stesso.

Paragrafo 5

... questa teoria generale, in cui esprimiamo le proprietà peculiari dei diversi corpi ponderabili semplicemente attribuendo a ciascuno di essi particolari valori della costante dielettrica [[epsilon]], della conduttività [[sigma]] e della permeabilità magnetica u, non può più a lungo essere considerata soddisfacente, quando desideriamo gettare uno sguardo più profondo nella natura dei fenomeni. Se vogliamo capire il modo in cui le proprietà elettriche e magnetiche dipendono dalla temperatura, dalla densità, dalla costituzione chimica o dallo stato cristallino delle sostanze, non possiamo essere soddisfatti semplicemente con l'introdurre per ciascuna sostanza questi coefficienti, i cui valori vanno determinati sperimentalmente; saremo obbligati a ricorrere ad alcune ipotesi sul meccanismo che sta al fondo dei fenomeni. Da questa necessità si è stati condotti al concetto di elettroni, cioè di particelle estremamente piccole, cariche di elettricità, che sono presenti in numero enorme in tutti i corpi ponderabili e mediante la cui distribuzione e i cui moti cerchiamo di spiegare tutti i fenomeni elettrici ed ottici che non sono confinati nell'etere libero. Sarà mio compito trattare alcuni di questi fenomeni in dettaglio, ma una volta per tutte posso dire che, secondo le nostre vedute moderne, gli elettroni in un corpo conduttore, o almeno una certa parte di essi, sono supposti in uno stato libero, cosicché essi possono obbedire a una forza elettrica da cui le particelle positive sono guidate in una direzione e gli elettroni negativi in quella opposta. Nel caso di una sostanza non conduttrice, al contrario, assumeremo che gli elettroni sono legati a certe posizioni di equilibrio. Se, in un filo metallico, gli elettroni di un tipo, per esempio quelli negativi, viaggiano in una direzione, e magari quelli di tipo opposto nella direzione opposta, noi abbiamo a che fare con una corrente di conduzione, tale da poter condurre a uno stato in cui un corpo connesso a una estremità del filo abbia un eccesso di elettroni positivi o negativi. Questo eccesso, la carica complessiva del corpo, sarà nello stato di equilibrio e se il corpo è costituito da una sostanza conduttrice, si troverà in uno strato molto sottile alla sua superficie. In un dielettrico ponderabile ci può analogamente essere un moto degli elettroni. In realtà, quantunque pensiamo che ciascuno di essi abbia una posizione di equilibrio definita, non li supporremo completamente immobili. Essi possono essere spostati da una forza elettrica esercitata dall'etere, che pensiamo penetri tutta la materia ponderabile, un punto su cui presto dovremo tornare. Ora, però, lo spostamento darà luogo immediatamente a una nuova forza da cui la particella è spinta indietro verso la sua posizione originale e che possiamo perciò distinguere appropriatamente [chiamandola] con il nome di forza elastica. Il moto degli elettroni nei corpi non conduttori, come vetro e zolfo, mantenuto dalla forza elastica entro certi confini, insieme con il cambiamento dello spostamento dielettrico nell'etere stesso, ora costituisce quello che Maxwell chiamava la corrente di spostamento. Una sostanza in cui gli elettroni sono spostati in nuove posizioni è detta polarizzata elettricamente. 23

Nel seguito del paragrafo Lorentz analizza alcuni fenomeni mediante il modello dato per la materia ponderabile e mostra come in questo modo si può spiegare l'emissione di onde elettromagnetiche, fra cui la luce e la radiazione termica. Si può rendere conto anche dell'assorbimento di luce e di calore, della rifrangibilità della luce, della doppia rifrazione e della polarizzazione circolare. Considerando il moto degli elettroni nei corpi metallici si può spiegare il motivo per cui i metalli sono allo stesso tempo buoni conduttori di calore e di elettricità. In questo modello della materia ponderabile si notano sorprendenti somiglianze con modelli attuali di struttura della materia; è però necessario rilevare le sostanziali differenze. Lorentz, come vedremo, si limita ad estendere al campo dell'elettricità il modello delle teorie molecolari, affermate nella chimica e in alcuni rami della fisica. Gli elettroni sono particelle cariche tanto positive che negative, e oltre ad essi nella materia ci sono particelle non cariche dette molecole.

Questi concetti, però, non sono definitivamente e chiaramente stabiliti: la carica potrebbe anche essere un attributo essenziale delle particelle ultime della materia e le forze essere tutte di tipo elettromagnetico. In un paragrafo successivo ([[section]] 34) Lorentz esplicitamente dichiara lo stato di incertezza riguardo alla struttura della materia e delle forze; egli quindi sceglie le ipotesi minime di base che gli permettono di procedere.

In un senso più generale, io vorrei adottare una teoria elettromagnetica della materia e delle forze tra particelle materiali. Riguardo alla materia, molte ragioni indicano la conclusione che le sue particelle ultime portano sempre cariche elettriche e che queste non sono puri accessori, ma elementi essenziali. Introdurremmo un dualismo che non mi sembra necessario, se considerassimo queste cariche e ciò che ci può essere inoltre nelle particelle come [enti] completamente distinti l'uno dall'altro.

D'altra parte, credo che ogni fisico si senta attratto dal punto di vista che tutte le forze esercitate da una particella su un'altra, tutte le azioni molecolari e la gravità stessa, sono trasmesse in qualche modo dall'etere, cosicché la tensione di una corda tesa e l'elasticità di una sbarra di ferro devono trovare la loro spiegazione in ciò che avviene nell'etere fra le molecole. Perciò, dal momento che difficilmente possiamo ammettere che uno stesso mezzo sia capace di trasmettere due o più azioni mediante meccanismi completamente diversi, tutte le forze possono essere considerate come connesse più o meno intimamente con quelle che studiamo nell'elettromagnetismo.

Al presente, però, la natura di questa connessione ci è interamente sconosciuta e dobbiamo continuare a parlare di molti tipi di forze senza infine essere capaci di spiegare la loro origine. Saremo anche obbligati a sottoporre gli elettroni negativi a certe forze, riguardo al cui modo di azione siamo all'oscuro. Tali sono, per esempio, le forze da cui in un dielettrico ponderabile gli elettroni sono ricondotti alle loro posizioni di equilibrio, e le forze che entrano in gioco quando un elettrone che si muove in un pezzo di metallo subisce un cambiamento nel cammino per un urto contro un atomo del metallo. [24]

Nel paragrafo 6 Lorentz analizza diversi modi di procedere nella ricerca. Uno consiste nell'adoperare come guida i principi e i modelli dati dalle leggi della termodinamica, che costituiscono dei pilastri per la scienza del suo tempo. Oppure la ricerca si può limitare a descrivere semplicemente mediante strutture matematiche i fenomeni e le relazioni fra essi. Entrambe le vie sono in un certo senso collaudate e perciò viste favorevolmente dalla maggior parte dei fisici. Lorentz è invece profondamente convinto del potere euristico delle teorie molecolari e menziona sia i risultati teorici (teoria cinetica dei gas, delle soluzioni diluite, dell'elettrolisi, della genesi delle correnti...), che i risultati sperimentali (J.J. Thomson), raggiunti grazie ad esse. L'applicazione di una teoria molecolare al campo dell'elettromagnetismo nella materia ponderabile costituisce quindi un aspetto concettualmente basilare nella struttura generale della teoria di Lorentz ed è al tempo stesso una scelta di avanguardia.

Paragrafo 6

Questo rapido esame basterà a mostrarvi che la teoria degli elettroni deve essere considerata come un'estensione al dominio dell'elettricità delle teorie molecolari ed atomistiche che hanno dato prova di così grande utilità in molti rami della fisica e della chimica. Riguardo a queste si tende a vederle in modo sfavorevole da parte di alcuni fisici, che preferiscono incamminarsi verso regioni nuove e inesplorate seguendo quelle grandi vie maestre della scienza che noi abbiamo nelle leggi della termodinamica, oppure che arrivano a bei risultati importanti, semplicemente descrivendo i fenomeni e le loro mutue relazioni per mezzo di un sistema di equazioni adatte. Nessuno può negare che questi metodi hanno in se stessi un certo fascino e che, seguendoli, noi abbiamo la sensazione di camminare su un terreno sicuro, mentre nelle teorie molecolari i fisici troppo avventurosi spesso corrono il rischio di perdere la via e di essere delusi da qualche falsa prospettiva di successo. Non dobbiamo dimenticare, d'altra parte, che queste ipotesi molecolari possono vantare alcuni risultati che non potrebbero mai essere stati raggiunti per mezzo della pura termodinamica, o per mezzo delle equazioni del campo elettromagnetico nella forma più generale, risultati che sono ben noti a tutti coloro che hanno studiato la teoria cinetica dei gas, le teorie delle soluzioni diluite, dell'elettrolisi e della genesi di correnti elettriche per mezzo del moto di ioni. La fecondità di queste ipotesi non può essere negata neppure da coloro che hanno seguito le splendide ricerche sulla conduzione dell'elettricità nei gas di J.J.Thomson (II) e dei suoi col laboratori. 25

Lorentz si propone nel paragrafo 7 di scrivere le equazioni del campo in presenza di cariche apportando le modificazioni più semplici alle equazioni già postulate per l'etere libero. Per far questo riesamina criticamente il concetto di carica e lo completa mediante assunzioni successive. Poiché l'etere pervade la materia anche all'interno delle particelle e rimane sempre a riposo anche quando queste ultime si muovono, ci si può fare un'idea accettabile della situazione pensando che le particelle cariche siano una modificazione locale dell'etere. Questa concezione della carica, insieme con l'ipotesi di continuità della stessa, è sufficiente per scrivere le equazioni che legano i campi e che si riducono a quelle scritte in precedenza nel [[section]] 3 in tutti i punti dell'etere in cui non sia presente una densità [[rho]] di carica. Viene quindi modificata la prima delle quattro equazioni del [[section]] 3 e nella terza la corrente c è ora costituita dalla corrente detta di conduzione, che consiste nella variazione temporale dello spostamento dielettrico sommata con la corrente di convezione (che è uguale alla densità di carica per la sua velocità). Le quattro equazioni sono microscopiche in quanto si riferiscono a una porzione elementare di spazio in cui si ha una densità [[rho]] di carica. Lorentz insiste sul fatto che per scrivere queste equazioni non è stato necessario fare affermazioni specifiche sulla natura della carica. La prima di esse può essere anzi interpretata come definitoria di [[rho]] mediante il campo d: I'entità fondamentale quindi può essere l'etere con le sue perturbazioni e la carica può essere uno stato dell'etere legato matematicamente al campo d mediante tale equazione.

Paragrafo 7

Ora devo presentarvi le equazioni che costituiscono il fondamento della teoria matematica degli elettroni. Permettetemi di introdurle mediante alcune notazioni preliminari.

In primo luogo, assegneremo a ciascun elettrone certe dimensioni finite, comunque piccole possano essere, e fisseremo la nostra attenzione non solo sul campo esterno, ma anche sullo spazio interno, nel quale c'è posto per molti elementi di volume e nel quale lo stato di cose può variare da un punto all'altro. Riguardo a questo stato supporremo che sia dello stesso tipo di quello dei punti all'esterno. In realtà, una delle più importanti fra le nostre assunzioni fondamentali deve essere che l'etere non solo occupa tutto lo spazio fra le molecole, gli atomi o gli elettroni, ma anche che esso pervade tutte queste particelle. Aggiungeremo l'ipotesi che, sebbene le particelle possano muoversi, l'etere rimane sempre a riposo. Possiamo riconciliarci con questa idea, a prima vista in qualche modo sorprendente, pensando alle particelle di materia come a certe modificazioni locali nello stato dell'etere. Sicuramente queste modificazioni possono procedere molto bene in una direzione mentre gli elementi di volume del mezzo in cui esse esistono rimangono a riposo.

Ora, se all'interno di un elettrone c'è l'etere, ci può anche essere un campo elettromagnetico, e tutto quello che ci resta da fare è di stabilire un sistema di equazioni che possano essere applicate altrettanto bene alle parti dell'etere dove c'è una carica elettrica, cioè agli elettroni, come a quelle dove non ce n'è. Riguardo alla distribuzione della carica siamo liberi di fare qualunque assunzione ci piaccia. Per ragioni di convenienza, supporremo che sia distribuita su un certo spazio, vale a dire sull'intero volume occupato dall'elettrone, e considereremo la densità volumetrica come una funzione continua delle coordinate, cosicché la particella carica non ha un confine netto, ma è circondata da uno strato sottile in cui la densità diminuisce gradualmente dal valore che ha all'interno dell'elettrone fino a zero. Grazie a questa ipotesi della continuità di [[rho]], che estenderemo a tutte le altre quantità che compaiono nelle nostre equazioni, non incontriamo mai gli inconvenienti riguardanti superfici di discontinuità, né dobbiamo ingombrare la teoria con equazioni distinte che si riferiscono a tali superfici. Inoltre, se supponiamo che la differenza fra la situazione dell'etere con gli elettroni e dell'etere senza sia causata, almeno per quanto ci interessa, soltanto dall'esistenza della densità volumetrica [di carica] all'interno degli elettroni, le equazioni per il campo esterno devono essere derivate da quelle per l'interno semplicemente ponendo [[rho]] = 0, cosicché dobbiamo scrivere soltanto un sistema di equazioni differenziali.

Naturalmente, queste devono essere ottenute con una opportuna modifica, in cui si esprime l'influenza della carica, delle equazioni (2) - (5) che sono state stabilite per l'etere libero, cioè senza cariche. Si è trovato che possiamo raggiungere il nostro obiettivo con la minima modificazione immaginabile, e che possiamo assumere il seguente sistema

div d = [[rho]]

div h = O

(20)

in cui la prima e la terza formula sono le sole che sono state modificate.

Per giustificare queste modifiche, devo in primo luogo richiamare alla vostra mente la relazione generale che esiste nella teoria di Maxwell tra lo spostamento dielettrico attraverso una superficie chiusa e la quantità di carica contenuta all'interno della superficie. Questa è espressa dall'equazione

(21)

in cui l'integrale si riferisce alla superficie chiusa e ciascun elemento d[[sigma]] di essa viene moltiplicato per la componente di d lungo la normale n, che, come già abbiamo detto, è diretta verso l'esterno.

Usando una ben nota forma di espressione e paragonando questo stato di cose con uno in cui non ci sarebbe affatto spostamento dielettrico, possiamo dire che la quantità totale di elettricità, che è stata spostata attraverso la superficie (calcolando come positiva una quantità che è stata spostata in avanti), è uguale alla carica e. ora, applichiamo questo a un elemento di spazio dx dy dz, preso in un punto dove c'è una densità volumetrica [di carica] [[rho]], abbiamo:

e = [[rho]] dx dy dz

dal momento che l'integrale in (21) si riduce a

div d dx dy dz

siamo immediatamente condotti alla formula (17).

In secondo luogo, dobbiamo osservare che una carica in moto costituisce quella che si chiama una corrente di convezione e produce lo stesso effetto magnetico di una comune corrente di conduzione; questo fatto fu mostrato per la prima volta dal celebre e ben conosciuto esperimento di Rowland. Ora, se v è la velocità della carica, è naturale scrivere [[rho]] v per la corrente di convezione; in realtà le tre componenti pvx, pvy, pvz, rappresentano le quantità di carica, calcolate per unità di area e unità di tempo, che sono trasportate attraverso elementi di superficie perpendicolari agli assi coordinati. D'altra parte, se all'interno di un elettrone c'è un campo elettromagnetico, ci sarà anche una corrente di spostamento d. Siamo perciò condotti ad assumere come espressione per la corrente totale

e ad usare l'equazione (19) per determinare il campo magnetico. Naturalmente, questa è di nuovo un'equazione vettoriale. Nell'applicarla a problemi particolari, spesso si trova conveniente sostituirla con le tre equazioni differenziali scalari:

Vedete che ponendo r = 0 nelle formule (17) e (19) siamo ricondotti alle nostre precedenti equazioni (2) e (4).[26]

Nel paragrafo seguente Lorentz mostra come per spiegare i fenomeni elettromagnetici sia necessario completare il concetto di carica, pensandola come qualche cosa che è fissato alla materia ordinaria. Infatti egli introduce una quinta equazione che esprime la forza, nel senso solito che ha in dinamica, esercitata dall'etere sulla carica. Assume perciò il suo pieno significato il concetto di "particella carica". L'equazione che corrisponde alla ben nota "forza di Lorentz", viene qui semplicemente giustificata come generalizzazione di risultati sperimentali.

Paragrafo 8

ancora una equazione da aggiungere, in effetti una che ha importanza uguale a quella delle (17) - (20). Si sarà notato che mi sono accuratamente astenuto dal dire qualche cosa intorno alla natura della carica elettrica rappresentata da [[rho]]. Speculazioni su questo punto o tentativi di ridurre l'idea di una carica ad altre di tipo diverso sono completamente estranee allo scopo della presente teoria; non pretendiamo di dire niente più che questo, che [[rho]] è una quantità appartenente ad un certo punto nell'etere e connessa con la distribuzione dello spostamento dielettrico nelle vicinanze di quel punto dall'equazione (17). Possiamo dire che l'etere può essere la sede di un certo stato determinato dal vettore d che chiamiamo spostamento dielettrico; che in generale questo vettore è distribuito solenoidalmente, ma che ci sono alcuni luoghi che costituiscono un'eccezione a questa regola, dal momento che [in essi] la divergenza di d ha un certo valore [[rho]], diverso da zero. In tal caso noi parliamo di una carica elettrica e intendiamo come sua densità il valore di div d.

Riguardo all'affermazione che le cariche possono muoversi attraverso l'etere, mentre il mezzo stesso rimane a riposo, se ridotta al suo significato più semplice, significa soltanto che il valore di div d che in un istante esiste nel punto P, nell'istante seguente si troverà in un altro luogo P'. Tuttavia, per spiegare i fenomeni elettromagnetici, siamo obbligati ad andare un po' oltre. Non è più sufficiente considerare [[rho]] puramente come il simbolo per un certo stato dell'etere. Al contrario, dobbiamo investire le cariche con un certo grado di sostanzialità, almeno tanto da riconoscere la possibilità di forze che agiscono su di esse e producono o modificano il loro moto. La parola "forza" è qui presa nel significato ordinario che ha in dinamica, e dovremmo facilmente abituarci all'idea di forze che agiscono sulle cariche, se pensiamo queste ultime come fissate a ciò che siamo abituati a chiamare materia oppure come una proprietà di questa materia. Questa è l'idea che sta sotto al termine di "particella carica" che abbiamo già usato e che occasionalmente useremo ancora per un elettrone. Vedremo più avanti che, almeno in qualche caso, la pertinenza del termine è in qualche modo discutibile.

Comunque possa avvenire, noi dobbiamo certamente parlare di tale cosa come della forza che agisce su una carica, o su un elettrone, o sulla materia carica, qualunque appellativo preferiate. Ora, in accordo con i principi generali della teoria di Maxwell, considereremo questa forza come causata dallo stato dell'etere, e anche, dal momento che questo mezzo pervade gli elettroni, come esercitata dall'etere su tutti i punti interni di queste particelle dove c'è una carica. Se dividiamo l'intero elettrone in elementi di volume, ci sarà una forza agente su ciascun elemento e determinata dallo stato dell'etere esistente all'interno. Supporremo che questa forza sia proporzionale alla carica dell'elemento, cosicché abbiamo bisogno di conoscere solo la forza agente sull'unità di carica. Questa è ciò che noi ora propriamente possiamo chiamare la forza elettrica. La rappresenteremo con f. La formula da cui è determinata, e che dobbiamo aggiungere alle (17) - (20), è la seguente:

Come le nostre equazioni precedenti, questa è ottenuta generalizzando i risultati di esperimenti elettromagnetici. Il primo termine rappresenta la forza agente su un elettrone in un campo elettrostatico; perciò, in questo caso, la forza per unità di carica deve essere interamente determinata dallo spostamento dielettrico. D'altro canto, la parte della forza espressa dal secondo termine può essere derivata dalla legge Secondo cui un elemento di un filo che trasporta una corrente è influenzato da un campo magnetico con una forza perpendicolare al filo stesso e alle linee di forza, una azione che nelle nostre unità può essere rappresentata in notazione vettoriale con

dove i è l'intensità della corrente considerata come un vettore, e s la lunghezza dell'elemento.

Secondo la teoria degli elettroni, F è costituita da tutte le forze con cui il campo h agisce sugli elettroni singoli che si muovono nel filo. Ora, semplificando la questione con l'assunzione di un solo tipo di elettroni in moto con cariche tutte uguali a e e una velocità comune v, possiamo scrivere

s i = N e v

se N è il numero totale di queste particelle nell'elemento s. Quindi:

cosicché, dividendo per N e, troviamo per la forza per unità di carica

Come una interessante e semplice applicazione di questi risultati, posso menzionare la spiegazione che fornisce della corrente indotta che si produce in un filo in moto attraverso le linee di forza magnetiche. I due tipi di elettroni che hanno la velocità v del filo, sono in questo caso condotti in direzioni opposte da forze che sono determinate dalla nostra formula.27

Nei paragrafi seguenti Lorentz analizza il significato e le conseguenze deducibili delle equazioni, considerando anche il caso in cui la forza è dovuta anche al campo proprio dell'elettrone e mostrando il "modo in cui il campo elettrico è determinato dalle formule (17) - (20), se sono supposti noti la distribuzione e il moto delle cariche".[28]

La carica quindi non solo è l'oggetto dell'azione dell'etere, ma diventa anche la sorgente del campo stesso.

Nel paragrafo 16 con opportuni calcoli che sono riportati nelle note in fondo al trattato, Lorentz deriva dalle equazioni fondamentali introdotte in precedenza una equazione che esprime "la legge di conservazione dell'energia". Egli sceglie qui un concetto di conservazione locale dell'energia, espresso mediante un'equazione di continuità che comprende il teorema di Poynting. Lorentz prende in esame una parte del sistema all'interno di una superficie chiusa [[rho]]. La somma dei tre integrali che esprimono le variazioni di energia di questa parte nel tempo è nulla. Il primo integrale rappresenta il lavoro nell'unità di tempo fatto dall'etere sugli elettroni. L'etere allora, sempre all'interno di [[rho]], perde una quantità equivalente di energia; il secondo termine dell'equazione rappresenta questa variazione nell'unità di tempo dell'energia elettrica e magnetica all'interno di [[rho]]. Questa espressione è identica a quella trovata da Maxwell. Questa quantità di energia è fornita all'etere interno a [[rho]] da quella parte del sistema che è esterna alla medesima superficie, oppure la quantità di energia perduta passa all'esterno, mediante un trasferimento che è rappresentato dal terzo integrale e che coincide con il flusso del vettore di Poynting. Lorentz sottolinea che questo trasferimento avviene necessariamente nei punti della superficie stessa, perché, afferma, "la nostra teoria non lascia spazio per nessuna azione a distanza" .

L'energia quindi deve essere localizzata: ciò che avviene all'interno della superficie a coinvolge gli elettroni all'interno, la parte di etere all'interno e la parte di etere all'esterno nelle immediate vicinanze e inoltre il passaggio attraverso la superficie richiede un tempo finito. Qui Lorentz afferma la propria scelta definitiva a favore dell'azione contigua per quanto riguarda la trasmissione degli effetti elettromagnetici. Egli, che, come già si è detto precedentemente, era partito da una concezione di azione a distanza seguendo Helmholtz, si era presto convertito al punto di vista dell'azione contigua anche per la possibilità in una tale teoria di localizzare l'energia nell'etere. Infine con l'accettazione del teorema di Poynting riportato in questo paragrafo, Lorentz trova la formulazione della conservazione dell'energia che meglio corrisponde alla sua concezione. L'energia elettromagnetica non è più concepita come puramente potenziale e cinetica, in accordo con il fatto che l'etere non è un mezzo meccanico. Inoltre l'equazione che esprime la conservazione rende conto del trasferimento di energia nel campo elettromagnetico. Infatti esprime una conservazione connessa con il tempo di propagazione. Le parole di Poynting (dalla memoria del 1884) sono chiarificatrici di questo punto di vista condiviso da Lorentz.

Se crediamo nella continuità della propagazione di energia, cioè se crediamo che quando essa scompare in un punto e riappare in un altro deve essere passata attraverso lo spazio intermedio, noi siamo costretti a concludere che il mezzo circostante contiene almeno una parte di energia e che esso è capace di trasferirla da un punto all'altro.[29]

Paragrafo l6

Finora abbiamo usato solo le equazioni (17) - (20). Aggiungendo a queste la formula (23) per la forza elettrica, e supponendo che siano date le forze di ogni altra natura che possono agire sugli elettroni, abbiamo i mezzi per determinare non solo il campo, ma anche il moto delle cariche. Per il nostro scopo però, non è necessario entrare qui nel merito di problemi speciali di questo tipo. Concentreremo la nostra attenzione su uno o due teoremi generali che valgono per ogni sistema di elettroni in moto.

In primo luogo, opportune trasformazioni delle formule fondamentali conducono a un'equazione che esprime la legge di conservazione dell'energia (III). Se ci limitiamo alla parte del sistema che sta all'interno di una certa superficie chiusa a, questa equazione ha la forma

(37)

che ora cercheremo di interpretare. Dal momento che f è la forza con cui l'etere agisce sull'unità di carica, [[rho]]fdS sarà la forza agente sull'elemento dS della carica,

il suo lavoro per unità di tempo. Si vede perciò che il primo integrale nella (37) rappresenta il lavoro fatto dall'etere sugli elettroni per unità di tempo. Insieme con il lavoro di altre forze a cui gli elettroni possono essere sottoposti, questo termine ci metterà perciò in grado di calcolare il cambiamento di energia cinetica degli elettroni.

Naturalmente, se l'etere lavora sugli elettroni, deve perdere una quantità di energia equivalente; per tale perdita può essere fatto un rifornimento di energia dalla parte del sistema che sia al di fuori della superficie, oppure tale perdita può essere accompagnata da un trasferimento di energia verso quella parte. Perciò dobbiamo considerare

(38)

come l'espressione per l'energia contenuta all'interno di un elemento di volume di etere, e

(39)

come quella per una quantità di energia che è perduta dal sistema all'interno della superficie e guadagnata dall'etere circostante.

Le due parti in cui la (38) può essere divisa si possono appropriatamente chiamare l'energia elettrica e magnetica dell'etere. Si vede che calcolata per unità di volume la prima è

e la seconda

Questi valori sono equivalenti a quelli che furono dati tempo fa da Maxwell. Il fatto che i coefficienti sono 1/2 e non 2[[pi]] o qualcosa del genere, è dovuto alla nostra scelta di nuove unità e certamente servirà per raccomandarle.

Riguardo al trasferimento di energia rappresentato dalla (39), esso deve necessariamente avvenire nei punti della superficie stessa, poiché la nostra teoria non lascia spazio per nessuna azione a distanza. Inoltre siamo condotti naturalmente a supporre che le azioni da cui [tale trasferimento] è portato avanti sono tali che, per ciascun elemento d[[sigma]], si può dire che la quantità c[d h]n d[[rho]] rappresenta l'ammontare di energia che è trasmesso attraverso questo particolare elemento. In questo modo giungiamo al concetto, per la prima volta formulato da Poynting, (IV) di una corrente o flusso di energia. Questo è determinato dal prodotto vettoriale di d e h, moltiplicato per la costante c, cosicché per esso possiamo scrivere

s = c [d h ]

intendendo che, per ogni elemento d[[rho]], l'ammontare di energia da cui è attraversato è dato per unità di tempo e per unità di area dalla componente sn del vettore sn lungo la normale all'elemento.[30]

Lorentz nel paragrafo 17, dopo aver analizzato il caso di un fascio di luce polarizzata e quello di un singolo elettrone in translazione uniforme, conclude sottolineando la grande importanza che il teorema di Poynting ha avuto nel chiarire molte questioni connesse con la propagazione delle azioni elettromagnetiche.[31] Nel paragrafo 18 si analizza fino a qual punto possiamo fare un significato definito ad un flusso di energia.

La teoria non solo prevede un trasferimento di energia, ma mette in grado di calcolare l'ammontare delle quantità trasferite.

Per tale motivo si parla di "corrente o flusso" di energia. Per Lorentz però è chiaro che non è possibile tracciare il cammino degli elementi di energia nello stesso preciso senso in cui lo facciamo per le particelle che costituiscono la materia. Si può infatti stabilire se la quantità a + b è la medesima quantità a' + b', ma non si può stabilire l'identità individuale di energia. Durante il trasferimento di energia mediante un flusso di elementi o parti non è possibile distinguere le quantità elementari l'una dall'altra e seguirne quindi il moto, come si fa invece per le particelle materiali che mantengono la propria individualità. Il caso del filo percorso da corrente che Lorentz analizza nell'ultima parte di questo paragrafo è portato come esempio da Poynting nel 1884. Per un filo rettilineo percorso da corrente quest'ultimo afferma che l'energia è supposta "fluire dentro il filo perpendicolarmente alla superficie, cioè lungo il raggio verso l'asse"[32] e viene così trasformata in calore. Lorentz osserva che un cambiamento nelle ipotesi fatte sulle forze interne al sistema potrebbe cambiare la nostra rappresentazione dell'effettivo cammino dell'energia nel suo trasferimento. Non c'è però alcun dubbio se si ammette che "i fenomeni che avvengono in una parte dell'etere sono completamente determinati dalla forza elettrica e magnetica in quella parte" (ossia se si adotta una teoria di azione contigua).

Paragrafo 18

Prima di lasciare questo soggetto, con il vostro permesso, richiamerò l'attenzione sulla questione fino a quale punto possiamo assegnare un significato definito a un flusso di energia. Si deve ammettere, io credo, che appena conosciamo l'interazione fra due particelle o elementi di volume, noi siamo in grado di fare una affermazione precisa riguardo all'energia fornita da una di esse all'altra. Perciò, una teoria che spieghi le cose facendo assunzioni precise riguardo all'interazione delle parti di un sistema, deve allo stesso tempo ammettere un trasferimento di energia, sulla cui intensità non ci può essere dubbio. Però, anche se questo è sicuro, noi possiamo facilmente vedere che in generale non sarà possibile tracciare i cammini di parti o elementi di energia nello stesso senso in cui possiamo seguire nel loro viaggio le particelle ultime di cui è costituita la materia.

Per mostrare questo, indicherò con P una particella o un elemento di volume e con A, B, C, . . ., A', B', C', . . . un certo numero di altre particelle o elementi di volume, tra i quali e P c'è qualche interazione che ha come risultato un trasferimento di energia e, in accordo con quanto si è appena detto, supporrò che queste azioni siano tanto ben conosciute che possiamo stabilire distintamente quale quantità di energia è scambiata tra ogni coppia di particelle. Per esempio, P riceva da A, B, C, . . . le quantità a, b, c, . . . di energia, e dia ad A', B', C', . . . le quantità a', b', c', . . ., tenendo per sè una certa quantità p

Allora potremo avere l'equazione

a +b +c +...= p + a'+b'+c'+...

Ora, sebbene nel nostro caso immaginario ciascun termine in questa equazione sia noto, noi non avremmo mezzi per determinare in quale modo le quantità di energia contenute in a, b, c, . . . cioè le unità individuali di energia, sono distribuite fra p, a',b',c',. . . Se, per esempio, ci sono solo due termini in ciascuna parte dell'equazione, tutti dello stesso valore, cosicché essa prende la forma

a +b = a' +b',

non possiamo né concludere che a' è la stessa energia di a e b' è la stessa di b, né che a' è identico a b, e b' ad a. Non ci sarebbe modo per decidere fra questi due punti di vista e altri che vengono in mente in modo simile.

Per questo motivo, secondo me, il flusso di energia non può mai avere proprio lo stesso preciso significato che ha un flusso di particelle materiali, che, almeno mentalmente, possiamo distinguere l'una dall'altra e seguire nel loro moto. Si potrebbe anche discutere se, nei fenomeni elettromagnetici, il trasferimento di energia avviene realmente nel modo indicato dalla legge di Poynting, se, per esempio, il calore sviluppato nel filo di una lampada a incandescenza è realmente dovuto all'energia che esso riceve dal mezzo circostante, come ci insegna il teorema, e non a un flusso di energia lungo il filo stesso. In effetti, tutto dipende dalle ipotesi che facciamo riguardo alle forze interne nel sistema, e può ben darsi che un cambiamento in queste ipotesi alteri materialmente le nostre idee sul cammino lungo cui l'energia è trasportata da una parte del sistema a un'altra. Si deve comunque osservare che non c'è più spazio per alcun dubbio, appena ammettiamo che i fenomeni che avvengono in qualche parte dell'etere sono interamente determinati dalla forza elettrica e magnetica esistente in quella parte. Nessuno negherà che vi è un flusso di energia in un fascio di luce; perciò, se tutto dipende dalla forza elettrica e magnetica ce ne deve essere anche uno vicino alla superficie del filo che trasporta corrente, poiché qui, così come nel fascio di luce, esistono le due forze contemporaneamente e sono perpendicolari l'una all'altra.[33]

Note di Lorentz

Vedi nota 1 (appendice). Qui Lorentz sviluppa dei calcoli in dettaglio che non abbiamo riportato (n.d.c.).

J.J. Thomson, Conduction of electricity through gases, Cambridge, 1903.

Nota 8. Qui Lorentz sviluppa dei calcoli in dettaglio che non abbiamo riportato (n.d.c.).

J.H. Poynting, On the transfer of energy in the electromagnetic field, London Trans. 175 (1884), p. 343.