L'esperimento di Michelson e Morley

Cenni biografici

Albert Abraham Michelson nacque a Strelno in Prussia, nella zona ora polacca, nel 1852 da una famiglia di modeste condizioni economiche che emigrò negli Stati Uniti quando egli aveva quattro anni.

Michelson visse e studiò prima a S. Francisco, poi all'Accademia Navale di Annapolis dove si diplomò nel 1873. Insegnando fisica all'Accademia, cominciò a interessarsi ai metodi terrestri per misurare la velocità della luce, che misurò per la prima volta nel 1878.

Ottenne poi di lavorare in Europa con Helmholtz a Berlino, in seguito anche a Heidelberg e a Parigi. Il suo primo esperimento per la misura della velocità della Terra rispetto all'etere fu compiuto a Berlino nell'inverno del 1880-81 e poi a Potsdam, senza che si riuscisse a mettere in evidenza alcun moto. Si occuparono del problema dal punto di vista teorico Lorentz, Kelvin, Fitzgerald. In seguito Michelson lavorò alla Case School of Applied Science a Cleveland nell'Ohio con Edward Morley; essi rifecero nel 1887 l'esperimento del 1881 con diversi miglioramenti di carattere tecnico. Il risultato fu ancora nullo, ma l'apparato così perfezionato servì per altri lavori di ricerca.

Michelson lavorò poi alla Clark University nel Massachussetts e all'Università di Chicago, continuando la collaborazione con Morley e occupandosi di varie misure di precisione. Cominciò a interessarsi anche alle applicazioni della spettroscopia all'astrofisica.

Fu presidente di accademie e associazioni e nel 1907 ricevette il premio Nobel per le sue misure di precisione.

Lavorò poi al California Institute of Technology dove misurò ancora la velocità della luce oltre ad applicare i suoi metodi di misura mediante interferenza all'astronomia. Dal 1926 al 1928 egli rifece il famoso esperimento che porta il suo nome. Morì nel 1931.

I suoi interessi furono molto vari e fra questi non fu prevalente il problema dell'etere, benché egli rimanesse attaccato a questo concetto anche dopo l'affermazione della Teoria della Relatività.

L'influenza dell'esperimento di Michelson sulla genesi della Relatività Ristretta è piuttosto discutibile e, semmai, indiretta, attraverso gli studi di Einstein dei lavori di Lorentz, Poincarè ed altri.

Si potrebbe ritenere che l'importanza delle sue ripetute misure della velocità della luce sia notevole sostegno per il postulato sulla costanza di questa.[34]

Problemi che portarono Michelson a progettare l'esperimento

Le radici della teoria ondulatoria della luce sono generalmente fatte risalire al Treatise on Light scritto da Huygens nel 1678, ma pubblicato nel 1690, in cui l'autore proponeva una analogia fra la luce e il suono.[35]

E inconcepibile dubitare che la luce consista nel moto di qualche tipo di materia .... Materia che esiste tra noi e il corpo luminoso .... ma non può esserci nessun trasporto di materia .... Ciò che ci può condurre a comprenderequesto è la conoscenza del suono.[36]

Come il suono, dunque anche la luce, consistendo di oscillazioni che si propagano, presupponeva l'esistenza di un mezzo materiale. Nel 1802 Young, anch'egli sostenitore dell'analogia fra suono e luce, affermava:

Un etere luminifero pervade l'Universo, rarefatto ed elastico in notevole misura.

In questo etere vengono eccitate delle ondulazioni tutte le volte che un corpo diventa luminoso.[37]

Si andò quindi affermando all'interno delle teorie ondulatorie dell'ottica il concetto di un etere portatore della luce, ente materiale simile a un fluido rarefatto, elastico, senza peso, comunque presente in tutto l'Universo. Nel 1804 Young sosteneva:

... sono disposto a credere che l'etere luminifero pervade la sostanza di tutti i corpi materiali, con resistenza piccola o nulla, forse liberamente come il vento passa attraverso un boschetto di alberi.[38]

In seguito all'interpretazione data da Malus nel 1808 del fenomeno della doppia rifrazione in termini di luce polarizzata, Young, Fresnel e Arago introdussero l'idea che la luce consiste di vibrazioni trasversali, anzichè longitudinali, abbandonando quindi l'analogia con il suono. La natura dell'etere luminifero diventava problematica: in nessun mezzo fluido era nota la propagazione di onde trasversali e perciò si sarebbe dovuto pensare l'etere piuttosto come un solido.

Nonostante le difflcoltà nell'immaginare la natura meccanica dell'etere luminifero, la sua esistenza non era in alcun modo posta in dubbio.

Nel frattempo, nell'ambito dell'elettricità e del magnetismo si erano andati affermando i concetti delle scuole anglosassoni dell'azione contigua e all'interno di questo filone di ricerca, particolarmente con l'opera di Maxwell, si operava la sintesi fra l'elettromagnetismo e l'ottica ondulatoria: le azioni elettriche e magnetiche si propagano come onde di velocità uguale a quella della luce visibile, che ne è quindi un caso particolare. L'etere luminifero veniva quindi a identificarsi con l'etere delle azioni elettriche e magnetiche. Diversi furono per i vari autori i modelli meccanici dell'etere ritenuto un dielettrico materiale fino a Lorentz che, come si è visto, lo distinse nettamente dalla materia ponderabile, considerandolo puramente come il supporto del campo. Era comunque ritenuto certo che questo etere, di qualunque ente si trattasse, pervadeva tutto lo spazio.

Maxwell nel 1878 scriveva per l'Enciclopaedia Britannica:

Qualunque difficoltà possiamo avere nel formare un'idea consistente della costituzione dell'etere, non ci può essere dubbio che gli spazi interplanetari e interstellari non sono vuoti, ma sono occupati da una sostanza materiale o corpo, che è certamente il più grande e probabilmente il corpo più uniforme fra quelli di cui abbiamo qualche conoscenza. [39]

Diverse erano le ipotesi sullo stato di quiete o di moto dell'etere rispetto ai corpi materiali. Secondo la teoria di Stokes, i corpi opachi, come quelli celesti, potevano trascinare l'etere con sè nel loro moto in prossimità della superficie. Secondo la teoria di Fresnel, corpi dotati di particolari proprietà ottiche, come i mezzi trasparenti, potevano trascinare parzialmente con sè l'etere, mentre in presenza dei corpi opachi l'etere non subiva alcun trascinamento. Oppure, come si è visto nella teoria di Lorentz, l'etere era a riposo: mantenendosi le sue parti in quiete le une rispetto alle altre, esso non veniva trascinato da nessun corpo in moto. In quest'ultima ipotesi, la velocità della luce che era c rispetto all'etere, rispetto ad un altro corpo in moto con velocità [[upsilon]] nell'etere, doveva essere

= c + [[upsilon]]

Esperimenti ottici condotti sulla Terra con sorgenti di luce terrestri avrebbero, in linea di principio, messo in evidenza tale cambiamento di velocità. Questo fatto equivaleva ad ammettere che, almeno per i fenomeni elettromagnetici e ottici, l'etere costituiva un riferimento assoluto. La velocità della luce con sorgenti terrestri fu misurata per la prima volta da Fizeau nel 1849 e in seguito, nel 1865, da Foucault. Pur essendo differenti i metodi seguiti, in entrambi gli esperimenti la luce percorreva due volte lo stesso percorso rettilineo, cosicchè si misurava la velocità media della luce sull'intero percorso. In questo modo la differenza teorica prevista di velocità è una quantità del secondo ordine in [[upsilon]] e con i metodi sperimentali esistenti non poteva essere rilevata. Infatti, detta l la lunghezza del percorso, la luce impiega un tempo pari a l /(c -[[upsilon]] ) viaggiando nel verso del moto della Terra e un tempo pari a l /(c + [[upsilon]]) nel verso opposto. Il tempo totale è

La velocità media è il rapporto fra il percorso totale 2l e questo intervallo di tempo, cioè . Maxwell, sempre nell'articolo del 1878 per l'Enciclopaedia Britannica, osservava:

Se fosse possibile determinare la velocità della luce osservando il tempo che impiega per viaggiare tra una stazione e un'altra sulla superficie della Terra, potremmo, confrontando le velocità osservate in direzioni opposte, determinare la velocità dell'etere rispetto a queste stazioni terrestri. Però tutti i metodi con cui è possibile determinare la velocità della luce da esperimenti terrestri dipendono dalla misura del tempo richiesto per il doppio cammino da una stazione all'altra e ritorno, e l'aumento di questo tempo .... sarebbe non rilevabile.[41]

Questo è il problema che Michelson affrontò nel 1881 e successivamente nel 1887 insieme con Morley: evidenziare la differenza di velocità della luce dovuta al moto della Terra attraverso l'etere, cioè, come esplicitamente dichiarato nella memoria del 1887, provare sperimentalmente l'ipotesi dell'etere a riposo. Scontata e certa l'esistenza dell'etere, il dibattito era dunque intorno al suo stato di moto rispetto alla materia: in tale dibattito si inserirono gli esperimenti di Michelson, per provare una ipotesi precisa. La memoria del 1881 comincia con le seguenti affermazioni:

La teoria ondulatoria della luce assume l'esistenza di un mezzo chiamato etere, le cui vibrazioni producono i fenomeni del calore e della luce, e che è supposto riempire tutto lo spazio.

Secondo Fresnel, l'etere, che è racchiuso nei mezzi ottici, partecipa al moto di questi mezzi, in misura dipendente dai loro indici di rifrazione. Per l'aria, questo moto sarebbe soltanto una piccola frazione di quello dell'aria stessa e sarà trascurato.

Assumendo che l'etere è a riposo, mentre la Terra si muove attraverso esso, il tempo richiesto perché la luce passi da un punto all'altro della superficie della Terra, dipenderebbe dalla direzione in cui viaggia.[42]

Michelson, che conosceva l'opinione di Maxwell espressa in una lettera pubblicata su Nature poco dopo la sua morte, così prosegue:

Nella medesima lettera veniva anche asserito che la ragione per cui tali misure [quelle della differenza fra i tempi impiegati dalla luce in direzioni diverse] non potrebbero essere fatte sulla superficie della Terra era che fino ad ora non avevamo alcun metodo per misurare la velocità della luce che non comprendesse la necessità di far ritornare la luce sul suo cammino, per il quale motivo essa perderebbe circa tanto quanto aveva guadagnato nell'andata. Poichè la differenza dipende dal quadrato del rapporto fra le due velocità, secondo Maxwell, è troppo piccola per essere misurata.

Quanto segue ha lo scopo di mostrare che, usando come unità di misura una lunghezza d'onda della luce gialla, la quantità, se esiste, è facilmente misurabile. [43]

L'idea geniale di Michelson fu di ricorrere, per evidenziare le differenze fra i tempi, a un metodo basato sull'interferenza, metodo che poteva mettere in grado di misurare effetti del secondo ordine in [[upsilon]] /c.

Descrizione dell'esperimento[44]

Michelson, come si è detto, eseguì l'esperimento nel 1881, e nel 1887 in collaborazione con Morley.

Qui Beguiremo sostanzialmente la versione del 1887.[45] Abbiamo già detto che si doveva ricorrere a un metodo basato sull'interferenza. Michelson quindi progettò e costruì un apparato, detto appunto interferometro che schematizziamo come segue (Fig.5):

Fig.5

Posta una sorgente di luce in S, un raggio si propaga fino a M, lastra semiargentata: questa permette che metà della luce venga trasmessa verso lo specchio Ml, mentre l'altra metà è riflessa verso lo specchio M2.

Le onde riflesse da Ml ed M2 si propagano in versi opposti rispetto a quello delle onde incidenti e, dopo essere state di nuovo trasmesse o riflesse da M, arrivano al telescopio T. I piani e gli angoli degli specchi sono disposti in modo che si ottengono, all'uscita finale da M, due sorgenti coerenti di onde (così come per es. nella doppia fenditura di Young) per far così comparire in T una figura di interferenza. SMl è in direzione del moto della Terra, mentre MM2 è perpendicolare ad esso. Le distanze MMl ed MM2 sono uguali e misurano l. Se la Terra si muove con velocità [[upsilon]] rispetto all'etere e la luce con velocità c, sempre rispetto all'etere, lungo MMl la luce avrà, rispetto all'osservatore terrestre, nell'andata velocità (c -- v) e nel ritorno (c + v). Lungo MM1 la velocità della luce, sempre rispetto alla Terra, sarà (vedi i calcoli riportati nella Scheda 1, Sistema di riferimento solidale con la Terra, Braccio verticale).

In conclusione la luce impiegherà intervalli di tempo diversi a compiere i tragitti 2l nelle due diverse direzioni. Anzichè misurare direttamente questa differenza di tempi, come si è già detto, Michelson progettò di misurare un cambiamento nella figura di interferenza.

Esaminiamo perciò alcuni elementi fondamentali dell'interferenza (Fig.6 e Fig.7).

Fig.6

Fig.7

Come richiamato in queste figure, la natura dell'interferenza nel punto P dello schermo è determinata dal numero di lunghezze d'onda contenute nel tratto d: differenza fra i cammini s1P e s2P che compiono i due raggi di luce. In un mezzo di indice di rifrazione n, dove la velocità della luce non è c, ma [[upsilon]] ed n = c /[[upsilon]], ai deve tenere conto della differenza fra i cammini ottici dei due raggi. Se un'onda percorre un tratto di lunghezza x in un mezzo con indice di rifrazione n, il cammino ottico è n x: (Fig.8 e Fig.9).

Perciò solo nel vuoto (o nell'etere) il cammino ottico coincide con il cammino geometrico.

Se la lunghezza d'onda nel vuoto è [[lambda]]1, nel mezzo di indice n è ; allora, se per eaempio in un tratto geometrico x ci sono, nel mezzo rifrangente, 5 lunghezze d'onda, il cammino geometrico è x = 5 [[lambda]]1 e il cammino ottico è . Quindi il cammino ottico corrispondente ad un certo numero di lunghezze d'onda è uguale alla lunghezza che uno stesso numero di onde occuperebbe nel vuoto, cioè è uguale al corrispondente cammino geometrico nel vuoto.

Nell'esperimento di Michelson e Morley, il fatto che la luce percorra con velocità diverse i cammini geometrici uguali può essere guardato come se la luce passasse in un mezzo di diverso indice di rifrazione. Il progetto consiate quindi nell'eseguire un eaperimento di interferenza il cui risultato dipende dal cambiamento di velocità della luce. Michelson e Morley si aspettavano una figura di interferenza spostata rispetto a quella prevista nell'ipotesi della Terra ferma nell'etere. Lo spostamento aspettato è quindi dovuto alla differenza fra i cammini ottici dei due raggi, che rispetto alla Terra percorrono uguali cammini geometrici. Ora la quantità del secondo ordine in [[upsilon]] /c cui faceva riferimento Maxwell (prende il nome di "spostamento di Maxwell" ) e che lo stesso Michelson riporta è A = c [[Delta]]t . Questa è proprio la differenza fra i cammini ottici: c è la velocità della luce nell'etere [[Delta]]t la differenza fra i tempi di percorrenza.

Sottolineiamo ancora quindi che, anzichè misurare [[Delta]]t, si misura uno spostamento A. Rispetto alla situazione in cui la Terra è ferma nell'etere, c'è un fatto nuovo a causa della differenza fra i cammini ottici: nel punto dove si hanno le due sorgenti di onde coerenti le onde presentano già una differenza di fase. Pertanto le frange aspettate dovevano essere spostate [46] (Fig.10).

In effetti, non ai ha modo di calcolare teoricamente la posizione che una ben precisa frangia avrebbe se la Terra fosse ferma nell'etere, così da poter riconoscere se si è spostata a causa del moto della Terra nell'etere. Pertanto Michelson e Morley ruotavano con continuità l'apparecchio per poter seguire lo spostamento delle frange.

Come già visto, A = c [[Delta]]t è proprio la differenza fra i cammini ottici. Se la differenza fra i cammini ottici varia, per esempio, di una lunghezza d'onda, ci sarà uno spoatamento di una frangia attraverso un riferimento nel telescopio. Perciò, esprimendo questa differenza in lunghezze d'onda della luce usata (luce gialla), essa è numericamente uguale al numero di frange che ai spostano attraverso il riferimento nel telescopio .[47]

Perciò (essendo doppio lo spostamento aspettato, a causa della rotazione dell'apparato) il numero di frange che si doveva spostare è (essendo come risulta dai calcoli seguenti ):

di frangia

Riprendiamo quindi l'esame dell'esperimento e calcoliamo il [[Delta]]t apettato. Lungo MM l abbiamo

dove tl è il tempo che la luce impiega per andare da M a M l e t 2 il tempo che impiega a tornare. Il tempo totale di andata e ritorno lungo il braccio parallelo all'orbita terrestre è quindi, trascurando i termini di grado superiore al secondo:

Per il calcolo del tempo totale impiegato dalla luce a percorrere due volte il braccio perpendicolare all'orbita terrestre rimandiamo alla scheda 1 del cap. 5.

Michelson nel 1887 dà soltanto il risultato

Appare molto chiaramente che gli intervalli di tempo (t l + t 2) e 2t 3 sono diversi. La differenza

Lo "spostamento di Maxwell" risulta quindi:

Interpretazioni dei risultati: teoria del trascinamento dell'etere

Lo spostamento di frange previato non fu rilevato né da Michelaon nel 1881, né da Michelson e Morley nel 1887.

All'interno delle varie teorie questo risultato nullo fu oggetto di interpretazioni e spiegazioni diverse. Una delle più immediate era quella data dalle teorie del trascinamento dell'etere, come quella di Stokes. La Terra nel suo movimento trascina con sè l'etere: perciò vicino alla superficie della Terra l'etere è fermo riapetto a quest'ultima. Così, nell'apparato di Michelson non c'è nessuna differenza nei tempi di percorrenza della luce lungo le due direzioni e quindi nessuno spostamento di frange.

Nel 1881 Michelson stesso alla analisi dei dati rilevati faceva seguire le seguenti affermazioni:

L'interpretazione di quegti risultati è che non c'è spostamento delle bande di interferenza. Il risultato dell'ipotesi di un etere stazionario è così mostrato essere scorretto, e segue la necessaria conclusione che l'ipotesi è erronea.

Questa conclusione contraddice la spiegazione del fenomeno della aberrazione [48] che fino ad ora è stata generalmente accettata e che presuppone che la terra si muova attraverso l'etere, mentre quest'ultimo è a riposo.[49]

Nel 1881 Michelson appariva convinto di aver confutato la teoria di Fresnel dell'etere stazionario a favore della teoria del trascinamento di Stokes.

Anche se la spiegazione dell'aberrazione più comunemente accettata era quella di Fresnel, in quanto più semplice e non problematica, Michelson nel 1881 non si preoccupava delle difficoltà connesse con la spiegazione di tale fenomeno data dalla teoria di Stokes, in quanto riteneva che il presente esperimento fosse una prova sicura della validità di quest'ultima. Egli infatti proseguiva e concludeva la memoria con la citazione di un articolo del 1846 in cui Stokes,[50] dichiarando l'equivalenza della propria teoria e di quella di Fresnel nello spiegare i fenomeni connessi con l'aberrazione, lamentava la mancanza di "un esperimento decisivo per l'una o per l'altra teoria".

Può non essere fuori luogo aggiungere un estratto da un articolo pubblicato da Stokes nel 1846 su Philosophical Magazine: "Tutti questi risultati seguirebbero immediatamente dalla teoria dell'aberrazione che io proposi nel numero di luglio di questa rivista; né io sono stato capace di ottenere alcun risultato che possa essere provato sperimentalmente che sarebbe diverso secondo quale teoria adottiamo. Questo fornisce un curioso esempio di due teorie completamente diverse che corrono parallele l'una all'altra nella spiegazione di fenomeni. Io non penso che molti sarebbero disposti a mantenere la teoria di Fresnel, quando sia mostrato che si può farne a meno, dal momento che non saremmo disposti a credere, senza una buona evidenza, che l'etere si muove piuttosto liberamente attraverso la massa solida della Terra. Piuttosto sarebbe stato soddisfacente se fosse stato possibile aver posto le due teorie alla prova di un qualche esperimento decisivo." [51]

E molto interessante analizzare la posizione completamente diversa che Michelson assunse sei anni più tardi .

Nel 1887 infatti le sue conclusioni furono molto più caute, anche a causa dell'attenzione che Lorentz aveva dedicato all'articolo dei 1881. Dopo un'analisi critica del possibile stato di moto della Terra rispetto a un sistema assoluto, Michelson e Morley concludevano:

... appare ragionevolmente certo che se c'è un moto relativo fra la Terra e l'etere luminifero questo deve essere piccolo, abbastanza piccolo da confutare interamente la spiegazione dell'aberrazione data da Fresnel.[52]

Gli autori non proclamavano più decisamente erronea l'ipotesi generale dell'etere a riposo, che costituiva un fondamento delle teorie di Fresnel e di Lorentz, ma dichiaravano di confutare l'interpretazione di un fenomeno, lasciando peraltro aperto il dibattito fra la teoria di Stokes e quella di Lorentz.

Sul moto relativo della Terra e dell'Etere Luminifero di Albert A. Michelson e Edward W. Morley[I]. Da The American Journal of Science, novembre 1887

La scoperta dell'aberrazione della luce fu presto seguita da una spiegazione in accordo con la teoria dell'emissione.[53] L'effetto fu attribuito a una semplice composizione della velocità della luce con la velocità della Terra nella sua orbita. Le difficoltà in questa spiegazione apparentemente sufficiente non furono considerate fino a dopo che fu proposta una spiegazione secondo la teoria ondulatoria della luce. Questa nuova spiegazione fu all'inizio semplice quanto la precedente. Però fallì nel rendere conto del fatto provato sperimentalmente che l'aberrazione era inalterata quando venivano fatte osservazioni con un telescopio pieno di acqua. Perché se la tangente dell'angolo di aberrazione è il rapporto della velocità della terra rispetto alla velocità della luce, allora, dal momento che la velocità di quest'ultima nell'acqua è 3/4 della velocità nel vuoto, l'aberrazione osservata con un telescopio [pieno] d'acqua dovrebbe essere 4/3 del suo valore effettivo. [II]

Secondo la teoria ondulatoria, in accordo con Fresnel, primo l'etere è supposto a riposo eccetto all'interno dei mezzi trasparenti, nei quali, in secondo luogo, è supposto muoversi con una velocità minore della velocità del mezzo nel rapporto n 2 - 1/ n 2 dove n è l'indice di rifrazione.

Queste due ipotesi danno una spiegazione dell'aberrazione completa e soddisfacente. La seconda ipotesi, nonostante sembri improbabile, si deve considerare completamente provata, in primo luogo, dal celebre esperimento di Fizeau [III], e in secondo luogo dall'ampia conferma del nostro lavoro [IV]. La prova sperimentale della prima ipotesi costituisce il soggetto del presente saggio.

Se la Terra fosse un corpo trasparente, si potrebbe forse concedere, in vista degli esperimenti appena citati, che l'etere intermolecolare sia a riposo nello spazio, malgrado il moto della Terra nella sua orbita; ma non abbiamo diritto di estendere la conclusione [tratta] da questi esperimenti ai corpi opachi. Però difficilmente potrebbe esserci dubbio riguardo al fatto che l'etere può passare e passa attraverso i metalli. Lorentz cita l'illustrazione di un tubo barometrico metallico. Quando il tubo è inclinato l'etere nello spazio sopra il mercurio è certamente spinto fuori, per il fatto che è incompressibile [V]. Ma di nuovo non abbiamo diritto di assumere che sfugga con perfetta libertà, e se ci fosse qualche resistenza, comunque piccola, certamente non potremmo assumere che un corpo opaco come tutta la Terra offra libero passaggio [all'etere] attraverso la sua intera massa. Ma come Lorentz sottolinea appropriatamente:

di qualunque cosa si tratti, si farà bene, a mio parere, a non lasciarsi guidare, in una questione così importante, da considerazioni sul grado di probabilità o di semplicità dell'una o dell'altra ipotesi, ma a rivolgersi all'esperienza per imparare a conoscere lo stato, di riposo o di movimento, in cui si trova l'etere alla superficie terrestre [VI].

Nell'aprile del 1881 fu proposto e messo in opera un metodo per sottoporre a prova sperimentale la questione [VII].

Nel dedurre la formula per le quantità da misurare, fu tralasciato l'effetto del moto della Terra attraverso l'etere sul cammino del raggio perpendicolare a questo moto.[VIII] La discussione di questa svista e dell'intero esperimento costituisce il soggetto di una analisi molto accurata da parte di H.A. Lorentz [IX], che trova che questo effetto non può in alcun modo essere trascurato. In conseguenza, la quantità da misurare aveva in effetti almeno la metà del valore supposto, e poichè questa era già appena al di là dei limiti degli errori sperimentali, la conclusione tratta dall'esperimento poteva a ragione essere posta in dubbio; dal momento che la parte principale della teoria rimane fuori discussione, fu deciso di ripetere l'esperimento con modifiche tali da assicurare un risultato teorico troppo grande per essere mascherato dagli errori sperimentali. La spiegazione teorica del metodo può essere brevemente enunciata come segue:

Sia sa, Fig. 1, un raggio di luce che è parzialmente riflesso in ab, e parzialmente trasmesso in ac, e che viene rimandato dagli specchi b e c lungo ba e ca. ba è parzialmente trasmesso lungo ad, e ca è parzialmente riflesso lungo ad.

Se poi i cammini ab e ac sono uguali, i due raggi interferiscono lungo ad. Supponiamo ora che, essendo l'etere a riposo, l'intero apparato si muova nella direzione sc con la velocità della Terra nella sua orbita, le direzioni e le distanze attraversate dai raggi saranno alterate nel modo seguente:

Il raggio sa è riflesso lungo ab, Fig. 2; essendo l'angolo babl uguale all'angolo di aberrazione [[alpha]], il raggio è rimandato lungo bal, (abal = 2[[alpha]]), e va al fuoco del telescopio, la cui direzione è invariata. Il raggio trasmesso va lungo ac, è rimandato lungo ca1 ed è rifiesso in al, formando [l'angolo] ca1 uguale a 90 - [[alpha]], e perciò coincidendo ancora con il primo raggio. Si può far notare che i raggi bal e cal non si incontrano esattamente nel medesimo punto al , quantunque la differenza sia del secondo ordine; questo non intacca la validità del ragionamento. Vogliamo ora trovare la differenza fra i due cammini abal e acal . Sia:

V = velocità della luce

[[upsilon]] = velocità della terra nella sua orbita D = distanza ab o ac, (Fig. l)

T = tempo che la luce impiega per andare da a a c

T l= tempo che la luce impiega per ritornare da c ad al , (Fig. 2).

Allora

Il tempo totale per andare e tornare è

e la distanza percorsa in questo tempo è

trascurando termini del quarto ordine. La lunghezza dell'altro cammino è evidentemente o con il medesimo grado di precisione, . La differenza è perciò . Se ora l'intero apparato è girato di 90deg., la differenza sarà nella direzione opposta, perciò lo spostamento delle frange di interferenza dovrebbe essere . Considerando soltanto la velocità della Terra nella sua orbita, questo [spostamento] sarebbe 2D . l0-8 Se, come avveniva nel primo esperimento, D = 2 . 10 6 lunghezze d'onda di luce gialla, lo spostamento che ci si doveva aspettare sarebbe 0.04 della distanza fra le frange di interferenza.

Nel primo esperimento una delle principali difflcoltà incontrate era quella di rigirare l'apparato senza produrre distorsione, e un'altra era la sua estrema sensibilità alla vibrazione. Questa era talmente grande che era impossibile vedere le frange di interferenza se non in brevi intervalli dal momento che lavoravamo in città, perfino alle due del mattino. Infine, come rilevato prima, la quantità da osservare, precisamente uno spostamento un po' minore di un ventesimo della distanza tra le frange di interferenza, può essere stata troppo piccola per essere rivelata essendo mascherata dagli errori sperimentali.

Le prime difficoltà nominate furono completamente superate montando l'apparato su una pietra massiccia galleggiante su mercurio; e la seconda aumentando, con riflessioni ripetute, il cammino della luce di circa dieci volte il suo valore precedente.

omissis

I risultati delle osservazioni sono espressi graficamente in Fig. 6:

La curva superiore si riferisce alle osservazioni a mezzogiorno e quella inferiore alle osservazioni serali. Le curve tratteggiate rappresentano un ottavo degli spostamenti teorici.

Sembra corretto concludere dalla figura che se c'e qualche spostamento dovuto al moto relativo della Terra e dell'etere luminifero, questo non può essere molto maggiore di 0.01 della distanza fra le frange.

Considerando soltanto il moto della Terra nella sua orbita, questo spostamento dovrebbe essere

La distanza D era circa undici metri, o 2.107 lunghezze d'onda di luce gialla, perciò lo spostamento che ci si doveva aspettare era 0.4 frange. Lo spostamento rilevato era certamente minore della ventesima parte di questo, e probabilmente minore della quarantesima parte. Ma dal momento che lo spostamento è proporzionale al quadrato della velocità, la velocità della Terra rispetto all'etere è probabilmente minore di un sesto della velocità orbitale della Terra, e certamente meno di un quarto.

In quello che precede, è preso in considerazione solo il moto orbitale della Terra. Se questo viene combinato con il moto del sistema solare, al cui riguardo si conosce davvero poco con certezza, il risultato dovrebbe essere modificato; ed è possibile che la velocità risultante al tempo delle osservazioni fosse piccola, sebbene le probabilità siano piuttosto contro questa possibilità. L'esperimento sarà quindi ripetuto ad intervalli di tre mesi e così saranno evitate tutte le incertezze.[54]

Da tutto quello che precede, appare ragionevolmente certo che se c'è un moto relativo fra la Terra e l'etere luminifero, questo deve essere piccolo; abbastanza piccolo da confutare interamente la spiegazione dell'aberrazione data da Fresnel. Stokes ha dato una teoria dell'aberrazione che assume che l'etere sulla superficie della Terra sia a riposo rispetto a quest'ultima, e solo richiede in aggiunta che la velocità relativa abbia un potenziale; ma Lorentz dimostra che queste condizioni sono incompatibili. Lorentz poi propone una modificazione che combina alcune idee di Stokes e di Fresnel, e assume l'esistenza di un potenziale, insieme con il coefficiente di Fresnel. Se ora fosse legittimo concludere dal presente lavoro che l'etere è a riposo rispetto alla superficie della Terra, secondo Lorentz non potrebbe esserci un potenziale di velocità, e anche tutta la sua teoria fallirebbe.

Note di Michelson e Morley

(I)Questa ricerca fu compiuta con l'aiuto del Bache Fund.

(II)Si può notare che la maggior parte degli scrittori ammette la sufficienza della spiegazione in accordo con la teoria dell'emissione della luce; mentre in effetti la difficoltà è perfino maggiore di quella in accordo con la teoria ondulatoria. Infatti secondo la teoria dell'emissione la velocità della luce deve essere maggiore nel telescopio pieno d'acqua e perciò l'angolo di aberrazione dovrebbe essere minore; quindi, per riportarlo al suo valore effettivo, dobbiamo fare l'assurda ipotesi che il moto dell'acqua nel telescopio trasporti il raggio di luce nella direzione opposta!

(III)Comptes Rendus, XXIII, 349, 1851; Pogg. Ann. Ergänzungsband, III, 457,1853; Ann. Chim. Phys., III, VIII 385, 1859.

(IV)Influence of Motion of the Medium on the Velocity of Light. This Journal, III, XXXI, 377, 1886.

(V)Si può obiettare che esso può sfuggire attraverso lo spazio fra il mercurio e le pareti, ma questo si può impedire amalgamando le pareti.

(VI)Archives Néerlandaises, XXI, 2me livr.

(VII)The relative motion of the earth and the luminiferous eather, by Albert A. Michelson, this Journal, III, XXII, 120.

(VIII)Si può qui menzionare che l'errore fu fatto notare all'autore del precedente articolo da M.A. Potier, di Parigi, nell'inverno del 1881.

(XI)"De l'Influence du Mouvement de la Terre sur les Phen. Lum.", in Archives Néerlandaises, XXI, 2me livr., 1886.