Dall’autobiografia di A. Bozzi Granville , medico che si iscrisse all’Università di Pavia nei primi anni del 1800.

“Ma come descriverò i sentimenti che io, insieme ai miei compagni del corso di filosofia sperimentale a Pavia, provammo il giorno in cui l’immortale Volta, alla nostra presenza, chiamò in vita questa energica potenza! Egli dapprima mise (spiegandone, mentre procedeva, l’ordine e la ragione) in contatto due pezzi metallici diversi, e su di essi una carta inumidita con acqua salata; poi, dopo aver ripetutamente collocato l’uno sull’altro questi accoppiamenti fra due metalli (fissati fra sottili sbarre di vetro) fino al numero di cento coppie, ci mostrò istantaneamente, e ci fece provare, la scintilla elettrica!
Il “vago e comodo teatrino” di Fisica, oggi Aula Volta dell’Università di Pavia

Noi eravamo affascinati.
Giacché, sebbene l’apparizione luminosa della scintilla elettrica, come risultato dello sfregamento su vetro o resina, era familiare a tutti noi, come avevano ripetutamente dimostrato gli esperimenti di Nollet e di Cavallo, la produzione del medesimo fenomeno al contatto fra due metalli diversi (un fenomeno non evanescente, bensì continuo fin tanto che la pila rimaneva intatta e la carta umida) era un fatto sensazionale che per lo meno produceva stupefazione.
Pertanto fu che, nell’aula di filosofia meccanica all’Università di Pavia, all’inizio del 1800, l’elettricità voltaica ebbe la sua nascita. Immediatamente, il primo giorno di vacanza, gli studenti che avevano più disponibilità degli altri si diedero da fare a procurarsi da casa un certo numero di soldi, che furono accuratamente lavati, ed un ugual numero di lire. Successivamente essi tagliarono dalle loro tele di lino dei pezzi rotondi, della dimensione delle monete, che vennero imbevuti di sale ed acqua, e così vennero costruite delle pile voltaiche, per produrre e studiare i fenomeni visti, imitando in tale contesto l’esempio del nostro professore.
Tali scene furono troppo sensazionali per non aver lasciato nella memoria una tale sorta di impressione che mi consente, alla distanza di quasi settanta anni, di ricordarle come una cosa di ieri”.