LE TEORIE DELLA MATERIA DURANTE LA RIVOLUZIONE SCIENTIFICA
Franco Giudice, Dipartimento di Fisica "A.Volta" Università di Pavia


1. INTRODUZIONE

Nell'atomismo antico, dove l'intera realtà era pensata come composta di atomi duri ed impenetrabili, per giustificare i processi della natura bisognava attribuire agli atomi il movimento; e questo, a sua volta, rendeva necessaria l'ipotesi di uno spazio vuoto in cui gli atomi potessero muoversi. Il vuoto era dove non c'erano gli atomi e formava gli interstizi tra le particelle. La natura di questo vuoto costituì materia di infinite controversie fino al secolo XVIII. Ad essere discusse furono essenzialmente due alternative, che peraltro traevano la loro origine dal quarto libro della Fisica di Aristotele. La prima alternativa contemplava l'esistenza di un vacuum disseminatum, che si troverebbe tra gli atomi e che pertanto sfugge, come questi, all'osservazione; mentre la seconda sosteneva l'esistenza di un vacuum separatum, uno spazio esteso di dimensione finita o infinita, all'interno del quale non vi sarebbe alcun atomo. Se si volesse rendere più chiara questa distinzione, si potrebbe parlare, nel primo caso, di microvacuum, e nel secondo di macrovacuum.
A differenza dell'atomismo classico, nel XVII secolo il vuoto, sia esso esteso o disseminato, non fu una condicio sine qua non per l'elaborazione di una teoria corpuscolare. Corpuscolaristi pienisti come, per esempio, Hobbes e Descartes, testimoniano che era pienamente accettabile assumere i corpuscoli senza ammettere il vuoto. Quei corpuscolaristi che credevano nell'esistenza di particelle minime non ulteriormente divisibili erano chiamati atomisti, mentre coloro i quali credevano che le parti fossero divisibili senza limite venivano chiamati semplicemente corpuscolaristi. Questa possibilità di distinzione, in tutti i casi, si basava sulla nozione di vacuum: coloro i quali credevano nella realtà fisica del vuoto erano atomisti, mentre quelli che lo rifiutavano erano corpuscolaristi non-atomisti.
Nell'affrontare lo studio della struttura della materia nel XVII sec. bisogna anzitutto tenere presente questo quadro generale di riferimento per evitare fraintendimenti e classificazioni di comodo, che non hanno alcun riscontro di tipo documentario. Per far vedere in che modo si è storicamente delineata la differenza fra una concezione corpuscolare e una concezione atomistica della materia, si preferisce dedicare particolare attenzione alle teorie della materia di Descartes e Gassendi.


2. PIERRE GASSENDI (1592-1655)

Fig.1. PIERRE GASSENDI (1592-1655)

Gassendi non fu il primo sostenitore dell'atomismo del XVII sec., ma fu, senza alcun dubbio, il più sistematico. Il suo tentativo di conciliare la dottrina atomistica con l'astronomia copernicana e la fisica galileiana, così come il suo sforzo di liberare l'atomismo epicureo dalle implicazioni ateistiche, fanno di Gassendi un figura peculiare nel panorama delle teorie secentesche sulla struttura materia, anche a causa delle ricadute epistemologiche e teologiche che la sua posizione comporta.
Dalla pubblicazione, nel 1624, delle Exercitationes paradoxicae adversus Aristoteleos, fino all'anno della sua morte, avvenuta nel 1655, Gassendi lavorò ad una sintesi e ad un adattamento della filosofia di Epicuro. Questo progetto raggiunse il suo culmine nel Syntagma philosophicum, una ponderosa opera apparsa postuma nel 1658. Il Syntagma philosophicum fu però preceduto da uno scritto altrettanto importante, le Animadversiones in decimum librum Diogenes Laertii pubblicate nel 1649, che contenevano come appendice un breve Philosophiae Epicuri Syntagma.
La seconda parte del Syntagma philosophicum (1658), intitolata «Pars Physica», espone la versione "cristianizzata" dell'atomismo epicureo, ed è ad essa che, in modo particolare, si verrà dedicando attenzione.
Secondo Gassendi, l'universo è composto di atomi e vuoto. La prima sezione della Physica è dedicata alla dimostrazione dell'esistenza del vuoto, alla quale non sfuggono né gli argomenti impiegati nell'antichità da Epicuro, Lucrezio e Erone di Alessandria, né quelli più recenti di Torricelli e Pascal. Riprendendo le argomentazioni tradizionali sull'argomento, Gassendi classifica il vuoto in tre categorie: il vacuum separatum; il vacuum disseminatum e il vacuum coacervatum. Il vuoto separato è il vuoto extracosmico, ossia il vuoto diffuso fuori del mondo, dove non c'è alcun atomo; il vuoto disseminato è quello che si trova fra le particelle, un vuoto quindi interstiziale interposto fra gli atomi; l'ultimo tipo di vuoto, il vuoto, per così dire, concentrato al suo interno, è prodotto dall'unione di più vuoti interstiziali tramite una forza creata dall'azione di uno strumento meccanico.
Al terzo tipo di vuoto, il vacuum coacervatum, Gassendi era particolarmente interessato, in quanto, a differenza degli altri due tipi di vuoto, non era un prodotto della natura, ma l'effetto di un'azione meccanica, essendo infatti prodotto artificialmente da una macchina. Il vuoto concentrato poteva essere prodotto sia istantaneamente, come quando l'aria è compressa in un sifone, in una pompa o in coppe di vetro, sia in tempi più lunghi, come nel caso dello spazio che si crea sopra il mercurio in un barometro. Rifiutando le spiegazioni tradizionali, che si appellavano all'idea antropomorfica in base alla quale la natura «aborrirebbe il vuoto», Gassendi interpretava questi fenomeni in termini meccanici - ovvero: con la pressione e la resistenza dell'aria, entrambe proprietà causate dalla pesantezza dell'aria. Accettava cioè la spiegazione fornita da Pascal tramite il celebre esperimento del Puy de Dôme, realizzato nel settembre del 1648 (e che lo stesso Gassendi ripetè a Toulon nel 1650), con il quale veniva spiegato che l'altezza della colonna di mercurio variava inversamente all'altitudine in cui veniva misurata: per cui il mercurio scendeva all'aumentare dell'altitudine e quindi al diminuire dell'aria superiore.
Tutti i fenomeni naturali nel sistema di Gassendi sono spiegati ricorrendo esclusivamente agli atomi e ai loro movimenti nel vuoto. Il fatto che Gassendi nel Syntagma philosophicum abbia iniziato la trattazione sulla natura del mondo fisico con questa discussione sul vuoto ha uno scopo ben preciso: far comprendere che lo spazio vuoto è il contenitore entro cui si collocano gli oggetti fisici. Stabilito ciò, inizia a considerare le entità che costituiscono l'universo e le modalità attraverso cui queste entità interagiscono.
Gassendi, prete cattolico, espunge dall'atomismo di Epicuro tutte le implicazioni ateistiche, ovvero tutti quegli elementi della dottrina epicurea che risultano incompatibili con i dogmi della religione cristiana. Anzitutto, secondo Gassendi, l'universo esige, contra Epicurum, l'esistenza di Dio. A quest'ultimo, infatti, si deve la creazione dell'universo e quindi degli atomi. Gassendi, inoltre, nega che gli atomi siano infiniti, increati ed eterni, così come rifiuta la concezione in base alla quale l'universo sarebbe generato dall'incontro fortuito di atomi.
Per Gassendi, gli atomi - le parti ultime della materia e quindi non ulteriormente divisibili - hanno le seguenti proprietà: grandezza e forma; durezza e gravità o principio del moto. Oltre a queste caratteristiche, attributo fondamentale degli atomi è la loro estrema solidità, da cui deriva l'impossibilità a dividerli. Al contrario che in Epicuro, gli atomi di Gassendi compiono movimenti in tutte le direzioni. La vis motrix, o principio interno del moto, è elemento essenziale della materia e le fu assegnata alla creazione da Dio. Gassendi indica con il termine moleculae i primi aggregati di atomi. Secondo il prete francese, le moleculae sono dotate di proprietà chimiche e di un principio interno di attività da cui dipende la generazione degli organismi viventi. Con queste revisioni, l'atomismo di Epicuro viene liberato e, per così dire, purgato delle sue insostenibili implicazioni ateistiche.


3. RENE' DESCARTES


Fig.2. RENE' DESCARTES (1592-1650)

La concezione cartesiana della natura - che si inserisce a pieno titolo in un ampio orientamento che prende piede nella prima metà del XVII sec. - è di tipo meccanicistico, e la caratteristica principale consiste nella duplice riduzione della materia ad estensione e dei fenomeni naturali a moti locali. A dare però un'impronta peculiare alla dottrina di Descartes, non è tanto un atteggiamento, peraltro facilmente riscontrabile in altri autori coevi, di critica e di rifiuto della filosofia scolastica di ispirazione aristotelica, quanto piuttosto il fatto che questa concezione anziché basarsi su presupposti empirici, si basa su un impianto razionalistico-deduttivo:
Confesso francamente che non conosco altra materia delle cose corporee che quella che può essere divisa, figurata o mossa in ogni modo, vale a dire quella che i geometri denominano quantità e prendono per oggetto delle loro dimostrazioni, e che non considero in questa materia se non le sue divisioni, le sue figure e i suoi movimenti; confesso infine che a questo riguardo non intendo accogliere come vero se non ciò che ne sarà dedotto con tanta evidenza da poter figurare come una dimostrazione matematica. E poiché in questo modo possono spiegarsi tutti i fenomeni della natura [...] ritengo che non si debbano ammettere né auspicare altri principî in fisica.
Il primo tentativo di fornire un'esposizione sistematica della propria filosofia della natura risale agli anni che vanno dal 1629 al 1633, ossia al periodo in cui Descartes stava lavorando al trattato Le Monde ou traité de la lumière, trattato che però rimase incompleto e che uscirà postumo nel 1664. Ad ogni modo, esposizioni alquanto elaborate della filosofia naturale cartesiana si trovano sia nei saggi che seguono al Discours de la méthode, specialmente i primi due, sia, ovviamente, nell'opera più ampia del 1644, cioè i Principia philosophiae.
La materia, secondo Descartes, nella misura in cui deve rispondere all'esigenza epistemologica di chiarezza e distinzione ispirata alle scienze esatte, sarà lo stesso oggetto formale della geometria. La materia, cioè, viene identificata con l'estensione a tre dimensioni, le cui parti sono fra di loro impenetrabili:
Concepiamo la materia come un vero corpo, perfettamente solido, che riempia ugualmente tutte le lunghezze, le larghezze e le profondità di questo grande spazio, in mezzo al quale abbiamo fermato il nostro pensiero, di modo che ciascuna delle sue parti occupa sempre una parte di questo spazio, così proporzionata alla sua grandezza da non poterne riempire una più grande, né restringersi in una minore, né permettere che, finché vi resti, un'altra vi trovi posto.
La materia, quindi, considerata come pura e semplice estensione, ha le medesime proprietà dell'estensione, ossia: di essere divisibile all'infinito e, di conseguenza, di assumere tutte le figure immaginabili. Le parti che ne risultano, di per sé inerti, sono suscettibili di moto locale, ovvero possono avere una diversa disposizione nello spazio. Descartes suppone che Dio abbia effettivamente divisa la materia in più parti, le une più grandi, le altre più piccole, le une di una figura, le altre di un'altra, senza interporvi alcun vuoto e mettendo in moto alcune di esse, in modo che «sin dal primo istante della loro creazione le une comincino a muoversi verso un lato, le altre verso un altro lato, le une più velocemente, le altre più lentamente [...]».
Dalla divisione e dalla ricomposizione in atto delle parti estese solide si originano in natura i singoli corpi, i cui rapporti vengono a definirsi in base allo spazio e al luogo. Fra estensione, spazio e luogo non esiste distinzione reale, ma solo distinzione di ragione.
Un aspetto rilevante della filosofia meccanicistica di Descartes è la negazione del vuoto, il quale viene identificato con il nulla, il semplice non-essere. In questo modo, il filosofo francese si oppone alle nuove correnti di ispirazione democritea. L'assunzione cartesiana si basa, oltre che sull'identificazione già rilevata di sostanza corporea, estensione e spazio, su un presupposto gnoseologico: la conoscenza sensoriale in atto non costituisce criterio esclusivo dell'esistenza o meno di una realtà fisica.
Una volta, infatti, che si identifica la sostanza corporea con l'estensione, la cui caratteristica essenziale è la divisibilità all'infinito, il rifiuto dell'atomismo segue quasi come una necessità:
Sappiamo [...] che non è possibile che esistano atomi o parti di materia per la loro natura indivisibili. Dovendo infatti queste parti essere necessariamente estese, possiamo sempre dividere ciascuna di esse, per quanto piccole vengano immaginate, in due o più parti più piccole e quindi riconoscere che sono divisibili. Non possiamo infatti dividere con il pensiero alcuna cosa senza sapere per ciò stesso che essa è divisibile; pertanto, se giudicassimo che fosse indivisibile, il nostro giudizio sarebbe in disaccordo con la conoscenza che ne abbiamo.
Ora, la divisibilità all'infinito della materia, benché escluda l'esistenza degli atomi, non implica che non si possano dare in atto particelle corporee estremamente piccole, ulteriormente divisibili in seguito all'urto reciproco. Descartes dà rilevanza alle particelle in atto, le classifica secondo la forma e le dimensioni e se ne serve per spiegare i vari fenomeni al punto da prospettare in definitiva una concezione «corpuscolare», non atomistica, della natura materiale.
La materia prima, secondo Descartes si differenzia in tipi diversi per via del moto. Ne esistono tre tipi:
1) L'elemento del fuoco è costituito da particelle sottilissime e provviste di grande agitazione, per cui possono essere separate e divise dal semplice contatto con gli altri corpi. Queste particelle non hanno alcuna figura né grandezza determinabili;
2) L'elemento dell'aria è costituito da particelle dotate di minore agitazione e di maggiore grandezza rispetto alle particelle del primo elemento. Hanno la forma di piccolissime e impercettibili sfere per cui, a contatto fra di loro, lasciano liberi degli interstizi (i pori) in cui si insinuano le particelle del primo elemento;
3) L'elemento della terra invece è costituito da particelle di grandezza e di forma irregolare, dotate di scarsa mobilità.
Questi elementi, comunque, tranne che in determinate zone dell'universo, non si trovano mai allo stato puro, poiché essi sono i costituenti specifici di tutti i corpi.
Nei Principia philosophiae Descartes puntualizza con estrema chiarezza la differenza fra la sua concezione della natura e l'atomismo antico, e quindi, indirettamente, anche moderno. Ecco i termini in cui esplicita il rifiuto della filosofia di Democrito:
essa è stata respinta in primo luogo per la ragione di supporre che questi piccoli corpi fossero indivisibili, ciò che anch'io rifiuto del tutto. Poi per la ragione che Democrito immaginava del vuoto fra di esse, mentre io dimostro che è impossibile che ve ne sia. Poi ancora per la ragione che egli attribuiva loro della pesantezza, mentre io nego che ve ne sia in alcun corpo in quanto considerato a sé solo, dato che la pesantezza è una qualità che dipende dal mutuo rapporto di più corpi fra loro.
A ciò bisogna aggiungere che Democrito, secondo Descartes, non era riuscito a fornire una spiegazione unitaria e complessiva dei fenomeni sulla base della sola collisione dei corpuscoli.
Le parti della materia, quali che siano la loro forma e le dimensioni, sono suscettibili di moto locale; e il moto locale è il solo cambiamento effettivo che ha luogo in natura, oltre alle modificazioni di figura e dimensioni, derivanti dall'urto reciproco delle parti e dalla conseguente loro frantumazione. La materia, come si è già detto, si identifica con l'estensione, e quest'ultima è sempre omogenea a sé stessa, anche se si frantuma in parti sempre più piccole. Niente più quindi mutamenti sostanziali, quali la generatio e la corruptio, e modificazioni accidentali, quali le alterazioni qualitative della cosmologia scolastica. Il moto locale e la quiete (assenza o cessazione di moto) si configurano come due diversi modi essere, ovvero come due stati della materia estesa. Questo vuol dire che il moto per Descartes non è un processo, come lo era per gli scolastici, ma uno stato dei corpi ed è sullo stesso piano ontologico della quiete: il fatto di essere in quiete o in moto non provoca nei corpi alcun mutamento.
Dal momento che non vi è spazio vuoto in natura, il moto di una parte della materia implica quello di altre parti, di quelle cioè di cui viene ad occupare il luogo e di quelle che le succedono nel posto che lascia. Di conseguenza, «in ogni movimento deve verificarsi un circolo, o anello, di corpi che si muovono insieme». Lo sviluppo di questa idea porterà alla teoria dei vortici, che costituirà una caratteristica essenziale del meccanicismo cartesiano.
La materia, in quanto estensione, è inerte: il moto delle sue parti le è stato assegnato da Dio, che
con la sua onnipotenza creò in princìpio la materia con il movimento e la quiete e con il suo concorso ordinario conserva ora nell'universo tanto movimento e quiete, quanto ve ne mise nel crearlo. Per quanto infatti il movimento non sia se non un modo della materia che è mossa, questa tuttavia ne ha una determinata quantità che non aumenta né diminuisce mai, anche se in alcune sue parti ve ne sia ora più e ora meno.
Il fatto che Dio conservi nell'universo la stessa quantità di moto che aveva all'istante della creazione, Descartes lo deriva dall'immutabilità della volontà divina. Questa quantità che rimane costante viene, tuttavia, a distribuirsi variamente nella materia, per cui lo stato in cui si trovano le sue parti si modifica in seguito all'urto reciproco - modifiche nella forma, nelle dimensioni, nella direzione, nella velocità - secondo leggi fondamentali o leggi di natura, istituite da Dio stesso come cause seconde dei moti particolari.

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Le differenze fra la filosofia atomistica di Gassendi e quella corpuscolare di Descartes sono evidenti; le analogie, d'altra parte, sono maggiori di quanto si possa sospettare. Entrambi i sistemi, infatti, spiegano tutti i fenomeni naturali interpretandoli in termini di materia e moto locale. Le leggi di natura di Descartes, ad esempio, sono regole di collisione. Di conseguenza, la differenza plenum-vacuum tende ad essere collocata in secondo piano. Il plenum di Descartes appare molto simile al vuoto concentrato di Gassendi, per quanto riguarda il moto e la collisione della materia: cioè uno spazio contenente materia celeste che ha proprietà simili al vacuum di Gassendi. Inoltre, vi è anche una possibilità di accordo anche sul problema della divisibilità della materia. Descartes, come si è visto, sosteneva la divisibilità infinita della materia ad opera di Dio e dell'immaginazione (cioè: dell'analisi matematica); Gassendi era d'accordo con questa posizione. Ma, sosteneva Gassendi, in natura gli atomi erano indivisibili. Anche se i corpuscoli di Descartes non erano indivisibili, tendevano nella realtà ad essere divisi soltanto con estrema difficoltà.