La camera oscura, l’occhio e gli effetti della «lentecchia di cristallo»

 

Alla fine del XIV secolo nuovi fermenti culturali, principalmente a Oxford e a Parigi, confluirono nella tradizione ottica della perspectiva, la piu sviluppata dal punto di vista della scienza contemporanea anche se non la piu diffusa all'epoca. Ma nel '400 e '500 non è dalla tradizione dotta che vennero contributi di rilievo allo sviluppo scientifico bensì dal mondo piu vario e piu attivo della tradizione artigianale. E in questo contesto che prende l'avvio il diffondersi, dapprima casuale e confuso, poi via via piu sistematico e preciso, di strumenti e di tecniche sperimentali che saranno tra le cause principali della rivoluzione scientifica. Lo sviluppo tecnologico che avviene in questi secoli è favorito, come si sa, dalle mutate condizioni sociali e quindi da nuove esigenze di mercato che richiedono tutta una varietà di strumenti per la navigazione, le tecniche militari, il rilevamento dei terreni, e dall'uso sempre piu diffuso dei mezzi di stampa che permettono, insieme a una divulgazione piu ampia delle informazioni scientifiche, la diffusione dei principi di costruzione e di funzionamento degli strumenti.

 

Le “lenticchie di vetro”

In particolare, per lo sviluppo dell'ottica, la scoperta (o la riscoperta) delle «lenticchie di vetro» avrà un'importanza notevole. Importate probabilmente dall'Islam si erano diffuse lentamente in Occidente già da tempo. Alla fine del 1200, in una fase di espansione dell'industria vetraria veneziana, compaiono in Italia, forse per la prima volta, gli occhiali per correggere la presbiopia. Una documentazione precisa sull'argomento tuttavia non esiste poiché, come hanno messo bene in evidenza le analisi di Vasco Ronchi [1] le lenti da occhiali sono dovute alla pratica di artigiani e di esse e difficile ricostruire l'origine storica. L'uso scientifico delle lenti per correggere la vista fu osteggiato dalla comunità dotta tardo-medievale sulla base delle teorie filosofiche e ottiche dell'epoca. Si pensava infatti che esse appartenessero al mondo delle «illusioni ottiche», un dominio di fenomeni ai confini della magia estremamente sospetto per una scienza della visione che aveva cosi strette connessioni epistemologiche e teologiche. Non c'e dunque da meravigliarsi se, in questa sezione, da una parte presenteremo dei brani riguardanti l'attività di un artigiano, per quanto geniale e illustre come Leonardo, e dall'altra faremo riferimento a un testo di magia naturale, quello di Della Porta.

Per quel che riguarda la tradizione dotta, va infine rimarcato l'unico contributo di rilievo, quello di Francesco Maurolico da Messina (1494-1574), un frate originario di Costantinopoli che ben conosceva l'opera di Alhazen. Purtroppo l'opera di Maurolico, pubblicata postuma, non ebbe influenza fra i suoi contemporanei e quindi si configura come l'illuminato contributo di un pensatore minoritario e isolato. Esempio più rappresentativo della tradizione dotta e la traduzione e il commento in italiano dell'opera di Euclide (1573) da parte di Egnazio Danti (1536-86), cosmografo del duca di Toscana. Lo stile erudito, le disquisizioni ancora legate alla filosofia scolastica, il rifiuto delle posizioni scientifiche piu recenti e raffinate ne fanno un interessante documento della vita accademica alle soglie della rivoluzione scientifica.

Come abbiamo accennato, la scoperta delle lenti di vetro fu molto probabilmente dovuta al caso e per lungo tempo esse non costituirono oggetto sistematico di studio: nei principali testi di ottica dell'epoca non vengono menzionate e quando infine Delia Porta ne parla nel De Refractione (1593) ne da una spiegazione fondamentalmente erronea. Esse, dicevamo, fanno piuttosto parte del patrimonio sperimentale degli artigiani: lo stesso termine «lenti», derivante dall'analogia con la forma delle lenticchie, aveva un'origine essenzialmente popolare e muta nel termine piu aulico di «specilli» quando le lenti entrano a far parte della tradizione dotta. Il fatto che l'uso delle lenti tardò a lungo a essere introdotto nell'ambito scientifico deriva in primo luogo dai molti e ardui problemi interpretativi che esse ponevano. Infatti, secondo le teorie correnti, la vista doveva permettere di conoscere la verità sia per mezzo delle species emanate dall'oggetto che per mezzo dei raggi visuali emessi dall'occhio. Il percorso naturale di entrambi era quello rettilineo e non v'era ragione di introdurre, tramite le lenti, modifiche a questa traiettoria. Il ritenere che queste modifiche non portassero che a illusioni va attribuito all'incapacità dell'ottica tardo-medievale di spiegare teoricamente alcuni evidenti fenomeni di riflessione e di rifrazione su superfici sferiche. Infatti era noto fino dall'antichità che raggi paralleli incidenti su uno specchio concavo nella direzione del suo asse danno luogo a un fascio di raggi riflessi che inviluppano una caustica, cioe non convergono in un fuoco ma si distribuiscono su una superficie. Non era possibile spiegare, ad esempio, come si potesse osservare in uno specchio concavo diretto verso il cielo le figure degli astri. Lo stesso avveniva per la rifrazione attraverso sfere o semisfere di vetro: i raggi rifratti intersecavano l'asse in punti differenti. Questi problemi non risolti ritardarono così lo studio delle lenti, considerate sistemi ottici ancora piu complessi.

 

Leonardo

Per quanto riguarda il contributo di Leonardo da Vinci (1452-1519), di difficile inquadramento teorico per il carattere eterogeneo e non sistematico ma di grande interesse ricordiamo una serie di osservazioni per lo più di ottica fisiologica, connesse a studi di prospettiva. Tra queste vi è lo studio sulla variazione dell'apertura della pupilla in funzione della quantita della luce entrante: «l'occhio dell'omo raddoppia in tenebre la sua popilla». La camera oscura viene messa in corrispondenza con l'occhio ma, poiché Leonardo non ne conosce perfettamente l'anatomia, i termini di paragone risultano non corretti. In particolare il cristallino viene assunto sferico e ritenuto sede del raddrizzamento delle specie che entrano capovolte nella pupilla.

 

Maurolico

I problemi della riflessione e rifrazione da sfere e semisfere di vetro vengono avviati a soluzione da padre Maurolico. La sua opera, un breve trattato scritto tra il 1521 e il 1555, fu pubblicata solo nel 1611 con le note di padre Clavio, membro del Collegio Romano. Il libro si compone di due parti, i Photismi de lumine et umbra ad perspectivam, et radiorum incidentiam facientes e le Diaphanorum, seu trasparentium partes. In esso l'autore si interesso di quasi tutti gli aspetti dell'ottica e della visione: l'illuminazione di fasci in condizioni diverse, la formazione delle ombre, la riflessione su specchi piani e sferici, la rifrazione su lamine a facce pianoparallele, su prisma e su sfere di vetro, l'arcobaleno, l'anatomia dell'occhio, il funzionamento delle lenti da occhiali. L'opera di Maurolico e atipica nel panorama del '500: sorpassa di gran lunga quella di Della Porta, e precorre con straordinaria somiglianza quella fondamentale di Keplero tanto che Ronchi adombra la possibilita che questi possa aver avuto a disposizione un manoscritto di Maurolico nella fase di stesura dei Paralipomena [2]. Di grande importanza è la definizione di raggio: superando il concetto di species Maurolico afferma che da ogni punto del corpo luminoso vengono emessi in tutte le direzioni e con continuità raggi luminosi; l'autore inoltre sostiene, sia nel caso della riflessione da specchi concavi che nel caso della rifrazione attraverso sfere di vetro, che i raggi riflessi e rifratti formano un cono con il vertice sull'asse. Riguardo alla rifrazione accetta pero la proporzionalità tra angolo di incidenza e di rifrazione, legge che sappiamo essere vera solo per piccoli angoli. Infine, nello studio dell'occhio e delle lenti, Maurolico stabilisce un'analogia tra il cristallino e le lenti convergenti di vetro e attribuisce i difetti della vista alla forma del cristallino.

 

Della Porta

Una valutazione a parte va fatta per Giovan Battista Della Porta non tanto per i suoi contributi teorici e sperimentali alla teoria della luce, del resto assai ridotti, quanto per la divulgazione di alcune applicazioni pratiche dell'ottica. Nella Magia Naturale [3] l'autore espone una serie di esperimenti curiosi con lo scopo di stupire il pubblico, in particolare nel libro XVII, illustra esempi di trucchi e di illusioni ottiche realizzati con specchi e lenti. Quel che e necessario rilevare in questo libro e il mutato atteggiamento nei confronti delle lenti, considerate dai piu «ordigni fallaci» e ingannevoli, deformanti la realtà. Della Porta, al contrario, ne proclama l'utilità e ne descrive le molteplici applicazioni come strumento che potenzia l'organo della vista. Va rilevato tuttavia ancora una volta che, sebbene l'autore faccia spesso appello alla pratica sperimentale, il libro non ha una veste scientifica in senso stretto ma piuttosto e orientato verso la pratica magica. Ciò chiarisce la tendenza da parte dell'autore a evidenziare gli aspetti prodigiosi e apparentemente inspiegabili dei fenomeni ottici. Del resto la Magia Naturale di Della Porta esemplifica assai bene gli orientamenti scientifici della seconda metà del '500 in cui la critica serrata ai dogmi medievali aveva lasciato spazio ad atteggiamenti di tipo magico. I confini tra magia e filosofia naturale erano divenuti labili, spesso indistinguibili, e a risolvere i problemi ai quali la ricerca scientifica non sapeva dare risposta, interveniva la pratica magica.

«La magia naturale, — citando uno studioso dell'epoca, — non è altro che il potere principale di tutte le scienze naturali, per cui la nominano come la vetta e la perfezione della filosofia naturale, di cui e invero la parte attiva che con l'aiuto delle forze e delle facolta naturali e mediante la loro applicazione mutua e opportuna, realizza quelle cose che sono al di sopra della ragione umana» [4]. Si deve però osservare, e Della Porta lo sottolinea in prima persona, che la magia naturale è diversa dalla magia nera: mentre la prima cerca di spiegare fatti occulti per mezzo degli usuali strumenti di indagine ed è diretta a buon fine, l'altra è «infame, e infelice poiché ha a che fare con spiriti immondi e consiste di incantamenti e di curiosità perverse». Oggetto di studi della magia naturale sono le forze di simpatia e antipatia, ritenute dominanti in natura, la teoria delle segnature che fa corrispondere all'aspetto di un corpo naturale una proprietà curativa da esso suggerita, le virtù delle pietre e delle piante, le attrazioni magnetiche, le illusioni ottiche.

In questo atteggiamento, ai confini tra la credulità popolare e la curiosità scientifica si possono individuare elementi prescientifici che apriranno la strada al metodo sperimentale e alla scienza classica: fra essi il ricorso costante all'osservazione dei fenomeni, che spesso, al di la di qualsiasi pratica spicciola e di tipo rituale, si configura come un'indagine sperimentale in piena regola. Nella Magia Naturale di Della Porta si ritrovano tutti questi elementi.

Le letture che presentiamo, dal XVII libro della Magia Naturale, testimoniano questo approccio particolare. Da notare, per quel che riguarda più direttamente l'ottica del tempo, l'analogia tra una camera oscura fornita di lente e l'occhio. La sede dell'immagine, erroneamente assunta nel cristallino, è assimilata alla parete su cui si proiettano le immagini. Nel capitolo XI l'autore menziona le lenti col termine dotto di specillum e polemizza con gli scienziati che non ne hanno saputo spiegare le proprietà. In questo capitolo, inoltre, c'è un famoso brano in cui alcuni commentatori hanno voluto vedere un'anticipazione del telescopio galileiano; ma Ronchi smentisce questo punto di vista interpretando la combinazione della lente concava e di quella convessa come un sistema per correggere l'astigmatismo. Nel capitolo IX, infine Della Porta fornisce una confusa descrizione dell'uso delio specchio concavo per costruire un telescopio.

 

Egnazio Danti

Nel commento all'Ottica di Euclide, Egnazio Danti affronta i problemi della scienza della visione da un punto di vista molto più «classico». Nelle letture riportiamo i commenti ai primi due assiomi. Il raggio visuale viene definito come linea retta uscente dall'occhio, in analogia con il raggio luminoso che porta la luce dal corpo luminoso al «corpo oppostoli». Pertanto si stabilisce una distinzione tra la linea geometrica «senza larghezza alcuna» e la linea prospettica che «avendo pur la larghezza nella quantità fisica appresso i Matematici sarà stimata superficie».

É importante asserire che ciò nonostante per Danti la prospettiva può essere considerata come scienza perchè la «visualità» della linea non ne costituisce «una differenza accidentale ma una ragione formale». A proposito della direzione dell'emissione, Danti passa in rassegna le differenti posizioni e giustifica la sua preferenza per quella di Euclide e dei «matematici» con alcuni riferimenti a Galeno e alla similitudine dei raggi uscenti con il senso del tatto, ma ancor più con la constatazione che entrambe le ipotesi sono in accordo con i teoremi della prospettiva. Completamente in disaccordo con la perspectiva trecentesca è invece la constatazione dell'intervallo spaziale che separa i raggi visuali che colpiscono l'oggetto. Questa distanza, che è giustificata dall'angolo che i vari raggi hanno tra loro uscendo dall'occhio, è contraria agli sviluppi dell'analisi della visione sulla base della corrispondenza punto-punto tra oggetto e occhio, analisi che abbiamo spesso richiamato. Inoltre, nella «seconda suppositione» Danti mantiene ancora l'idea che la base del cono visuale circoscriva la cosa vista, e che si vedano più distintamente le cose sotto angoli maggiori. Le argomentazioni di Danti sono in profondo contrasto, metodologico e di contenuto, sia con quelle vivissime di Leonardo, provenienti dalla pratica artigianale, sia con quelle «scientifiche» di Maurolico che sviluppano le tematiche «perspettiviste», sia con quelle magico-sperimentali di Della Porta.

L'incontro degli elementi più vitali di queste tradizioni avrebbe posto di lì a poco il mondo accademico di fronte a una svolta, probabilmente la più importante nella storia della scienza.



[1] Cfr. Ronchi, La storia della luce cit., cap. III e, dello stesso autore (a cura di), Scritti di ottica, Milano, Il Polifilo, 1968, p. 135.

[2] Ronchi sottolinea la straordinaria rassomiglianza di impianto teorico esistente tra l'opera di Maurolico, composta intorno al 1550, e i Paralipomena cli Keplero. Non esiste tuttavia alcuuna prova che Keplero abbia potuto in qualche modo consultare il testo di Maurolico. Su questo punto si vedano, a cura dell'autore citato, gli Scritti di ottca Cit., p. 75.

[3] Pubblicata per la prima volta nel 1558 in 4 libri, la Magiae Naturalis è stata ripubblicata, sempre in latino, nel 1611. Di quest'opera, che trovò un vasto seguito di pubblico, vennero fatte numerose riedizioni e traduzioni.

[4] La citazione è di Agrippa von Nettesheim (1486-1532) ed è tratta da M. Boas, Il Rinascimento scientifico (1450-1630) (trad. it. di E. Bellone), Milano, Feltrinelli, 1973, p. 155.