LETTERE DEL SIGNOR DON ALESSANDRO VOLTA
SULL'ARIA INFIAMMABILE NATIVA DELLE PALUDI
LETTERA PRIMA
Como, li
14. Novembre, 1776.
Carissimo amico
Quando mi scriveste primamente
della sorgente d'aria infiammabile da voi ritrovata sul principio dell'autunno, e quindi
conversammo alcuni giorni insieme, vi ricorderà quanti discorsi, e quante congetture si
fecero tra noi sul soggetto sempre più meraviglioso ed interessante delle diverse specie
d'aria, e particolarmente su quella da voi scoperta vicino
del
bel Colle,
cui bacia il Lambro il piede,
ed a cui Colombano il nome diede,
ove le viti in lascivetti intrichi
sposate sono invece d'Olmi a' Fichi
Redi, Ditir.
e come già ci disponevamo a recarci colà in
compagnia di qualche altro amatore della Storia Naturale per esaminare con agio e
attentamente il fondo cui viene tramandata cotest'aria, l'acqua attraverso alla quale essa
gorgoglia, il terreno circostante, e le falde di quegli ubertosi amenissimi Poggi. Forse
ad oggetto di conferir meco, voi vi portaste a Como; io sicuramente per associarmi a
cosiffatta spedizione e studiosa ricerca, venni con voi a Milano. Quanto me ne sapesse
male tosto che intesi svanito il bel progetto, io non vel so esprimere: buon però, che le
idee allora concepite delle ricerche da farsi ne' dintorni di quel luogo, mi partorirono,
con minor dispendio, e facilità poco aspettata, un non inferiore anzi assai miglior
successo. Che direte, s'io v'annunzio a prima giunta, che ho ritrovato e raccolto Aria
infiammabile in altre parti, ove ebbi a portarmi nel corrente autunno, e perfino qui a
Casa mia? Che, ovunque io mi trovi, mi volga a destra o a sinistra, ho ben pochi passi a
fare, perchè la terra e l'acqua mi forniscano aria infiammabile bella e preparata, e in
quanta copia mi piaccia di volerne? Così è, Amico, lo svolgersi e salir su dal fondo
attraverso all'acqua vivi gorgoglj di aria infiammabile, avvegnachè sia un fenomeno
estremamente curioso, in quanto ci sembra o raro, o quasi nuovo, e ci apre la via ad altre
importanti ricerche, non è, nè debbe più riputarsi cosa propria della sorgente da voi
osservata, da poi che io ho raccolto di tal'aria in diversissimi siti, da laghi, da
stagni, da fonti; ove però non si voglia aver in conto di singolar prerogativa il
gorgogliare spontaneamente, e in copia grande, e tratto tratto, come fa l'aria del vostro
fonte, quando negli altri conviene per lo più eccitare il gorgoglio, con ismuovere e
rimestare il fondo. Mi richiamo con compiacenza il Verbano, che mi offrì prima
d'ogni altro lo spettacolo ricercato sì, ma non isperato: quindi il mio Lario non
ismentì la concepita e fondata aspettazione; alcuni rigagnoli poi, e alcune pozze la
superarono di gran lunga.
Ecco come m'avvenne di fare la scoperta.
Sovvengavi come io proposto vi aveva (se iti fossimo là ove faceste voi il primo
ritrovamento) di fare non lungi dalla sorgente alcuni scavamenti, e ricolmatili d'acqua
sommuovere con checchessia la terra sottoposta per imprigionarne l'aria, se ve ne avea, la
quale venuta a fior d'acqua in forma di gallozzole, avremmo raccolta al modo solito in
caraffe immerse colla bocca nell'acqua, per indi esaminare se cotest'aria pure era
infiammabile, o di alcun'altra delle tante fatte a nostri dì per la prima volta
conosciute; vi soggiunsi eziandio come io andava meditando di usare cotal mezzo di
raccoglier aria e spiarla, sopra il letame, ed altre corrotte materie, quando, ripatriato,
ne avessi il comodo. Or bene, pieno di queste idee, non prima m'avvenni a guardare
un'acqua limacciosa (e ciò fu nel diportarmi in una navicella sul Lago Maggiore, e
nel costeggiare certi canneti vicini ad Angera, il giorno 3 del corrente), che
messomi a frugarvi dentro col bastone, l'aria cui vidi copiosamente portarsi a galla, mi
destò la brama di raccoglierne una buona dose in un capace vaso di vetro. Io la avrei
creduta, come era cosa ovvia, aria putrida, e flogisticata a segno di
spegnere tostamente la fiamma di una candela, se l'odore non m'indicava, che potea ben
essere aria infiammabile, odore a me tanto noto, e cui per molti esperimenti fatti debbo
pur saper distinguere, che francamente predissi alle persone le quali allora eran meco, e
ad altre che invitai la mattina seguente, 4 Novembre, che quell'aria sarebbe andata in
fiamma, spettacolo che s'avverò con loro non poca sorpresa, e mia molta soddisfazione.
Venendo ora alle minute circostanze. Quest'aria
arde assai lentamente con una bella vampa azzurrina, non altrimenti che quella da voi
ritrovata. Perchè si allumi, e ne apparisca in vago modo la fiamma, conviene che la bocca
del vaso sia larga anzi che no, perchè se è soverchiamente angusta, al presentarle una
candeletta accesa, nascono bensì degli scoppietti e molti e successivi, ma tutti
debolissimi, e tali che appena potete discernerli. Io soglio adoperare, per le esperienze
piccole, un vasello di vetro cilindrico alto dai tre ai quattro pollici, largo uno in
tutta la sua cavità, salvo che nella bocca, la quale ha intorno a un mezzo pollice di
diametro. AppressandovÏ una candela, è pur cosa graziosa il vedere coprirsi la bocca
d'una fiammetta azzurra, e questa giù scendere lento lento lunghesso le pareti del vaso,
quasi lambendole, fino al fondo; ma più bello e più curioso riesce lo spettacolo, ove
s'immerga nel vasello medesimo, per mezzo di un filo di ferro ripiegato, un mozzo di
candeletta accesa; perchè allora la fiamma di color cilestro esce più stesa e con
qualche sorta d'empito. Se la candela vien calata profondamente, s'estinge, mentre sulla
bocca l'aria arde tuttavia, e va pian piano avanzandosi verso il fondo, da cui discostando
la candela si riaccende al primo toccar la fiamma che avvampa su l'orlo. Ciò non è
appunto quello stesso che accade all'olio, allo spirito di vino ec.? Una fiaccola tuffata
in uno di cosiffatti fluidi non si spegne, che accostata alla superficie vi appicca fuoco
cosicchè allegramente ardano? Qual più bella prova di questa per dimostrare che la
stess'aria infiammabile, non altrimenti che qualunque altra sostanza accensibile, non può
ardere se non in contatto dell'aria pura atmosferica?
Sono ec. |