OPERE SCELTE

APPENDICE ALLA MEMORIA
SOPRA I FUOCHI DE' TERRENI
E DELLE FONTANE ARDENTI
OVE PARLASI PARTICOLARMENTE
DI QUELLI DI VELLEJA

Ho avuto occasione in un giro da me fatto lo scorso Maggio in compagnia d'altre dotte persone, e delle naturali cose singolarmente studiose (1), di osservare le fiamme d'un altro terreno ardente; le quali ho riconosciuto essere dell'istessa natura delle già descritte di Pietra-mala, e subire le stesse vicende: cioè null'altro essere, che aria infiammabile sorgente copiosamente in alto attraverso una terra secca, e screpolata, sprovveduta di qualsisia bitume. Questo terreno ardente si trova alcune centinaia di passi solamente lontano dalla famosa città di Velleja già da molti secoli sepolta, e scopertasi ha pochi anni nelle montagne del Piacentino (2). Siccome a quello di Pietra-mala, così pure a questo di Velleja si dà nome molto impropriamente di vulcano: ciò che potrebbe farlo incolpare dell'eccidio di cotesta antica nobile città. È però da osservarsi riguardo al primo, che non v'ha in tal luogo il minimo vestigio di eruzione, nè alcuna produzione vulcanica vi s'incontra; e riguardo alle rovine, la semplice ispezione locale ne mostra che un pezzo di montagna argillosa, come son tutte quelle che ivi sovrastano, soggette a smottare, lasciatasi giù d'improvviso, oppur anche successivamente, ha riempiuto di terra e coperto la città in un colle vicinanze. Simili frane o scoscendimenti di terra sono frequentissimi in tutta quella catena di montagne argillose o margacee, e chiamansi dagli abitanti libie o lavine. Se ne veggono qua e là di recenti, e vestigi ne rimangon dappertutto. Ci fu anzi mostrato un luogo distante men di due miglia da Velleja medesima, dove rimaser sepolte, non son che tre o quattr'anni, alcune case. Or sul luogo propriamente della città anch'essa sepolta trovasi un ampio rialzo di terreno, che non siegue l'andamento dell'altre montagne, ma è gettato di traverso, e che dechina verso un torrente chiamato Chero. Il sito delle fiamme trovasi verso il fine di questa china, direttamente sotto Velleja, e assai vicino al nominato torrente.
Non posso a meno di far qui una riflessione. Parlando dei fuochi di Pietra-mala affatto simili a questi, e convenendo aver ricorso a qualche supposizione per intendere come tant'aria infiammabile potesse colà trovarsi raccolta in vaste cavità sotterranee, quanta se ne ricerca per somministrar l'alimento continuo a tali fiamme, la prima idea che mi venne alla mente, e che proposi per la prima, fu quella di una palude e di un ammasso qualunque di sostanze vegetabili od animali, rimasto sepolto per una di quelle rivoluzioni, che è facile, io dicea, d'immaginare: il disfacimento delle quali sostanze sepolte sappiamo qual prodigiosa quantità d'aria infiammabile produce. Or qui per il terreno ardente di Velleja una tal rivoluzione non ho bisogno di proporla indovinando, non è supposizione o congettura, ma fatto certo, di cui esiste un monumento pur troppo parlante.
Eran due i luoghi, da cui s'alzavan le fiamme, e fiamme ben alte e veementi, quando noi li visitammo; un vicinissimo al torrente, l'altro alcuni passi più in su; quello piuttosto ristretto, questo considerabilmente più ampio. Ci disser le persone che seguivano accompagnandoci, tralle quali il Parroco del luogo, uomo di molta intelligenza nè ignaro di Fisica, che non sempre ardono ambedue, sendo soggetti a spegnersi, singolarmente il più picciolo; ma che si riaccendon tosto al gettarvi sopra un solfanello, un mazzetto di paglia, o qualsivoglia altro corpo acceso; che il vento piuttosto che la pioggia li spegne; che questa anzi d'ordinario fa sorger le fiamme più alte; finalmente che il più picciolo di quei terreni ardenti, che è più abbasso, rimane soventi volte coperto d'acqua; e che allora sorgon da essa copiosissimi gorgogli, che la fan tutta ribollire, sebben si senta fredda tuffandovi la mano, come ogn'altr'acqua. Tali gorgogli, ci diceva il nostro bravo Curato, sono gorgogli d'aria, che si può con un cerino infiammare a pelo dell'acqua medesima, e si può anche raccoglierla in vesciche per mezzo d'un imbuto, com'egli asseriva aver praticato più d'una volta, ed accenderla quindi a bell'agio spingendola contro la fiamma di una candela. Tanta è la copia, soggiungeva, di quest'aria che scappa fuori dall'acqua, ch'io vorrei provarmi a riempirne un pallone aerostatico, se l'avessi, sicuro di riuscirvi in poco d'ora.
Troppo ci avean detto, perchè dubbio più rimaner potesse intorno alla natura di questi fuochi. Ma anche prima di tal relazione da quel poco ch'io aveva sentito raccontarne in confuso, e dall'esempio di quelli di Pietra-mala, era più che persuaso che procedevano anche questi da null'altro che da aria infiammabile, cui per raccogliere aveva portato meco da Pavia e boccie e imbuti. Aveva anzi di più prevenuto i compagni di ciò che avremmo sicuramente veduto; un de' quali pareva tuttavia più inclinato a credere, che tali fiamme traessero il loro alimento immediatamente o mediatamente almeno da qualche vena di petrolio, tantochè si prometteva quasi di poter raccoglierne in sostanza, o di ricavare almeno della terra pregna di simil bitume.
La prima cosa che proposi di fare, dopo ch'avemmo data un'occhiata alle fiamme, e veduto che eran rossigne (tali appariano per lo splendor vivissimo del sole che vi dava addosso), senza fumo o fuliggine sensibile, e che tramandavano appena un leggerissimo odore, il quale non si potea neppur dire oleoso, la prima cosa, dico, che fu proposta e fatta ad oggetto di verificare le mie idee, è stata quella di allagare uno dei terreni ardenti. Si scelse per ciò fare più comodamente e più presto il men grande; si cavò alquanto di terra; e vi si versarono alcuni secchi d'acqua. Questo bastò ad estinguere le fiamme in tutto il sito allagato; ma non a togliere l'eruzione spontanea copiosa dell'aria, la quale salendo attraverso l'acqua medesima in grossi e frequenti gorgogli ribollir la faceva in vari siti. Allora io feci vedere a tutti, come accostando un candelino acceso alle bolle che si presentavano a galla dell'acqua, tutte vi prendean fiamma. Questa fiamma non durava, è vero, nè si estendeva su tutta la superficie dell'acqua, come avviene in altre fontane ardenti, e come succede talora anche quivi, per la ragione ch'erano i gorgogli, sebben copiosi, come s'è detto, troppo ancora distanti un dall'altro, e che vari soffrivano delle interruzioni o pause: e ciò nasceva da che al primo inzupparsi del terreno, molti screpoli e fessure avean dovuto chiudersi, ond'era l'aria sgorgante prima in piena copia, rattenuta ora in gran parte. Il trovarsi per tal modo chiuse o ingorgate sul fondo del nostro laghetto molte vie all'aria, faceva che tutt'intorno sul labbro ancor secco o appena tocco dall'acqua uscisse essa con maggior impeto, e fischiando. Intanto noi facevam versare nuov'acqua, onde soffocare in parte anche questi getti, tantochè allagato più ampiamente il terreno, non avea ormai più l'aria altra strada che quella di uscir su pel terren bagnato e attraversar l'acqua. Infatti andavan mano mano crescendo i gorgogli in vigore e in frequenza, e per qualche larga via apertasi infine stabilmente sul fondo eran già divenuti parecchi non più interrotti e vaganti, ma continui e permanenti. Di maniera che non v'ha dubbio, che durando più lungo tempo a covarvi sopra l'acqua, veduto avremmo sortirne le bolle d'aria in quella strabocchevole copia, che al riferire del nostro valente Parroco vi si osserva negli allagamenti portativi talora dalle pioggie; e avremmo potuto diffondere col candelino la fiamma su tutta o quasi tutta la superficie dell'acqua. Ma se non era così copiosa l'uscita spontanea dell'aria da dare questo bello spettacolo, lo era abbastanza perchè potessimo riempirne a talento, siccome fu fatto, le nostre boccie: una delle quali feci vedere ad accenderla un'ora dopo, essendo di là partiti; le altre ben custodite me le recai a Pavia ad oggetto di esaminar quell'aria a più bell'agio, e con maggior attenzione. Avrei desiderato per compimento, e per dare un bello spettacolo sul luogo, di avere un imbuto di ferro assai largo con canna stretta ed alta; perchè coprendo con questo le fiamme del terreno ancora asciutto, ciò che spente le avrebbe, avrei messo fuoco col candellino all'aria sulla cima del cannello, da cui uscendo essa affollata con impeto, formato avrebbe un altissimo e vaghissimo getto di fiamma.
Quello de' compagni, cui le sperienze mie comunque decisive non finivan di appagare, perchè prevenuto per il suo petrolio, faceva intanto scavare d'attorno, e incontrata una terra nericcia, credette aver trovato quel che cercava, e senza neppur esitare, ci mostrò detta terra come pregna di un tal bitume. L'odore già era per lui di vero petrolio, agli altri sembrava pure che annunciasse qualche cosa di simile; a me pareva, e non pareva. Si ebbe dunque cura di raccogliere vari pezzi di questa terra nera d'attorno all'un sito e all'altro dove ardevan le fiamme, e a diversa profondità, per quindi analizzarla. Ma quale sorpresa poi quando fu trovato, che gettata sui vivi carboni punto non metteva fiamma? E come rimase più sorpreso ancora il nostro Mineralogo, quando sottoposta avendola alla distillazione, presenti noi tutti che fummo compagni nel viaggio, non passò neppur una goccia di olio? Ecco quali furono i prodotti di 6. oncie di tal terra: 1.o dan. 4, di acqua limpida con un odore accostantesi a quello dell'acido marino; 2.o dan. 7. di acqua simile con un poco di odore empireumatico: nè l'una nè l'altra fece effervescenza cogli acidi; 3.o dan. 2. di flemma gialliccia con odore empireumatico più forte: effervescenza cogli acidi; 4.o dan. di spirito volatile acquoso ed empireumatico: effervescenza più forte; 5.o rimasero in fine nella storta oncie 4 dan. 17 di terra nera abbruciata solubile in parte nell'acqua forte. Vi furono 17 dan. di perdita, non essendosi raccolti i prodotti aeriformi, che debbono essere stati in parte aria fissa, e in parte aria infiammabile. È notabile, che prodotti poco dissimili ebbe il signor Baron Dietrich dalla terra nera da lui raccolta intorno ai fuochi di Pietra-mala (3); e già io credo che non molto diversi si ottengano da ogni terra grassa.
Poniamo ora il caso che quella nostra terra di Velleja avesse realmente fornito del petrolio, in vece che non ne ha dato nè punto nè poco, certo i suoi fautori, i sostenitori dell'antica comune sentenza avrebber menato festa, avrebbero se non relegata del tutto la mia aria infiammabile, poichè la fo vedere e toccare, lasciata almeno in disparte, poco o nulla concesso avrebbero a quella, e tutto al diletto loro bitume: senza forse cercare se tale terra ne conteneva abbastanza per somministrar l'alimento alle fiamme di cui si tratta; senza troppo badare se dette fiamme rassomiglino a quelle del petrolio, o piuttosto a quelle della mia aria infiammabile. Io però avrei fatto loro rimarcare, che nel luogo medesimo ove ardon le fiamme, non si trova neppure la detta terra nera, bensì una terra arida e secca mezzo calcinata; che quelle fiamme non dan fumo nè fuliggine sensibile, e quasi nulla di odore, quando all'incontro il petrolio, siccome ogn'altro bitume, produce fiamma molto fuligginosa e fetente. Dovendo pertanto convenire che non può essere il petrolio in sostanza che bruci a fior di terra, o entro la medesima, sarebber ricorsi ai vapori di esso provenienti da maggiore profondità. Ma è forse il petrolio volatile come gli olj essenziali delle piante? Anzi no. E poi: o questi vapori sono condensabili, e rimaner dovrebbero nell'acqua quando vien allagato il terreno che li tramanda, e soprannotarvi offerendoci uno strato di petrolio, il che non si osserva; o non sono condensabili, ma permanentemente elastici, tal che scappano dall'acqua in forma di gallozzole, che è quello che si osserva di fatto; ed ecco, ripiglio, un vero fluido aeriforme, ecco la mia aria infiammabile. E che m'importa in fondo, quando è provato che ivi esiste, e che dessa è che arde, d'onde provenga? Io stesso non ho io attribuito sempre l'origine dell'aria infiammabile, che chiamo nativa, alla lenta decomposizione delle sostanze vegetabili ed animali, di que' corpi insomma da' quali anche per distillazione si ricava una simile aria (4)? Tra questi corpi son certamente gli olj e i bitumi. Che anzi opino essere appunto la parte oleosa delle anzidette sostanze vegetabili ed animali o la sola o la principale che fornisce, tanto col processo naturale quanto coll'artificiale, l'aria di cui si tratta. Non escludo io dunque il petrolio: esso, come gli altri olj, come ogn'altra sostanza infiammabile, può decomponendosi produrre aria infiammabile; e quando quella, che si trova in quantità strabocchevole sotto i terreni ardenti di Pietra-mala, e sotto quelli di Velleja, di che non v'è più luogo a dubitare, fosse così prodotta, vorrebbe dirsi per questo che è petrolio quel che ivi arde e fiammeggia? A questa maniera quando io accendo l'aria che proviene da uno stagno, sul cui fondo trovansi legni ed erbe infradiciate che l'han prodotta, potreste dire che sono i legni e l'erbe che dan la fiamma che vi fo vedere; ma chi ha sano senso, chi non ama la confusione, distinguerà l'ardere immediato di tali corpi, e l'ardere dell'aria infiammabile già estratta da essi e raccolta a parte.
Così avrei incalzato questionando i partigiani del petrolio, se fosse loro riuscito d'ncontrarlo nel luoghi del terreni ardenti, o lì presso; ma dubito che si fossero ancora arresi, tanto può una preconcetta opinione! Ora però che per quanto si sia cercato non se n'è rinvenuto punto nè poco, è finita ogni quistione, e la causa della mia aria infiammabile, che mi si dà vinta dal compagno ormai convertito, dovrà finalmente trionfare di quanti aderenti possano ancora trovarsi all'antica opinione.
Ho detto ch'io mi proponeva di esaminare più attentamente ritornato a casa l'aria infiammabile raccolta sopra il terreno ardente di Velleja: or fia pregio dell'opera il qui esporre brevemente quello che ho trovato. Quest'aria dunque arde con una fiamma lambente azzurrognola, un po' più chiara e più grande però di quella che dà ordinariamente l'aria cavata dai fondi d'acqua stagnante. Come questa, e forse più, è dura ad accendersi colla scintilla elettrica; e com'essa vuol esser mista per lo meno a otto volte tanto d'aria atmosferica. Non manda odore sensibilmente diverso da quello dell'aria infiammabile dei fossi; bensì dà qualche poco di fuliggine, che questa non dà. Per tale proprietà, e per quella della fiamma più chiara e più grande, s'accosta un poco all'aria infiammabile che si ricava colla distillazione sia dagli olj puri, sia dalle sostanze vegetabìli ed animali. Intorno a che se si riflette come l'aria infiammabile medesima della distillazione, la quale ha un puzzo empireumatico insopportabile, ed è estremamente fuligginosa, va perdendo di quel puzzo e di quella fuligginosità a misura che si lava e si sbatte nell'acqua, come ho scoperto, accostandosi sempre più anche pel colore della fiamma all'aria nativa delle paludi, che è prodotta da una lenta e spontanea decomposizione delle medesime sostanze; se si riflette, dico, a ciò si verrà a comprendere che non differiscono sostanzialmente tra loro queste arie, e che quella del nostro terreno ardente già molto più vicina all'aria nativa delle paludi che all'altra della distillazione, se avesse come la prima i suoi natali e la culla nell'acqua, terrebbe con essa una perfetta rassomiglianza; e che l'acquisterebbe fors'anche dopo, ove sol le toccasse di soggiornare sott'acqua lungo tempo.
Mi sono proposto in questa e nell'altra memoria di trattare dei terreni e fontane ardenti in generale, e in particolare d'alcuni da me visitati, intorno ai quali ho avuto campo di far varie sperienze, onde verificare la mia opinione, cioè che le fiamme vi siano prodotte da null'altro che da aria infiammabile raccolta sottoterra, e fuori sgorgante. Nella prima memoria scritta in Francia del 1782, e recitata in un consesso accademico, avendo io preso per oggetto principale i Fuochi di Pietra-mala, sopra i quali avea fatto qualch'anno prima le mie ricerche ed osservazioni sul luogo, trovai conveniente di parlare, ed anche a lungo, della così detta Fontana ardente del Delfinato, e di riportare i sentimenti di diversi autori; giacchè, sebbene io non l'avessi visitato tal luogo, e nessuno di quelli che ce ne han dato una descrizione, sì degli antichi che dei moderni, avesse fatto parola di aria infiammabile, alcuni però ci eran venuti molto d'appresso, e, le descrizioni loro altronde sì chiaramente ci dànno a divedere tal aria, che niente quasi può desiderarsi di più. Or in questa seconda memoria scritta in Italia, comechè. l'oggetto mio particolare sia stato di riportare le nuove mie osservazioni intraprese mesi sono sull'altro terreno ardente che trovasi presso le rovine di Velleja, ragion vuole, ch'io produca pur anche qualche cosa di alcun altro simile terreno, e massime della nostra Italia, ove son tanto frequenti, riportando le altrui in mancanza delle mie osservazioni. Potrei facilmente ingrossare la. lista di tali fenomeni, e formar un volume delle descrizioni, che ne abbiamo da diversi autori (5); ma io volentieri ne tralascio molte, perchè, sebbene si possa anche da quelle chiaramente rilevare, che i fenomeni sono della stessa specìe, e quindi non altra sorgente riconoscono che l'aria infiammabile, vi mancano tuttavia le prove dirette, niun tentativo, niuna ricerca essendosi fatta per rinvenirvi tal aria: al che non era neppur possibile di pensare a' tempi in cui le accennate relazioni furono scritte, prima cioè della scoperta dell'aria infiammabile nativa. Non è che dopo tal ritrovato, il quale ci ha aperto un nuovo punto dì vista, che si potean fare le giuste osservazioni, ed esperienze sopra i terreni e le fontane ardenti, all'oggetto di scoprirne l'immediata causa. Ma fuori delle mie a Pietra-mala, e a Velleja, non so che altre ricerche siano state fatte, se non quelle del celebre mio collega Ab. Spallanzani nell'autunno scorso, le quali confermano nel più bel modo le mie conclusioni. Egli avendo, in compagnia di S. E. il Sig. Marchese Gherardo Rangone Ministro di Stato di S. A. S. il Sig. Duca di Modena, Cavaliere benemerito delle Scienze e delle Lettere, che protegge generosamente, e coltiva con frutto, deliberato di portarsi a visitare un picciol vulcano (seppure si può chiamar tale) denominato Salsa (6) di Montegibbio, lontano un miglio da Sassuolo di Modena, ed altri siti poco discosti, che presentano fenomeni simili, prese seco i necessari apparati, e gente d'ajuto, e intraprese quelle osservazioni ed esperienze, che meglio al fine conduceino di accertare la causa ricercata del fenomeno. Debbo all'amicizia del sullodato mio collega le notizie detagliate comunicatemi, e il permesso di pubblicarne un transunto.
Questo vulcanetto, che relativamente a Sassuolo è situato al Sud-est, si trova alla, sommità d'una pendice, dove forma un cumulo di terra, a guisa di pigna, sul qual cumulo a diverse ma frequenti riprese produce gorgogli del diametro di 4 in 5 pollici, nati da un'aria che si sprigiona, e da una lubrica e semifluida fanghiglia, che del continuo ne esce, e cala giù nel declive di detta pendice. Questi gorgogli nel rompersi lasciano su la fanghiglia del circoletti neri, in apparenza filamentosi, che il celebre Vallisneri, il quale nel 1711 visitò in Settembre questa Salsa, vuole che traggano l'origine dal petroleo che in quelle vicinanze si trova. Ma il vero è che tal materia nera, non manifesta indizio alcuno di quest'olio acutissimo, tanto odorandola, quanto bruciandola. Si può andare senza pericolo sopra il vulcanetto, e se dove gorgoglia vi si caccino dentro perpendicolarmente de' bastoni, o delle pertiche, queste si sprofondano poco. Non so a chi dell'Ab. Spallanzani, e dell'illustre suo compagno venisse prima in mente di fare scavare in quel luogo; lo che si fece alla profondità di 5 piedi parigini; e si trovò che là in fondo gorgogliava egualmente che in cima. In quel giorno, che era li 24 Ottobre 1784, il termometro reaumuriano marcò all'ombra su quel luogo il grado 13 sopra lo zero, e dopo l'essere restato immerso un quarto d'ora nel vulcanetto, discese fino al grado 11. Anche col dito toccando quella melmetta semifluida si sentiva fredda. Verificato, che era aria, ossia un fluido aeriforme, che sotto forma. di bolle esciva tanto di frequente dal vulcanetto, cercarono qual aria si fosse questa, e trovossi che era aria infiammabile. Co' soliti metodi ne empierono più bocce, e vider che ardeva tutta come quella delle paludi. Di più accostando un cerino acceso al vulcanetto, quando scoppiavano le bolle, si levavan'esse subitamento in fiamma. Quel gorgogliare adunque si scorge esser tutto un effetto dell'aria infiammabile, che sprigionatasi dal fondo, od anche da' lati interni del vulcanetto, viene alla superficie per aperture, e sottili strade sotterranee. Or cosa è che produce là dentro quella tant'aria infiammabile? Il nostro Ab. Spallanzani domanda qui, se non potrebbe tal aria essere prodotta dalla pirite, denominata dal Vallerio: suIphur ferro mineralizatum forma cryma crystallizata? giacchè non solo la terra eruttata dal vulcanetto abbonda di tale marcassita, ma questa eziandio ne esce di quando in quando dal medesimo all'uscirne di quella semifluida fanghiglia. Ma io piuttosto inclino a credere, che abbia origine quell'aria infiammabile, come altrove, da sostanze vegetabili od animali decomposte. Un esame più accurato di tal aria, siccome ho fatto di quella di Velleja, potrebbe chiarirne. Come che sia, con l'azione dell'aria infiammabile, conchiude l'istesso Ab. Spallanzani, s'intendono i precipui fenomeni del picciol vulcano. Quando egli lo visitò, non faceva altro che produr quelle bolle, que' gorgogli, di che si è parlato. Qualche volta però gli fu detto che infuria, e fa strepiti in modo, che si sente alla distanza di più miglia. Tre anni sono il giovedI santo, essendo il cielo piovoso, per le improvvise, e considerabili sue eruzioni si rese formidabile a' popolani di quelle vicinanze. Non è forse inutile la riflessione ch'ei fa, che in quella stagione appunto imperversavano i tremuoti in Italia, ed in altri luoghi di Europa. Adunque per testimonianza della gente che abita in una casa vicina due tiri di pietra al vulcanetto, e di altri che allora si trovavano in que' contorni, fece questo sentire in quel giorno come del piccioli colpi di cannone, e nel tempo stesso lanciò all'aria, a perdita di vista, una immensità di terra accompagnata dal fumo, che ricadeva poscia sul vulcano stesso, e ne' suoi contorni. E cosI seguitò ad infuriar per tre ore. Non era il suo cratere un picciol cono, come quando è stato dall'Ab. Spallanzani osservato, ma il circolare cratere avea di diametro due pertiche circa, dal quale venìa lanciata quella belletta semifluente. Allora poi, per quanto gli attestarono alcuni più arditi degli altri, che al vulcanetto si avvicinaron molto, non vedeasi già il cratere formare una caverna o sotterranea voragine, ma soltanto la terra semifluida che lo formava, producea, un gran tumore, o come una immensa bolla, che un momento appresso scoppiava con rumore grandissimo, e nello scoppio si vedeva con fumo lanciata in alto la terra. E questi gran tumori o bolle si formavano con prontezza grande, e si struggevano. Il più forte della eruzione durò tre ore. Poi fattasi grandemente più rimessa, per più giorni non si sollevava la terra che all'altezza d'un uomo. In seguito ritornò il vulcanetto all'ordinario suo stato, di crear cioè quelle bolle, e di mandar fuori quella melmetta tenerissima. In occasione poi della forte eruzione summentovata, quella terra semifluida colò al basso della pendice, ed andò all'ingiù alla distanza di mezzo miglio. Altre eruzioni gagliarde si sono vedute altre volte. La gente che abita la casa vicina sopra indicata, assicurò i nostri indagatori, che altra volta il vulcanetto gittò fuora una pietra sì enorme, che di essa, rotta in più pezzi, si fece calcina in gran copia, soggiugnendo di più, che la pietra immane venne cacciata a molta distanza. Riferì pure che in altra eruzione tremava, tutta la casa, e il suolo circostante, e che anzi allora la sua aja sprofondò in un lato. In queste diverse eruzioni poi, tutti d'accordo attestano che di notte tempo la fiamma era visibilissima. Come l'aria infiammabile, che in quel luogo ordinariamente non si vede ardere, prenda talora fuoco da sè, noi non c'impegniamo di spiegarlo. Diremo solo, che altri esempi occorrono di spontanee accensioni d'aria infiammabile. Del resto questa descrizione è la più interessante di tutte, presentandoci un anello, che sembra unire i terreni ardenti coi vulcani, L'aria infiammabile sarebbe dunque la causa immediata anche di questi? Certo ella vi debbe entrare per una gran parte; ma nelle grandi eruzioni vulcaniche, oltre l'aria infiammabile già svolta e raccolta nelle cave sotterranee, nuova copia se ne genera all'atto che molte sostanze minerali entrano in combustione, e queste e quella si congiungono a produrre i tanto strepitosi effetti. Ma proseguiamo colle notizie forniteci dall'Ab. Spallanzani di altre scaturigini d'aria infiammabile.
Al disotto della mentovata casa al Sud-ovest, in distanza d'un trar di pietra dal vulcanetto, ve n'è un altro, non osservato nè descritto, per quanto egli sappia, da altri, che gitta bensì fuori, e che ha gittato per l'addietro pochissima fanghiglia, ma che, quasi senza interruzione, manda gorgogli e bolle. Quest'aria da lui in più bocce raccolta, trovossi parimenti infiammabile; accostata poi una candela accesa ai gorgogli, siccome questi, dic'egli, sono quasi continui, così l'aria. infiammabile che si accende forma una fontana continua di fiamma, lunga più pollici, che rimossa la candela, con giocondo spettacolo seguita a farsi vedere per molti minuti. È stato osservato, che quando infuria il primo vulcanetto, infuria anche questo; ed è più che probabile che abbiano fra loro qualche segreta comunicazione.
A pochi passi da questo secondo vulcanetto, si trova nel fondo d'un rio un gorgogliare di acqua quasi continuo. Qui non evvi fanghiglia eruttantesi, nè eruttata, ma semplice acqua in poca copia, che scaturisce di sotterra, e con l'acqua esce aria quasi continua in forma di gorgogli; e questi gorgogli sono in cinque luoghi distinti. Quest'aria altresì con le solite pruove sperimentata, si trovò infiammabile, quantunque ardesse più difficilmente che quella dei due vulcanetti.
Non ha lasciato l'Ab. Spallanzani di esaminare la terra o fanghiglia, che è uscita, e che esce tuttavia dai due vulcanettì, e l'ha trovata margacea, siccome glielo hanno dimostrato gli acidi minerali.
Conchiude finalmente le notizie comunicatemi colla seguente. Saranno circa dodici anni, che nell'estive nostre vacanze si portò alla visita d'un altro vulcanetto (denominato. Salsa di Querzuola,. osservato altresì, e descritto dal Vallisneri, il qual vulcanetto è distante otto miglia circa da Reggio. Questo, dice egli, in tutte le sue circostanze non puote esser più simile all'altro di Montegibbio. Solamente qui la fanghiglia, che gitta, putisce estremamente d'olio di sasso. Il qual olio io dirò, che, o si truova accidentalmente in quel luogo, giacchè in altri terreni ardenti non s'incontra, oppure che da esso vien prodotta eziandio dell'aria infiammabile, come se ne produce dalla decomposizione degli altri combustibili: intorno a che rimando alle riflessioni che ho fatto già parlando dell'aria infiammabile di Velleja. Soggiunge che non isperimentò l'aria che uscìa da' gorgogli che interrottamente facea, ma l'identità de' medesimi con quelli di Montegibbio, lo rende più che persuaso, che questo pure sia tutto un giuoco d'aria infiammabile.


(1) Il Sig. Marchese POMPEO CUSANI, Cavaliere nella sua fresca età ricco di cognizioni d'ogni genere; il Sig. Abate Don CARLO AMORETTI, Secretario della Società Patrionica di Milano; e il Sig. Canonico Don GIO. SERAFINO VOLTA, Custode del Museo di Storia Naturale della R. I. Università di Pavia.

(2) Del 1757 vi è stata trovata a caso la celebre Tavola Trajana; e negli anni susseguenti furono intrapresi gli scavi, che hanno scoperto buona parte della Città, un circo ec.

(3) Lettres sur la Mineralogie ec. pag. 421.

(4) Veggansi le mie Lettere sull'aria infiammabile nativa delle paludi, e le note all'articolo Aria infiammabile nel Dizionario di Chimica del Sig. MACQUER, tradotto dal Sig. SCOPOLI.

(5) Il più degno d'essere rammentato fra i terreni ardenti è quello, che il cel. GMELIN, Osservò nella Provincia del Ghilan in Persia nel 1771. Qui, dic'egli, il terreno arde; e qui gli antichi Guebri adoratori del Sole, e del fuoco come suo simbolo, immaginarono esser la sede prediletta del loro Dio in terra, ove voleva essere particolarmente venerato. Quantunque i Turchi abbiano esterminata quella superstizione come idolatra, pure permettono ad alcuni devoti e zelanti Indiani di esercitarvi il loro culto, a un dipresso come tollerano i Cristiani nella Terra Santa. Quegli Indiani v'hanno edificati alcuni tempietti, ove fanno le preci, giusta il loro rito. Da tempo immemorabile que' fuochi ardono; ma quel che fa più al proposito nostro si è che per avere una fiamma sollevata da terra conficcano in questa de' tubi di canna, che abbasso non abbruciano, e nemmeno ardonsi in cima, sebbene fiamma accesa continuamente mettano. Questo fa vedere abbastanza non da altro essere prodotto quel fuoco, che da aria infiammabile.
Ciò non ostante il Sig. GMELIN, ignorando l'esistenza dell'aria infiammabile nativa, e sapendo altronde esservi nel Ghilan degli abbondanti pozzi ne' quali cola il nafta, immaginò che a questo solo tutto si dovesse il fenomeno. Dovea però riflettore, che nella sua ipotesi il fuoco sarebbe stato nel terreno, il che opponevasì al restare Wesi i tubi di canna, anzi i coni di carta da lui sperimentati, che conficcati nel suolo non accendeansi, ma lasciavan passare un'aria, la quale uscendo da essi infiammavasi, continuando ad ardere come una candela, di cui, soggiugne egli, fa sovente le veci.
Simile sperienza io ho fatta a Velleja fino a un certo segno, e in più bella maniera, come già dissi, l'avreì fatta, se avessi avuto un imbuto più largo, e di collo assai più alto.

(6) Probabilmente chiamasi Salsa, por esser alquanto salata la terra che vomita.