OPERE SCELTE

LETTERE DEL SIG. ALESANDRO VOLTA
PATRIZIO COMASCO
MEMEBRO DI DIVERSE ACCADEMIE
E P.P. DI FISICA SPERIMENTALE
NELLA R.I. UNIVERSITA' DI PAVIA
SULLA METEOROLOGIA ELETTRICA

Lettera Prima

28 Luglio, 27 agosto 1787 - gennaio, febbraio 1788.

Dopo aver fatta la vostra conoscenza nella maniera la più intima, dopo aver passati con tanta soddisfazione giorni intieri in vostra compagnia, dopo esserci promessa una regolare corrispondenza per comunicarci scambievolmente le nostre esperienze e le nostre idee sui differenti rami di Fisica; dopo tutto ciò sarebbesi creduto mai, che dal momento che io lasciai Gottinga, le nostre conferenze dovessero rimanere interrotte, e avessero a scorrere tre anni in un perfetto silenzio d'amendue le parti? Eppure ecco ciò che avvenne, senza fallo per mia, ma fors’anco per vostra colpa, mio caro Signore. Ardisco però di dire, che voi meritate più rimproveri di me: imperocchè avrete sicuramente raccolte in tutto questo tempo notizie e scoperte più di quello che io non ho potuto e voi medesimo ne avrete fatte di queste, di maniera che non saravvi permesso di addurre la ragione che allegherò io per mia difesa, cioè a dire la mancanza di materia. Non so per qual ragione egli è avvenuto, ch'io mi sia pochissimo applicato in questo intervallo di tempo a nuove ricerche, e non abbia fatto quasi altro che riandare quelle che da lungo tempo aveva intraprese, affine di perfezionarle vieppiù: quindi è che ho moltiplicato le sperienze eudiometriche, e le altre analoghe col mio apparato ad aria infiammabile.
Voi conoscete già all'ingrosso quest'apparato, che ho immaginato subito dopo avere scoperto il modo d'accendere con una picciola scintilla elettrica, in recipienti chiusi, differenti miscuglj d'aria infiammabile e d'aria respirabilea. Ma voi non avete veduto, nè tampoco vi ho io bene spiegato nelle nostre conferenze tutto quello che ho fatto in seguito affine di perfezionare tal apparato. Mio principale scopo è stato di farlo servire ad una grande varietà d'esperienze, delle quali si potessero notare i risultati con tutta quella maggiore esattezza e precisione, che si può esigere da un istromento fisico; e mi lusingo d'esservi pervenuto: tutte le persone almeno, alle quali ho potuto mostrare sì l'apparato, che le differenti prove a cui l'ho fatto servire, ne ri-masero molto soddisfatte.
Non è qui il luogo di darvene la descrizione: altronde non è possibile di farlo in poche righe; e non ho nè tempo nè ozio per estendermi di molto. Ho bene in mira di pubblicare tal descrizione fra qualche tempo con tutti i detaglj e le figure necessarie. Intanto vorrei pure farvi parte di alcuni risultati di queste sperienze, che forse potrebbero meritare la vostra attenzione; ma siccome anche ciò porterebbe troppo in lungo, le differisco ad altra occasione. In oggi ho da intrattenervi a lungo di cose concernenti l'Elettricità naturale od atmosferica, e a farvi parte singolarmente d'un mio ritrovato, o artifizio, picciolo in sè, ma di grandissimo uso, e vantaggio per le osservazioni di tal genere.
Innanzi tutto però conviene ch'io vi mostri a qual segno ho perfezionato il sì sensibile, comodo, ed elegante Elettroscopio inventato dal Sig. Tiberio Cavallo, e dal Sig. di Saussure già in gran parte migliorato; siccome quello stromento, che oltre al servire eccellentemente a varie delicate, ed istruttive sperienze di elettricità artificiale, si rende assai più raccomandabile per l'uso suo prestantissimo nell'osservazioni di elettricità naturale, alle quali venne dal suo inventore specialmente destinato. Tralascio, come a voi noti, i miglioramenti fattivi da Saussure, e vengo tosto ai miei.
Uno, che par cosa da nulla, ma pure è della massima importanza, consiste nel cambiare e forma e materia ai pendolini, sopprimendo le pallottole di midollo di sambuco, o d'altro, e sostituendo ai fili metallici sottilissimi due nude paglie, lunghe circa due pollici, le quali sospese per mezzo di anelletti mobilissimi pendano contigue o quasimente contigue secondo tutta la lunghezza. Qualora scelgansi due fili di paglia sottilissimi (della grossezza al più di un quarto di linea), e ben secchi, riusciranno già essi più leggieri dei fili metallici comunque esili, e molto più poi dei fili terminanti nelle solite pallottole: altronde offrendo maggior superficie si ripelleranno viemmeglio, e divergeranno, per eguali gradi di elettricità, assai più.
Un altro vantaggio che si ha con le paglie semplici si è, che il minimo loro scostamento, la minima divergenza si rende più facilmente osservabile, mercecchè tutta la linea del loro contatto, o quasi contatto, cade sott'occhio; onde scorgesi tosto, se da un tale contatto o dal parallelismo sortono i due fili di paglia il minimo che, se vengono a formare il più picciolo angolo: laddove coi fili metallici aventi in fondo le palline, restando quelli un dall'altro discosti quanto porta la grossezza di coteste palline, ed essendo altronde poco discernibili quei fili esilissimi massime quando l'elettroscopio tiensi a qualche distanza, o quando si sperimenta all'aria alquanto oscura, non si può così facilmente notare una piccola divergenza de' medesimi, un angolo di pochissimi gradi che facciano; e puossi soltanto giudicare all'ingrosso dello scostamento delle pallottole.
Ma non è egli a temersi, che le estremità di paglie così sottili, facendo officio di punte, disperdano troppo facilmente l'elettricità? No: la forza dissipatrice delle punte non è così grande, come da molti si pensa, quando si tratta di un'elettricità tanto debole, quanto quella, cui sono destinati a misurare simili strumenti, denominati perciò acconciamente micro-elettroscopj. Dirò di più che essendo in tal caso pres-sochè nulla la virtù delle punte metalliche, siccome avrò occasione di mostrare ampiamente in altro luogo, ella è poi nulla affatto quella delle punte de' conduttori imperfetti, quali sono le paglie. Ho pertanto trovato per esperienza, che de' fili di paglia quanto si voglia sottili, sol che siano secchi, e asciutto sia pure l'interno della boccetta, che li racchiude, possono divergere 10. 12. e più linee, senza dissipare per le loro punte l'elettricità, sostenendosi salde a tal divergenza, quand'è asciutto anche l'esterno della boccetta, un tempo considerabile. Che se le paglie siano notabilmente più grosse, potranno misurare un'elettricità del doppio, e del quadruplo più forte, senza punto ancora disperderla.
Dietro queste osservazioni ho costrutto per mio uso due di cotai elettroscopj tascabili, uno de' quali, provando ad adattarvi vari cilindretti, prima di paglia più grossi, poi di legno assai più pesanti, l'ho ridotto a segno di acquistare la divergenza di una sola linea per cinque che ne prende l'altro a paglie sottilissime. Or anche questo elettroscopio grossolano soffre e ritiene un'elettricità, che fa divergere i suoi pendolini 10. in 12. linee; elettricità, che è già più che sufficiente per produrre scintilla; elettricità, che può misurarsi sopra un elettrometro comune, ossia quadrante elettrometro di Henley. Al qual proposito non voglio lasciar di dirvi, che ho trovato assai comodo di ridurre anche cotesto quadrante elettrometro ad un rapporto determinato coi due miei micro-elettroscopj. Ho dunque fatto, rendendone il pendolo or più or men pesante, mediante il fargli portare palle di sovero, o di midollo di sambuco di diversa grossezza, ho fatto che 1. grado di questo strumento corrispondesse a 2. del secondo elettroscopio a paglie pesanti, e quindi a gradi 10. dell'altro più sensibile. Così quando questo, che chiamo primo elettrometro, mi segna 20. gradi, di mezza linea l'uno (oltre il qual termine non vuolsi spingere l'elettricità, se la boccetta non ha più di pollici 1 di larghezza, per ischivare che i pendolini si gettino contro le sue pareti), ho nel secondo a pendolini più pesanti gradi 4. e nel quadrante elettrometro, che chiamo terzo, gradi 2.; e in generale aggiugnendo uno zero ai gradi segnati da quest'ultimo, ho il numero de' gradi secondo la scala del primo.
Ottimamente, dirassi, se i gradi si corrispondessero sempre, nel dato rapporto dall'uno all'altro elettrometro in tutta l'estensione della scala: ma qui sta il punto; e non pare, che la cosa debba essere così. Pure egli è di fatto, che una perfetta corrispondenza regna tra il primo e il secondo, e fino a un certo segno anche tra questi e il terzo, che è il quadrante elettrometro, voglio dire dentro certi limiti, cioè non sotto i 15. gradi per quest'ultimo, nè sopra i 35.; al di qua e al di là dei quali termini abbisogna un tal elettrometro di certe correzioni. Lasciando per ora cotal istrumento, di cui unicamente a tante altre cose tratterò in certi Saggj di Elettrometria, a cui travaglio da qualche tempo, mi restringerò qui a provare l'esatta corrispondenza dei due micro-elettroscopj così ne' primi come negli ultimi gradi della loro scala. Tralle infinite sperienze, che ho fatte a quest'oggetto, ne scelgo una delle più accurate, e che vale per molte, la quale porrà la cosa sott'occhio. Ho unito per mezzo d'un fìlo di ferro i cappelletti dei due elettrometri sicchè formassero un solo conduttore; indi vi ho infuso l'elettricità con una boccia di Leyden carica a segno di far vibrare 20. gradi l'elettrometro più sensibile, e corrispondentemente 4. l'altro men sensibile: lasciando allora decadere spontaneamente l'elettricità, quando il primo elettrometro fu venuto a 17. osservai il secondo a 3. e mano mano che scese quello a 15. 12. 10. 7. 5. venne anche questo a segnar giusto 3. 2. 2. 1. 1.
Non riesce punto difficile di notare accuratamente cotesti gradi rispettivi ne' due elettrometri, mentre allorchè sono questi in buon ordine, il decadimento dell'elettricità si fa. lento lento, a segno, che vi passa più di un'ora, e talvolta più di due, e di tre, prima che s'estingua essa intieramente. Io ho fatto tali osservazioni colla massima accuratezza più e più volte, e non solamente quelle qui registrate, ma altre molte, notando tutti i gradi intermedj; e posso dire, che in tutte la corrispondenza è stata così esatta, che ho trovato il conto fino dei quarti di grado, sì per l'uno che per l'altro elettrometro.
Egli è quasi inutile il far osservare che, acciò i gradi vengano corrispondenti al segno che ho notato, conviene che la boccetta sia quadra, e che la scala applicata ad una delle faccie piane sia fatta ad arco, cioè presenti una porzione di circolo avente i pendolini per raggio. Io soglio farla di una listarella di carta, che applico con un po' di cera o di colla: de' sottili tratti di penna distanti un dall'altro una mezza linea giusta, e tutti convergenti al centro di tal arco circolare, sono altrettanti gradi. Ora per determinare con precisione a quanti di tai gradi giunge l'elettricità, è necessario di portar l'occhio al livello della scala graduata in modo, che veggasi la punta de' pendolini rasentare il lembo interno dell'arco graduato. Richiederebbesi pur anche di osservar sempre tenendo l'occhio ad eguale distanza, e. g. d'un piede dall'istrumento, ma, come già ha osservato il Sig. di Saussure, uno o due pollici di più o di meno portano sì piccola differenza nell'osservazione, che può trascurarsi. Egli trascura eziandio l'errore, che nasce dal segnare i gradi sulla circonferenza d'una campanetta o boccia cilindrica, perchè non oltrepassando mai la divergenza de' suoi pendolini sei linee, si riduce anche questo errore a poca cosa; e poi perchè non pretende il Sig di Saussure, nè può pretendere col suo strumento a tanta esattezza. Ma col mio che s'apre a più di dodici linee, e da cui posso promettermi un accordo, una regolarità scrupolosa, sarebbe peccato grande l'introdurvi un simile errore. Ecco pertanto nella forma della boccetta, e della scala altri cambiamenti importanti, che ho fatti all'elet-trometro di cui si tratta.
L'esperienza sovraesposta, e le altre analoghe, in cui fu osservata l'esatta corrispondenza di cinque gradi nell'elettrometro a paglie sottili per ciascun grado dell'altro elettrometro a cilindretti più pesanti, seguendo tutta l'estensione della scala fino a venti e più gradi, potrebbero bastare a comprovare che tutti i gradi dello stesso elettrometro sono anche eguali fra loro, cioè che stanno sempre in un giusto rapporto colla forza dell'elettricità applicata, crescendo o scemando la divergenza de' pendolini con quell'istessa gradazione onde cresce o scema tal forza, la quale viene perciò misurata con giustezza e precisione dal numero di tai gradi. Ma giova in conferma di siffatta progressione regolarissima, di tal andamento uniforme del mio elettrometro, nel che consiste veramente il suo principal pregio, recare altre prove dirette.
Il Sig. di Saussure, occupato anch'egli a determinare l'andamento del suo, non seppe trovare un mezzo sicuro di duplicare, triplicare ecc. a sua voglia una data forza elettrica; onde ebbe ricorso all'altro mezzo immancabile di ridurre una data forza alla metà, al quarto ecc. col partire tra due conduttori eguali quella d'un solo ecc. Io mo (sic) l'ho trovato anche quel mezzo da lui desiderato, e me ne sono utilmente servito: ecco qual'è.
Si sa che un Elettroforo dopo le prime scintille vigorose, che eccitato di fresco fa dare al suo scudo o cappello; in seguito poi quando si è stancato molto tormentandolo; o è rimasto lunga pezza in riposo, ei ne produce sol di mediocri o di deboli; le quali però durano sensibilmente eguali in forza per lungo tempo, e tali si mostrano dopo cento e più volte, che alternatamente sì è alzato e abbassato lo scudo. Assicuratomi dunque, che un tal riposo non indebolisce più almeno sensibilmente il vigor delle scintille, cui vibra ad ogni volta lo scudo alzato, per 50. 60. e più, che se ne tirino, ne ricevo 2. 3. 4. nell'uncino di una boccia di Leyden, finchè toccando con esso uncino il cappelletto del mio elettrometro vedo che fa aprire i pendolini di 1. o 2. gradi. Trovando per esempio, che vi vogliono tre di tali scintille per avere 2. gradi dell'elettrometro, prosieguo a riceverne nell'uncino della boccia altre tre, ed ecco che toccato come sopra l'elettrometro, i suoi pendolini s'aprono di 4. gradi giusti: con tre nuove scintille vanno a 6. gradi, e così poi crescendo di mano in mano di sempre uguali dosi la carica della boccia si portano a 8. 10. 12. 14. 16. 18. 20. 22.
L'esperienza, come si vede, è quanto semplice altrettanto decisiva; sicchè non lascia luogo a dubbio alcuno. lo l'ho fatta moltissime volte variando e boccia di Leyden, ed elettroforo, e forza di scintille, ed elettrometro, e gradi di tensione di questo corrispondente ad un dato numero di scintille; e sempre crebbe la divergenza de' pendolini del doppio, del triplo, del quadruplo, del decuplo, se d'altrettanto cresceva la dose di carica, ossia il numero delle scintille ricevute dalla boccia di Leyden. Le ho anche mostrate tali sperienze (che ricercano niente più che alcune facili attenzioni per esser fatte a dovere), a diverse persone intelligenti, le quali ne rimasero oltremodo soddisfatte.
La principale delle attenzioni richieste è che la boccia di Leyden sia scevra affatto di elettricità, allorchè si comincia a caricarla colle prime scintille dell'elettroforo. Non debbe pertanto aver ricevuto da un pezzo alcuna carica, massime forte: perchè riesce assai difficile di spogliarnela affatto, per quanto se ne tocchino e ritocchino le due armature a un tempo. Infatti si provi dopo tali replicati toccamenti a lasciar un momento in riposo la boccia, essa riacquista tosto tanto di forza da far vibrare l'elettrometro di qualche grado; e questa forza va indi a poco crescendo a più gradi, fino a produr scintilla. Una tal elettricità, come osservò bene il celebre Padre Beccaria, è quella., che rifluisce poco a poco dalla faccia nuda coibente, su di cui erasi per forza della carica alquanto diffusa, a' confini dell'armature, rientrando nelle quali crea una nuova picciola carica. Or se adoprisi una tal boccia apparentemente scaricata, ma disposta a ripigliare da sè un poco dell'antica elettricità, e la ripigli in fatti durante il tempo, che le si dà la nuova carica colle scintille dell'elettroforo; chiaro si vede che per un doppio, triplo, quadruplo numero di queste, tuttochè eguali in forza, risulterà la carica maggiore o minore di tal proporzione, secondo che quel tanto della sopita elettricità, che va da sè risorgendo, è di specie omologa, o contraria. Dicendo dunque, che l'esperienze non lascian luogo a verun dubbio, intendo parlare di quelle fatte colle debite attenzioni.
Un'obiezione però si presenta, ed è questa: la boccia, la quale a misura che riceve scintille dallo scudo dell'elettroforo va caricandosi, non le riceve più tutte intere, massime sull'ultimo, restandone addietro in esso scudo tanto di ciascuna, quanto fa equilibrio alla forza della carica già indotta nella boccia. Ciò è tanto vero, che se si progredisca assai oltre nella carica, lo scudo, dopo data la scintilla alla boccia, avrà ritenuto abbastanza di elettricità per dare un'altra scintilla ad un altro corpo. A meraviglia: ma quale mai, io ripiglio, è la forza di carica, a cui sale la boccia di Leyden colle 20. 30. 40. scintille deboli d'un mediocre elettroforo, nelle prove di cui qui si tratta? Tale da far muovere l'elettrometro sensibilissimo: 15. 18. 20. gradi al sommo. Or tanto e non più può essere il residuo di forza elettrica, che lo scudo ha ritenuto per sè dando l'ultima scintilla alla boccia; residuo, che non giunge per avventura ad 1/20 dell'elettricità che detto scudo dispiega, allorchè alzato vibra la scintilla all'uncino della boccia; mercecchè anche quando l'elettroforo è nello stato di debolezza in cui io l'adopero, pur tende il quadrante elettrometro a 40. gradi, più o meno (equivalenti a 400. del microelettrometro a paglie). Che se ha ritenuto 1/20 e non più, dando l'ultima scintilla alla boccia, debbe esso scudo aver ritenuto ancor meno a proporzione dando le antecedenti scintille, mentre era la boccia meno carica: onde vedesi, che assai meno ancora di 1/20 dobbiamo diffalcare dalla totalità e pienezza delle scintille; e che possiamo considerarle, salvo un così picciolo errore, come passate tutte intiere nella boccia. Dico salvo un così piccolo errore, che pure si osserva nella nostra sperienza, ponendovi tutta l'attenzione; tanta è l'esattezza dell'istromento: si osserva, cioè, che mancano i pendolini di un qualche mezzo grado di salire ai 16. o 20. a cui dovrebbero, secondo il numero delle scintille, arrivare. Sicchè l'obiezione svanisce; anzi rivolgesi in conferma della stupenda eguaglianza de' gradi del nostro elettrometro.
Non pare, dopo queste, che possano desiderarsi altre prove; pur non debbo tralasciare quelle fatte coll'altro mezzo sopra indicato, che è di partire in due, in quattro ecc., una data elettricità misurandola coll'elettrometro prima e dopo ciascuna divisione. Dirò dunque brevemente che tutte queste prove furono perfettamente corrispondenti, cioè che ogni volta che ho diviso per metà giusta l'elettricità, il numero de' gradi dell'elettrometro venne anch'egli precisamente alla metà, da 20. a 10., da 16. a 8., da 12. a 6., da 8. a 4. e così per tutti gli altri intermedj. Per dimezzarla poi puntualmente, ho proceduto in tre diversi modi. Il primo fu lo stesso che adoperò il Sig. di Saussure, cioè: infusa l'elettricità, or di pochi, or di molti gradi, ad uno di tali elettrometri, la compartì per un'immediata comunicazione ad altro elettrometro simile affatto, e che andava d'accordo col primo a tutte le prove.
Il secondo modo fu di porre a confronto due conduttori assai capaci, e in tutto simili (quelli di cui mi son servito il più delle volte sono cilindri cavi d'ottone, grossi un pollice, e lunghi cinque piedi, terminanti in palle di tre pollici di diametro). Avendoli dunque perfettamente isolati in giorni favorevoli alla durata dell'elettricità, ne elettrizzava uno debolmente, tanto che potessi notarne i gradi col più delicato, o coll'altro de' miei elettrometri: allora portatogli in contatto l'altro conduttore eguale non elettrizzato, e disgiuntili di nuovo, esplorando sì l'uno che l'altro separatamente coll'istesso elettrometro, mi segnava ciascuno la metà appunto dei gradi di prima: non così però se rimangano congiunti od assai vicini i due conduttori; poichè allora compenetrandosi in parte le atmosfere elettriche, cioè rinforzandosi colla mutua azione l'elettricità si dell'uno che dell'altro, sorgea in ambedue a maggior tensione, e l'elettrometro vibravasi più alto; siccome accade ogni volta che s'affacciano due conduttori animati dall'istessa elettricità. Voi, Signore, comprendete, e tutti quelli 'che hanno un'idea dell'azione delle atmosfere elettriche comprenderanno facilmente una tal cosa, senza ch'io più mi trattenga a dichiararla.
Il terzo mezzo finalmente, di cui mi son servito più spesso, è stato di dividere tra boccie di Leyden affatto eguali delle picciole cariche misurabili da' miei elettrometri. Ne ho varie di cristallo di Boemia in tutto simili per grandezza, spessezza di vetro, ed armatura. Adunque caricatane una sì, che facesse vibrare i pendolini dell'elettrometro un numero di gradi qualunque, dai due fino ai venti, la scaricava sopra d'un'altra scevra d'ogni elettricità, portandone in contatto ventre a ventre, ed uncino ad uncino, e tenendovele così unite per un buon mezzo minuto: dopo ciò, toccando sia coll'una, sia coll'altra l'istesso elettrometro, osservava immancabilmente che saliva questo appuntino con tal carica dimezzata alla metà dei gradi, a cui era salito dianzi colla carica intiera. Ho avuto piacere talvolta di scaricare una boccia sopra due altre eguali, ripartendo così la carica a tre; ed ho osservato pure, che l'elettrometro dopo tal riparto marcava un terzo giusto dei gradi di prima, e. g. 6., se erano stati 18.
Quest'ultime sperienze colle boccie di Leyden, dirette a verificare l'esatta eguaglianza de' gradi nell'elettrometro costrutto alla mia maniera, riescono generalmente meglio, che le altre coi semplici conduttori; atteso che una boccia, di Leyden ben costrutta conserva lunga pezza, anche in tempi men propizi, una carica d'egual forza, nè per poco si debilita; e ciò attesa la sua grande capacità: la qual cosa non ha luogo per i semplici conduttori, l'elettricità de' quali, comunque si abbia cura di tenerli isolati a dovere, decade a vista d'occhio se l'aria non è ben secca. Le mie boccie, che hanno il collo incrostato di ceralacca, mantengono nelle giornate più umide una carica di 20. gradi del microelettrometro per un quarto d'ora e più, senza alcuna sensibile diminuzione: del che m'accerto ritoccando colla stessa boccia l'elettrometro a varj intervalli dentro tal tempo. Ma se per questo riguardo riescono più esatte ed agevoli tali prove colle boccie di Leyden, e possono farsi con buon successo in ogni tempo; per altra parte è assai più difficile il procacciarsi due boccie, che due semplici conduttori della stessa stessissima capacità, come si desiderano; giacchè se per questi ci basta che abbiano forma e dimensioni eguali, per quelle debbe aversi riguardo inoltre alla sottigliezza del vetro, che tanto contribuisce alla capacità delle medesime. Alcune attenzioni poi ricercansi nello sperimentare colle boccie, per non cader in errore: oltre quella poc'anzi accennata, di far durare qualche tempo il contatto mutuo de' due uncini, per ben compartire la carica, senza di che la boccia che fu caricata ne ritiene alquanto più delle metà, e meno ne passa all'altra; debbesi soprattutto osservare anche qui, che sia immune veramente di elettricità la boccia che si prende per tale, e a cui vuolsi comunicare l'elettricità dell'altra caricata; e quindi che non abbia ricevuto già da lungo tempo alcuna carica, la quale, comunque apparentemente svanita affatto, potrebbe in qualche grado ristabilirsi, rifluendo dalle faccie nude, nelle armature (come si è sopra osservato), ed alterare così il resultato.
Tale è l'altra serie di prove con cui ho accertata la marcia uniforme regolarissima de' miei elettrometri a paglie, e la perfetta corrispondenza de' loro gradi. A proposito della quale debbo far osservare una cosa, che sembrerà a prima giunta una soverchia minutezza, ma che pur debbe molto valutarsi, sotto pena d'incorrere in errori notabilissimi. Essendo le paglie grosse e. g. di un quarto di linea (quelle del elettrometro più sensibile voglion essere piuttosto di meno, ma quelle del secondo, che segna un grado solo per cinque del primo, notabilmente più grosse, e. g. di mezza linea o davvantaggio), supposto che pendano contigue, i loro assi disteranno pure di un quarto di linea, che viene ad un mezzo de' miei gradi. Ma già non è bene che si tocchino; per la ragione, che non obbediscono allora alle minime ripulsioni elettriche, vinte rimanendo queste dall'attrazione di adesione che ha luogo in tutta quella linea di contatto: in prova di che, se accosterete bel bello al cappelletto dell'elet-trometro e. g. un pezzo di ceraspagna leggermente strofinato, per poco non s'apriranno le paglie; e sol quando s'avvicini dippiù il corpo elettrico, si staccheranno tutto ad un tratto con violenza, facendo un salto di due o tre gradi. E’ dunque meglio che pendano naturalmente a qualche picciola distanza, supponiamo d'un altro quarto di linea, per cui gli assi loro troverannosí in distanza di una mezza linea vale a dire di un grado giusto della mia scala: ciò, dico, è più spediente, affinchè non abbia luogo l'accennato inconveniente, e le paghe siano più obbedienti. Ma stando così, lo sono poi a segno di risentire un'elettricità di un mezzo, o di tre quarti di grado? Non già: anzi non risentono neppur quella di un grado intiero; e quando giunga ad uno e mezzo, o due gradi, si scostano di un mezzo, o di uno, e nulla più: cioè gli assi delle paglie vengono allora a segnare uno e mezzo, o due gradi compreso quell'uno che già segnavano allorchè senza punto di elettricità pendevano esse parallele: la qual cosa dee certo cagionare sorpresa.
Ho voluto provare, se lo stesso avvenisse facendo pender parallele le paglie a tale distanza, che gli assi delle medesime si trovassero a tre quarti, e fino ad una linea di distanza, cioè stessero in mira ad uno e mezzo, e fino a due gradi; ed ho trovato, che anche allora rimangono ove sono, o appena fan qualche cenno di moto, senza scostarsi notabilmente, per un'elettricità di uno e mezzo, o di due gradi. Vedesi dunque come, allorchè si vuol misurare la forza elettrica con tali elettrometri, non accade far conto di quanti gradi e frazioni di grado si siano dilungate le paglie dal sito lor naturale, o computare quanti ne abbiano realmente scorsi; ma che debbesi semplicemente osservare qual numero di gradi segnino appuntino gli assi delle medesime, e contarli per altrettanti gradi di elettricità, senza detrarne cioè i gradi o le frazioni di grado, di cui si tengono i detti assi delle paglie naturalmente discosti allorchè giacciono esse parallele e inerti. La qual cosa riesce assai comoda, perciocchè la semplice ispezione ne fa giudicare a dirittura della forza dell'elettricità.
Se mi domandaste quali sono le sperienze, con cui accertato mi sono di ciò, che ora qui avanzo, vi risponderei: quelle stesse, che valsero a provarmi l'andamento uniforme del mio elettrometro a paglie per tutto il resto della scala; voglio dire, tanto quelle di partire per metà giusta una data forza elettrica, quanto le altre tutte mie di duplicarla, triplicarla ecc. a talento. Quando a cagion d'esempio pendendo le paglie parallelamente, scevre d'ogni elettricità, i loro assi distavano tre quarti di linea cioè un grado e mezzo della scala, se una boccia di Leyden caricata con tre scintille dell'elettroforo le rimoveva tanto solo, che giugnessero i detti assi a due gradi cioè a compir giusto una linea di distanza; ognuno creduto avrebbe, che cotal forza elettrica dovesse estimarsi di un mezzo grado, poichè di tanto e non più s'eran mosse le paglie dal lor sito naturale; e che per conseguenza raddoppiando con tre altre scintille eguali la carica della boccia, dovesse poi questa promuovere la divergenza delle paglie d'altrettanto, cioè dai due gradi ai due e mezzo. Ma trovai, che la cosa va altrimenti; perocchè questa doppia carica porta dette paglie (intendasi sempre i loro assi) a quattro gradi; e così poi una carica tripla, formata cioè da nove scintille, le porta .i sei gradi, una quadrupla formata da dodici scintille a otto gradi ecc. Lo stesso avviene, dividendo per metà giusta (coll'uno o coll'altro dei metodi sopra esposti) quell'elettricità, che fa indicare alla punta delle paglie e. g. quattro gradi; giacchè cadono esattamente a due, che vuol dire ad un mezzo grado solamente sopra il lor sito naturale.
Dal che si vede, che l'errore sarebbe del quadruplo, se quell'elettricità, che comincia a movere le paglie di un mezzo grado, e di tanto solo le tien sollevate sopra la naturale lor posizione si giudicasse anch'essa di sol mezzo grado, quando nel caso, che abbiam supposto, deesi valutare di due gradi e che ebbi ben ragione di dire, che tali minute osservazioni che sembrar potrebbero soverchie, sono della più grande importanza.
Ora da tutto ciò ricaviamo ancora, che se non è bene, che le paglie, allorchè pendono parallele, siano al contatto, è però assai vantaggioso di molto che distino il meno possibile, e che siano il più possibile sottili, e dirittìssime, acciò i loro assi stian dentro di un grado. Se staran dentro di un mezzo (il che si può fare scegliendo fili di paglia non più grossi di un sesto di linea e adattandoli con diligenza), tanto meglio; poichè allora cominceranno a risentirsi d'un'elettricità di un mezzo grado. Più di così non ho potuto ancora ottenere, quantunque nella mia scala io possa benissimo discernere anche i quarti di grado. Ma a vincere l'inerzia delle paglie, ad ismoverle a principio, essendo già un pelo distanti, come lo devon essere, vi va una forza elettrica maggiore di un quarto di grado; siccome poi vuol essere di più di un mezzo, e di più di un grado intiero, se di tanto distino già da loro gli assi delle paglie, secondo che ho mostrato.
Ma e perchè mai la forza elettrica di un mezzo, di uno e fin di due gradi non si fa punto sentire o almeno non produce alcuna sensibile divergenza, ma un leggier cenno appena di moto, una certa qual librazione delle nostre paglie, allorchè pendono già da sè a cotali intervalla Chi dicesse che l'atmosfera elettrica non giunge ad estendersi più in là di quei termini, cioè che i suoi confini sono appunto per l'elettricità di un mezzo grado ad un quarto di linea dal centro, cioè dall'asse di ciascun pendolino; per quella di un grado ad una mezza linea, per quella di due gradi ad una linea ecc.; e che poi il peso de' detti pendolini leggierissimi debba valutarsi zero, cedendo essi senza alcuna notabile resistenza, e prendendo a divergere, tosto che l'atmosfera elettrica pur coll'estremità sua gli arriva, non andrebbe forsi lontano dal vero. Ciò potrebbe anche in qualche modo render ragione del divergere che fanno giusto giusto del doppio, del triplo, del quadruplo ecc. per tutto il resto della scala, con applicarvi doppia, tripla, quadrupla forza elettrica. Ma lasciando da parte queste supposizioni, ed altre che potrebbero farsi, lasciando tuttociò che riguarda direttamente o indirettamente la spiegazione, mi attengo per ora al semplice fatto, che è quello che m'importa di far conoscere.
Provata avendo in tutte le maniere possibili la perfetta eguaglianza de' gradi, e l'andamento sempre uniforme dell'elettrometro a semplici paglie, o a cilindretti di legno senza pallottole, non sarà fuor di proposito di farne un confronto con quello a pendolini di fil metallico con pallottole. Dirò dunque, che provato avendo con queste, comunque picciole e leggieri, ho visto che la faccenda non cammina più bene; non avendo luogo con simili elettrometri la stessa regolarità. Infatti egli è ben lungi che un'elettricità doppia, tripla, quadrupla, faccia divergere tai pendolini nella medesima proporzione. Dirò ancora, che il Sig. di Saussure fu il primo, siccome a far alcune delle sopraccennate prove, cioè quelle di dividere una data elettricità tra due de' suoi elettrometri portandone immediatamente in contatto gli uncini, così a notare un tal difetto dell'istrumento; e che il primo si studiò di trovarvi un compenso. Convinto egli di quanta importanza sarebbe il conoscere in qual rapporto stessero i gradi del suo elettrometro colle forze dell'elettricità, s'accinse a costrurre sopra alcune di tali esperienze una tavola di correzione. Ecco le fondamentali, che ci riferisce nell'opera ed articolo già citati. Elettrizzato uno di questi elettrometri perfettamente eguali a segno che le palline si scostassero precisamente di 6 linee; indi toccatone l'uncino con quello dell'altro elettrometro, che non era punto elettrizzato, vide che ambedue segnarono una divergenza di 4. linee, in luogo di segnarla, come conveniva di 3.: spogliato uno dei due elettrometri d'ogni elettricità, e portato di nuovo in contatto dell'altro, che riteneva tuttavia quella di 4. linee, in luogo di ridursi nell'uno e nell'altro a due linee, si compose a 2., 8.: diviso per egual modo questo residuo d'elettricità, ebbero le pallottole in ambedue gli elettrometri linea 1., 9. di divergenza; dal qual segno caddero ad 1. linea giusta colla quarta divisione. Su questi dati egli ha dunque calcolata la sua tavola di correzione da un quarto di linea (facendo di questa pic-ciolezza i suoi gradi) fino a sei linee: nella quale tavola si può vedere, come alle divergenze di 1. linea di 2. di 4. di 6. corrispondono le forze dell'elettricità nella seguente ragione cioè 4. 10. 32. 64.: e in proporzione per i gradi intermedj.
Quanto mai dunque non s'allontana un tal elettrometro a pendolini di fil metallico con pallottole da quella eguaglianza e comparabilità di gradi, di cui gode il mio a semplici paglie? E quanto non è questo preferibile a quello perciò appunto, che non ha bisogno di alcuna correzione? Non è certo un vantaggio da poco, che i suoi gradi, corrispondansi esattamente, crescendo e diminuendo nella stessa stessissima progressione aritmetica, con cui cresce o scema l'elettricità; e che cotesta puntuale regolarità abbia luogo non solo sino alla divergenza di sei linee, ultimo termine nella succennata tavola del Sig. di Saussure, ma sino alla divergenza di dieci, dodici e fin tredici linee, cioè di 20. 24. e 26. de' miei gradi: e ciò non solo nel primo elettrometro a paglie sottilissime, ma nel secondo pur anco a paglie grossette, o pendolini di legno solido. In questo modo io ho con cotesti due elettrometri da poter misurare distintamente, e con tutta l'esattezza desiderabile, mediante la semplice ispezione, ben 100. gradi di elettricità; i quali essendo segnati colla distanza di mezza linea ciascuno, lasciano campo all'occhio di giudicare de' mezzi gradi, e per l'elettrometro a paglie sottili fino dei quarti. E cosa mai può desiderarsi di più in genere di delicatezza e di comparabilità d'un istrumento fisico? Chi creduto avrebbe, che ne fosse a tal segno suscettibile l'elettroscopio, onde meritarsi a giusto titolo il nome di elettrometro? E che tale divenisse per una costruzione così semplice?
Mi si dirà forse, che per la perfezione di tale strumento non basta che siano perfettamente eguali e comparabili tra loro i gradi dello stesso elettrometro, ma che debbono essere comparabili quelli d'uno con quelli d'un altro costrutto su medesimi principj, che debbono in somma potersi fabbricare da qualsiasi artefice, e dovunque cotesti elettrometri in modo, che siano perfettamente d'accordo e diciam così unissoni, come unissoni si costruiscono e. g. i termometri: il che non pare certo potersi eseguir facilmente, richiedendosi tante cose perfettamente eguali, cioè lunghezza, grossezza, e peso delle paglie, siccome degli anellini di sospensione, e mobilità de' medesimi negli occhietti della lastretta, larghezza della boccetta che li racchiude ecc.: una delle quali cose che manchi d'essere eguale, non sì vibreranno egualmente i pendolini, non misureranno un pari numero di gradi per egual forza di elettricità. Ora qual fia il modo di cogliere giusto in tutti questi punti?
Ma svaniranno in gran parte queste difficoltà, quando si avrà provato, che una discreta mobilità di sospensione, senza che sia la maggiore possibile, permette alle pagliuzze di scostarsi quanto porta la ripulsione elettrica; e che l'istesso è del volume e peso un poco più o un poco men grande di esse paglie, quando siano del numero delle sottili. Io certo ho osservato pochissima differenza tra paglie di un ottavo e di un quarto di linea; giacchè quando eran lunghe e queste e quelle egualmente, e. g. due pollici, l'elettricità che facea divergere un paio delle prime 20. de' miei gradi, portava anche un paio delle seconde a più di 18.; sicchè la differenza non arriva a un decimo, malgrado una doppia grossezza, e un peso più che doppio. Se pertanto nello scegliere i fili di paglia, la grossezza de' quali conveniente per l'elettrometro più sensibile potrebbe fissarsi all'incirca di un sesto di linea, uno s'imbatta a prenderle di un quarto, o di un quinto più grosse che un altro, la discrepanza ne' gradi segnati da due elettrometri non verrà maggiore di un quarantesimo, o di un cinquantesimo; e probabilmente non sarà neppur tanta, e potrà quindi trascurarsi. Io mel so quanto poco influisca la grossezza e il peso delle paglie, da poichè tentando di ridurre il mio secondo elettrometro a segnare un grado solo per 5. del primo, quasi non trovai paglie grosse abbastanza; e poichè le troppo grosse mi coprivano i gradi in modo, ch'io non potea poi ben distinguerli, e molto meno distinguer potea le frazioni di essi, dovetti, scelte paglie di grossezza mezzana, renderle molto più pesanti riempiendone il vano, parte con degli stecchetti di legno, parte con filo metallico non così sottile; oppure dovetti sostituirvi de' cilindretti di legno solido.
Quello che più di tutto, e quasi unicamente influisce a fare che segnino l'estremità delle paglie un maggiore o minore numero di gradi, si è la loro lunghezza. Ho tagliato or un quarto, or un terzo, or una metà a un paio di fili di paglia che eran lunghi due pollici, e il numero de' gradi misurati per egual forza di elettricità sulla solita scala divisa in mezze linee, è stato prossimamente d'un quarto, d'un terzo, della metà minore, corrispondente cioè all'accorciamento delle paglie: novella prova che il peso delle medesime poco o nulla influisce; poichè una data forza di elettricità le apre tutte, più o meno grandi che sieno, presso a poco ad un medesimo angolo. Ma se da una parte la lunghezza maggiore o minore delle paglie influisce cotanto sul far loro percorrere più o meno gradi della stessa scala che rasentano colle loro estremità, onde la differenza di poche linee porterebbe un errore notabile; dall'altra parte non vi è niente di più facile che di schivare un tal errore, dando alle paglie precisamente l'istessa lunghezza in tutti gli elettrometri di questa specie, ed ai gradi l'istessa distanza. La lunghezza ch'io ho prescelta,e in cui sarebbe bene che convenissimo tutti, è di due pollici parigini, e la distanza dei gradi di una mezza linea.
Non debbo lasciar di dire, che questa massima influenza della lunghezza delle paglie e minima del loro peso, nel far che le loro estremità si scostino dippiù, ne offre un mezzo facile, e sicuro di ridurre un secondo elettrometro a segnare coll'istessa forza di elettricità quel numero di gradi minore, che si vuole. Tal mezzo, come ben si vede, è di accorciare quanto occorre le paglie: in che fare non essendo facile di coglier giusto a un tratto, fia bene procedere a più riprese, troncandone poco per volta, massime allorchè si è vicino al punto che si vuol ottenere. Io ho trovato, che si può senza inconveniente accorciarle fino alla metà, ridurle cioè alla lunghezza d'un pollice solo: ma non ad una molto minore; altrimenti non sussiste più la comparabilità, se non di pochi gradi, fino a 10. 12. o 15. al più, mancando pel resto della scala. Pertanto desiderandosi un elettrometro, i cui gradi siano con quelli del più sensibile in un rapporto maggiore di uno a due, e. g. nel rapporto di uno a quattro, o di uno a cinque, per non abbreviare di troppo le paglie, converrà sceglierle grossette, e renderle inoltre più pesanti con riempierne il vano, oppure sostituirvi de' cilindretti di legno solido, come già ho accennato. Io dando a cotai cilindretti o alle paglie ripiene la solita lunghezza di due pollici, li fo tali da principio, e sì pesanti, che s'aprano, e. g. un grado e mezzo con quell'elettricità, che fa aprire di cinque le paglie leggierissime dell'altro elettrometro più sensibile (e così s'aprano per 10. gradi di questo 3.; per 20., 6. ecc.): di che assicuratomi con varie prove, passo ad accorciare cotesti pendolini un pochetto per volta, ripetendo sempre con somma accuratezza le prove, finchè li riduco al segno desiderato, di aprirsi cioè per tai 20. gradi soltanto 4. per 15. 3. ecc.
Resta per ultimo ch'io osservi qualche cosa circa la maggiore o minor larghezza della boccetta in cui racchiudonsi i pendolini. Dirò dunque quello che l'esperienza mi ha insegnato, non doversi cioè far caso d'un mezzo pollice più o meno; dappoichè ogni boccetta quadra larga da venti in ventisei linee è ugualmente buona. Non è che non serva eziandio una più picciola; ma vien buona soltanto per un minor numero di gradi; giacchè i pendolini non possono aprirsi nè di 24., nè per avventura di 20. gradi, se la boccetta abbia sol quattordici o diciotto linee di larghezza, senza essere portati a gettarsi sopra le pareti della medesima, le quali per esser vicine gli attraggon fortemente.
Che dunque? converrà una boccia larghissima acciò restino que' pendoli assai distanti? Neppur questo; poichè nasce allora un altro inconveniente; ed è, che ove diffondasi un poco di elettricità nell'aria di tal boccia, vi si mantiene per qualche tempo, non valendo ad involargliela tosto le fascie metalliche, di cui vestite sono le interne pareti, appunto perchè troppo distanti. Or una tale elettricità, che dura un tempo notabile nell'aria circondante i pendolini, agisce sopra di essi, e li fa divergere in certo modo spontaneamente, senza cioè che loro s'infonda o si applichi alcuna esteriore elettricità; facendoli poi in contraccambio divergere d'altrettanto meno, ove si applichi loro un'elettricità della stessa specie; e d'altrettanto più, ove se ne applichi una contraria a quella dianzi imbevuta da tal aria rinchiusa nella boccia: dal che si vede quanto venga turbato il giuoco dell'elettrometro, e i suoi segni diventino equivoci. Dirò anche, che ha luogo un cotal poco simile inconveniente nelle boccette larghe solo due pollici, o poco più, qualora s'insista lungo tempo ad infondere ne' pendolini un'elettricità discretamente forte, di 18. o più gradi; osservandosi come, dopo averla distrutta ne' pendolini stessi, col toccare il cappelletto metallico a cui appartengono, continuano tuttavia per qualche minuto a tenersi di un grado, ed anche più divergenti. Egli è perciò, che scelgo più volentieri delle boccette larghe solo da venti in ventidue linee, le quali sono anche più comode da portarsi in tasca.
Schivate queste imperfezioni procedenti dalle boccie troppo grandi o troppo picciole, e ritenuto ciò che ho fatto osservare tanto relativamente alla mobilità de' punti di sospensione, quanto alla grossezza, e peso delle paglie, ma soprattutto quello che riguarda la loro lunghezza, io non dubito punto, che tutti gli elettrometri di questo genere non abbiano a corrispondersi con sufficiente esattezza, a riuscire cioè unissoni, da chiunque e in qualunque luogo vengano costrutti, a Ginevra, a Parigi, a Londra, a Berlino. Allora tutti i Fisici, riportando le proprie sperienze di elettricità ad una misura comune, invece delle indeterminate ed arbitrarie, di cui si valsero fin qui, verranno ad intendersi perfettamente fra loro.
Sarà però necessario di portare ad un determinato rapporto coll'elettrometro di cui parliamo, atto solo a misurare una debolissima elettricità, anche gli altri elettrometri capaci dell'elettricità forte, e fortissima: converrà, dico, che i gradi di questi rispondano a un certo determinato numero di gradi di quel primo, che vuolsi stabilire per elettrometro fondamentale.
Trattandosi di un'elettricità quattro o cinque volte sola-mente più forte, ho già insegnato come se ne possa costrurre uno sulla stessa foggia atto a misurarla. Ma ciò è ancor picciola cosa, anzi picciolissima, rimpetto all'elettricità, che si manifesta con vigorose scintille, rimpetto a quella cotanto vivace delle ottime nostre macchine, e alla strepitosa de' conduttori atmosferici in occasione di qualche temporale. Per cotal forza di elettricità non è a sperare, che alcun elettrometro a boccia possa servire; giacchè per quanto grossi si facessero i pendolini, dovendo essere senza palla toglier loro non si potrebbe di profondere gran parte dell'elettricità, che ricevessero; e questa allora trasmessa alle pareti della boccia vi si affiggerebbe, se nude fossero, verrebbe dissipata, se vestite di lamine metalliche: in ogni caso agirebbero dette pareti fortemente sopra i pendolini, in modo di turbarne affatto l'uniforme graduata divergenza, sulla quale non potendo noi più contare, sarebbe tolta ogni comparabilítà. Ma non potrebbe prendersi, affine di schivare tal errore una boccia assai larga? Rispondo che si cadrebbe allora nell'altro inconveniente, di cui ho già parlato, se non peggiore, eguale al primo; giacchè distando moltissimo le pareti della boccia dai pendolini, l'aria rinchiusa che li circonda, riceverebbe essa l'elettricità, che quelli tramandano, e riterrebbela tenacemente per delle ore, non lasciando per tutto quel tempo di agire considerabilmente sopra i pendolini ecc. È duopo dunque per l'elettricità forte ricorrere ad un elettrometro d'altra forma. Or io non trovo nulla di meglio che il quadrante elettrometro di Henley. Già da varj anni essendomi applicato a perfezionarlo, vi ho fatte varie mutazioni, e aggiunte. In seguito alle quali avendo trovato con mio grande stupore, e non minor soddisfazione, come riuscivano perfettamente comparabili, vuo' dire eguali i suoi gradi, almeno dai 15. fino ai 35., e poco men che tali anche altri cinque sotto, ed altri cinque sopra quindi dai 10. fino ai 40. (parlo di gradi di circolo), avendo, dico, trovato che dentro tali limiti non eravi bisogno di alcuna correzione, intrapresi moltissime altre sperienze colla maggior attenzione possibile; onde poter determinare accuratamente il fallo di ciascun grado inferiore ai 15. e di ciascuno superiore ai 35., per quindi apporvi la giusta correzione, e ridurli tutti comparabili: il che mi riuscì con grande stento di fare, e costrussi le mie tavole di correzione che pubblicherò un giorno nell'opera, a cui travaglio da qualche tempo, e che ha per oggetto l'Elettrometria in tutta la sua estensione. Dirò qui intanto, che sorpreso di tale regolarità di marcia per tutto l'indicato numero di gradi, la qual non si vede come possa conciliarsi colle forze meccaniche elevanti i pendoli, non lo fui punto di trovare, che sopra i 35. e massime sopra i 40. cominciasse ella a mancare, e riuscissero i gradi sempre più piccioli, riflettendo, indipendentemente dal calcolo meccanico, come il Pendolo del quadrante elettrometro, il quale dapprima risente la ripulsione elettrica soltanto dalla parte inferiore dello strumento, cioè. della colonnetta al cui mezzo è appeso, vien dopo una certa elevazione ad essere ripulso anche dalla parte di essa colonnetta superiore al punto di sua sospensione, e sempre più ripulso in ragione, che si solleva davvantaggio. Ma ben mi fece meraviglia il vedere, come lo stesso pendolo fa più piccioli che i medi, anzi picciolissimi i primi suoi gradi, a segno che non s'alza che d'un grado solo del quadrante per una forza elettrica del valore di circa tre, comparativamente a quelli compresi tra i 15. e i 35. o 36. Dirò ancora, e ciò non per farmi merito d'un'anteriorità, che poco rileva, ma per puro amor del vero, ch'io mostrava già questo quadrante elettrometro perfezionato a un buon segno fin dall'anno 1781, e al principio del 1784 anche la comparabilità dei suoi gradi dentro i limiti assegnati; facendo vedere, come collocato cotesto elettrometro a dovere, cioè all'estremità del conduttore in modo, che non abbia a rimaner punto involto dall'atmosfera elettrica, se venivasi a dividere la forza elettrica per metà, sia tra due semplici conduttori sia fra due boccie di Leyden, di capacità perfettamente eguali, 36. gradi venivano giustamente a 18.; 34. a 17.; 32. a 16.; e finalmente 30. a 15. Il che poi non aveva luogo col dimezzare un'elettricità portata al di sopra, o al disotto di tai limiti; mentre dividendo e. g. quella che teneva elevato il pendolo a 60. gradi cadeva questo assai meno della metà, venendo poco sotto ai 40.; e dividendo similmente per metà quella che alzava il pendolo a 70., discendeva esso soltanto ai 50. circa: all'incontro dimezzando e. g. 15. gradi, cadeva il pendolo più della metà, cioè fino ai 6.; dimezzando 10., s'abbassava ai 3. circa ecc. Tralle persone, a cui ebbi il piacere di mostrare in quell'anno stesso verso la fine di primavera in un coll'ìstrumento vieppiù perfezionato tali mie sperienze, e le tavole di correzione già in gran parte costrutte (fino al grado 75. del quadrante, che ne dinota di veri circa 120.), nomino a cagion d'onore il Sig. Commendatore Dolomieu valente Naturalista, e il Sig. Buttini di Ginevra il figlio, Fisico e Chimico eccellente, il quale ne rimase così soddisfatto, che desiderò da me una descrizione di tal elettrometro coi miglioramenti fattigli, e le indicate tavole di correzione.
Il Sig. De Luc trovò anch'egli (senza nulla sapere probabilmente delle mie sperienze) la stessa corrispondenza, e comparabilità di gradi, dentro a limiti presso a poco eguali, per i suoi elettrometri, diversi, ma non molto, da quelli di Henley e dai miei; e ne restò pur esso sorpreso, com'io lo fui, riflettendo, che giusta i principj meccanici un pendolo non deve già per doppia forza venir sollevato d'un doppio numero di gradi, ma assai meno. Come mai dunque, egli va meditando nella prima parte della recente sua opera Idées sur la Météorologie stampata a Parigi nel 1786, e pervenutaci ha qualche mese solamente, come mai può una forza elettrica applicata all'elettrometro a pendolo, elevar questo a un numero di gradi, che siegua la proporzione aritmetica, di detta forza, doppia, tripla, quadrupla ecc.? Egli ha cercato di spiegare in qualche maniera tal cosa; e come nulla sfugge alla sua sagacità, ha toccato con molta giustezza un punto, che a mio giudizio ancora può valere molto a rendere ragione del fenomeno. Non mi tratterrò io qui a ragionarne, per non dilungarmi troppo; tanto più che essendo senza dubbio nota a voi, mio Signore, questa nuova opera di De Luc, avrete presenti sì le sue idee (molte delle quali invero troppo ipotetiche e trascendenti), che le serie di sperienze, parte da lui fatte, parte progettate soltanto, che riguardano l'elettrometria. Soggiungerò solo, che ella è ancora più mirabile questa gradazione esattamente corrispondente alle forze del-l'elettricità ne' miei microelettroscopj a semplici paglie, poichè comincia dal bel primo grado, e siegue fin oltre ai 20., siccome ho fatto vedere; laddove per i quadranti elettrometri non comincia che dai 14. o 15. gradi all'insù, venendo meno al di sotto di tal termine, e massime pei gradi primi primi, in modo, come ho già fatto osservare, che per cinque veri non ne segna il pendolo che tre, e per tre appena uno, o poco più.
La qual variazione pe' gradi inferiori, anzi infìmi, non pare che sia stata notata dal Sig. De Luc; ed è pur tale, che può indurre in grandissimi errori, e riesce sommamente incomoda, perciò appunto che cade sul bel principio della scala. Non è già ch'io non abbia con esperienze le più accurate trovata la correzione che dee farsi anche qui per ciascuno di questi gradi inferiori ai 15., e ch'io non sappia quindi valutarli al giusto, quando l'occhio arriva a ben discernerli; ma è pur disgustoso, che un tal elettrometro sia così duro a muoversi da principio, quando anzi vorrebbesi che fosse più sensibile, sicchè non segni, o segni appena un grado per un'elettricità, che dovrebbe farlo andare a tre circa, e così poi non segni che una frazione indiscernibile, o quasi, per un'elettricità di uno e di due gradi. Ma di ciò avrò luogo di parlare ampiamente allorchè ne' miei Saggi d'Elettrometria verrò a descrivere l'istrumento con tutto ciò che riguarda sì la sua costruzione, che il suo miglior uso, e soprattutto la correzione dei gradi.
Quello che fa al presente mio argomento, e che ho in vista di proporre qui, si è la riduzione del quadrante elettrometro ad un rapporto determinato col micro-elettrometro, ossia elettrometro più sensibile ch'io ho designato per elettrometro fondamentale, in maniera che ogni grado di quello (intendasi ridotto colla correzione al suo giusto) corrisponda e. g. a dieci gradi di questo. Io ho portato facilmente il mio quadrante-elettrometro a un tal segno, armando l'estremità del suo pendolino (che è di una paglia di mezzana grossezza, lungo quattro pollici, e scorre tra due semicerchj graduati di due ponici di raggio), d'un globetto di midollo di sambuco del diametro di tre linee circa. Or tal grossezza della pallottola, ben rotonda, e liscia quant'è possibile, basta, perchè non sputi l'elettricità, se non portato il pendolo d'alcuni gradi sopra i 40., che valgono, giusta l'anzidetto ragguaglio, 400. gradi del micro-elettrornetro.
Ma l'elettricità a questo segno non è anco molto forte: essa non arriva neppure ad un terzo della carica, che può sostenere una boccia ordinaria di Leyden. Ho dunque diversi quadrantì elettrometri alquanto men sensibili, cioè a palla più grossa, i quali non ispruzzano ancora l'elettricità forte a segno di sollevare il pendolo a 70. gradi del lor quadrante; e di questi mi valgo per misurare l'elettricità più intensa, facendo le debite correzioni, giusta le mie tavole, per tutti i gradi al di sopra dei 35. e massime dei 40. Convengo però che se si potesse far senza di tali correzioni, e giudicare a dirittura dei gradi della semplice ispezione, fora assai meglio; quindi è, che adottando ciò che propone il Sig. De Luc nell'opera di già citata, più volentieri m'appiglio all'espediente di costrurre, per la misura di quelle elettricità che anderebbero ai 50. 60. 70. e più gradi, un altro elettrometro con palla, assai più grossa ancora, il quale riesce così anche men soggetto a disperderla con ispruzzi spontanei. Questo pendolo dunque vuolsi caricare d'una palla così grossa, che non abbia egli mai a sputare, nè ad oltrepassare, per la più forte carica che si può dare ad una boccia di Leyden, i 35. o al più i 40. gradi del suo quadrante: e allora cesserà il bisogno d'ogni correzione fino a tal punto; e al più una picciola se n'avrà a fare per que' pochi gradi che stan sopra ai 35. Ciò ritenuto, vuo' ridurne uno al segno, che per cinque gradi del primo quadrante elettrometro suo compagno, non marchi che un grado solob (mettendoli così nell'istesso rapporto in cui stanno tra loro gli altri miei due elettrometri a boccetta). Un grado allora di questo quadrante elettrometro secondo ne varrà 10. del secondo a boccetta, e 50. del primo fondamentale; così 35. ne varranno corrispondentemente 350. di quello, e 1750. di questo; in fine 40. (con piccola correzione) 400. dell'uno, e 2000. dell'altro: alla qual forza non giunge mai la carica di una boccia di Leyden; essendo la massima che può portare, senza o scaricarsi spontaneamente, o venire spezzata (secondo che ho potuto computare) di qualche centinaio di gradi al disotto degli anzidetti 2000.
Ma se tanto, e non più di forza può sostenere la boccia di Leyden, una molto maggiore ancora di tali 2000. gradi ne può ricevere e ritenere un semplice conduttore perfettamente isolato, liscio, e senz'angoli, il quale ascende sovente ad un segno assai più alto: e chi può dire fino a qual intensità giunga, allorchè vibra la scintilla piena a 24. e più pollici di distanza, come nelle migliori macchine elettriche d'Inghilterra, e singolarmente nella sì grande e magnifica del gabinetto di Teyler a Harlem?c
A misurare la forza, non dirò d'un'elettricità cotanto strepitosa, ma d'una che faccia scoccare attraverso l'aria la scintilla guizzante pur solo alla distanza di 14, o 15. pollici, non credo che vi possa essere quadrante elettrometro, che vaglia; poichè, come impedire che esso effonda con ispruzzi da questo, o da quel lato un'elettricità sì intensa? È dunque necessario di ricorrere a qualche altro elettrometro di diversa costruzione e forma. Io vado studiando qual potrebbe essere il migliore, e già da gran tempo ho portato il pensiero sopra d'uno simile a quello dei Signori Le Roy, e D'Arcy, descritto da quest'ultimo nelle Memorie dell'Accademia Reale delle Scienze per l'anno 1749. Penso dunque a farlo io pure a foggia di areometro o pesaliquori, con in cima alla sua asta graduata non già un piattello, come propongono i due sullodati accademici, poichè l'elettricità molto forte spruzzerebbe dagli orli, ma sibbene un'ampia sfera cava, sopravanzante intieramente, sebben di poco, l'acqua o l'olio, in cui, secondo che troverò meglio, pescherà la parte inferiore dello strumento. Ben si vede che questa palla, a misura che verrà spinta dalla ripulsione elettrica, solleverassi più alto, e trarrà fuori del bagno una tanto maggior porzione della sua asta graduata, quanto l'elettricità sarà più forte.
Un siffatto elettrometro non saprei dire in vero, se, e fino a qual segno possa riuscire comparabile. Lo giudico però per più d'un capo preferibile a quello del Sig. Lane, il quale è atto soltanto a misurare la distanza, a cui viene a scoppiare la scintilla tra due palle metalliche di una data grossezza, ed è chiamato perciò spincterometro. Checchè ne sia di tutto questo, osservo, e voi ne converrete meco, Signore, siccome pure tutti quelli che sono nella scienza elettrica versati, che non interessa poi tanto di poter misurare con tutta esattezza siffatti gradi eccessivi di elettricità, a cui non può giugnere mai la carica di una boccia di Leyden, e molto meno quella di una batteria, come importa di misurare i gradi medj, e i piccioli, entro i quali si limitano per lo più le nostre sperienze.
S'ella è così, contentiamoci, per ora almeno, dei due quadranti elettrometri proposti, il primo dei quali misuri co' suoi gradi fino ai 35. od anche ai 40. altrettante decine di gradi dell'elettrometro a boccetta più sensibile, e il secondo per ogni suo grado ne dia 5. di quello, e corrispondentemente 50. dell'altro: contentiamoci, dico, di salire così con una scala comparabile fino ai 1750. e con picciola correzione fino ai 2000. gradi. E chi ardirà di dire, che si sia fatto poco con ciò? Forsechè i termometri vanno a un numero di gradi maggiore? (parlo di gradi perfettamente comparabili). Forsechè non restan addietro tutti i termometri, e pirometri dai gradi massimi di calore, che la natura o l'arte sa produrre? Del resto anche tali gradi massimi di elettricità misurar si possono, comunque all'ingrosso, non che dal tiro e fragore della scintilla, da diversi altri segni esterni, quali sono l'estensione della sfera d'attività, i pennoncelli spontanei, il venticello, l'odore; come altresì dagli effetti più o men grandiosi sopra diversi corpi, e. g. dalle scosse, dalle accensioni, fusioni ecc.: in quella maniera che i gradi dell'intensissimo calore si misurano appunto anch'essi all'ingrosso dal colore, e stridore delle vampe, dalla distanza a cui si fa sentire, e dagli effetti di fondere, calcinare, vetrificare ecc.
Or vengo a proporre un altro modo che ho immaginato di rendere comparabili i quadranti elettrometri indipendentemente dal confronto coll'elettrometro a boccetta. Si sa che, acciò la scala di uno strumento sia perfettamente d'accordo e coincida grado per grado con quella di un altro, bisogna trovare due termini fissi e invariabili, come son quelli per esempio della fusione del ghiaccio, e dell'ebollizione dell'acqua per la scala del termometro; e dividere poi conviene in un dato numero eguale di gradi l'intervallo tra questi due termini. Ora per l'elettricità, noi abbiamo già, senza cercarlo, un termine fisso da cui partire, che è il zero di elettricità, ossia la niuna ripulsione elettrica, la quiete del pendolino nel nostro quadrante elettrometro. Non abbiam dunque bisogno, che di trovare l'altro termine, cioè un grado fisso e invariabile di forza elettrica: trovato il quale altro non resterà, che di fargli coincidere un determinato grado del quadrante elettrometro; e così la scala avrà una regola certa e fissa; e quanti istromenti si costruiscano di questa maniera andran tutti d'accordo. Or io mi lusingo di poter fissare invariabilmente questa tal forza elettrica col determinare la quantità di ripulsione, che ne nasce tra due date superficie metalliche. Sia dunque un piattello d'ottone di cinque pollici e. g. di diametro, e tre o quattro linee di grossezza negli orli, sospeso con lunghi cordoncini di seta ad un braccio di bilancia (tenendo così luogo d'una delle coppe), e riducasi all'equilibrio: ciò fatto, senza movere la bilancia dal giudice, venga tal piattello a posare sopra un altro simile in tutto a lui, e sorretto da una colonnetta isolante. In questo stato, se una boccia di Leyden, o in altra maniera, s'infonda ne' due piattelli qualche elettricità, tosto il superiore verrà spinto in su, e allontanato dall'inferiore, onde vedrassi la bilancia traboccare dall'altra parte. Or si carichi quel piattello del peso di un danaro, di due, di tre ecc., è chiaro che ci andrà maggior forza,elettrica per cacciarlo in alto, secondo che troverassi aggravato da maggior peso; siccome è chiaro ed evidente, che caricandolo sempre dell'istesso peso, richiederassi pur sempre l'istessa forza elettrica a sollevarlo un tantino, sicchè la bilancia ne dia cenno. Se pertanto determinisi con precisione sì la superficie, che si vuol dare ai due piattelli, che il peso il quale dee venir superato dalla ripulsione elettrica di quelle date superficie piane poste al contatto, si avrà una forza di elettricità parimenti determinata, cioè quel grado che fisso, cerchiamo. Allora facciasi, che a tal grado ne coincida uno pur esso determinato del quadrante elettrometro, a cagion d'esempio il 20 il 30, e il tutto sarà ridotto al segno.
Sarà spediente di fissare un grado alto anzichenò, affine che l'esperienza abbia più latitudine, non però sopra i 35., al di là del qual termine non son più tra loro comparabili i gradi del quadrante elettrometro senza qualche correzione. Io dunque sceglierei il 30. o il 35.
In qual maniera poi si possa da ognuno, che vorrà mettere d'accordo il suo strumento col mio, ridurlo cioè al segno di marcar giusto i 30. o i 35. gradi, che saranno stati fissati, tostochè il piattello del dato diametro è gravato del dato peso (delle quali cose tutte dovrà convenirsi) comincia a sollevarsi, e la bilancia fa cenno di traboccare, in qual maniera, dico, si possa un tal accordo del quadrante elettro-metro colla bilancia ottenere, è facile il comprenderlo: e si dee procedere a tastone. Comincisi a provare con un quadrante elettrometro, che abbia la pallottola di mediocre grossezza; e se si vede, che con quella data forza di elettricità, che leva appena il piattello, il pendolo resti più basso dei 30. gradi, che suppongo essere stati fissati, si cambi la pallottola con una più leggiera; se all'incontro viene che s'alzi troppo, si sostituisca una pallottola più pesante; e così provandone varie si troverà finalmente quella, che va al segno.
Convenuto dunque che avremo di queste tre cose, del diametro che si vuol dare ai piattelli, del peso onde andrà gravato quel d'essi che tiene alla bilancia, e del grado cui dee segnare il quadrante elettrometro per quell'elettricità che vince appena tal peso, riusciranno tutti gl'istrumenti di questa specie comparabili, cioè d'accordo tra loro, nulla meno di quel che lo riescano i termometri. Dirò di più, ch'io confido tanto in questo mezzo, che preferire lo vorrei a quello da me già proposto di sopra, di ridurre cioè il quadrante-elettrometro a un dato rapporto coi gradi degli elettrometri a boccetta; e che in luogo di fissar uno di questi per elettrometro fondamentale, penso a costituir piuttosto quello per norma, e a ridurre quindi al desiderato rapporto con esso lui tanto i detti elettrometri a boccetta, destinati a misurare i piccoli gradi di elettricità, quanto un secondo quadrante elettrometro, che serva per l'elettricità molto forte, e potendosi anche quello a foggia di pesaliquori per la fortissima.
Non sarà difficile infatti di ridurre prima un di quegli elettrometri a boccetta, e a paglie grossette al segno di marcare un doppio numero di gradi di tal quadrante elettrometro fondamentale, cioè 20. per 10., 16. per 8. ecc., indi di ridurre l'altro pure a boccetta e a paglie sottilissime a segnare cinque gradi per uno del compagno, e dieci per conseguenza per uno del quadrante elettrometro già detto: siccome non lo sarà di ridurre un secondo quadrante elettrometro, mercè il caricarne il pendolo di grossa palla, a segnare cinque volte men gradi dell'altro fondamentale, cioè 6. per 30. ecc. Più difficile riuscirà per avventura il proseguire la gradazione sempre comparabile più in su coll'altra foggia di elettrometro galleggiante, che ho soltanto accennato; ma già ho fatto osservare che di ciò non abbiam tanto bisogno. Saremo dunque contenti, il ripeto, della divisata serie di elettrometri, di un pajo cioè a boccetta, e d'un altro pajo a quadrante, coi quali saliamo a ben 2000. gradi: e molto più saremo contenti, poichè parlando di questi gradi, non più indeterminati ed arbitrari (come lo furono infino ad ora, che ciascun Fisico si serviva d'un elettrometro, e d'una scala fatta a fantasia), ma fissi e corrispondenti, c'intenderemo perfettamente.
Dopo una sì lunga, ma spero non inutile digressione sugli altri elettrometri, ritorno a quel sì delicato a boccetta, di cui mi era proposto unicamente di parlare in questa lettera, con farvi parte de' miglioramenti e delle aggiunte che vi ho fatte. Veduti avete fin qui i miglioramenti sostanziali e intrinseci; resta ch'io v'informi d'uno in certo modo estrinseco ossia accessorio, giacchè non appartiene propriamente all'elettrometro come tale, riducendosi piuttosto ad un artifìcio, onde render atto cotesto strumento a dar segni di un'elettricità estremamente debole, sicchè con tutta la sua sensibilità ei non potrebbe senza quell'ajuto manifestarla. Quest'artificio, voi forse già l'indovinate, consiste a riunire all'elettrometro medesimo il Condensatore. Solamente un anno dopo ch'io ebbi pubblicato nelle Transazioni Anglicane cotesta mia invenzione del Condensatore dell'elettricità, mi suggerì di unirlo immediatamente, e farne un corpo solo coll'elettrometro a boccetta, nel modo che or ora dirò. Il Sig di Saussure pensò anch’egli, non so se prima o dopo, ad un simile artificio; adoperando però diversamente. Vide, che potea profittare della lastra metallica da lui posta per fondo alla sua campanetta di vetro, facendole far l'officio di piatto del condensatore, col posarla sopra un piano di marmo asciutto, sopra un taffettà verniciato, sovra un incerato, od altro qualunque semi-coibente. Vide cioè, che toccando e. g. con una boccia di Leyden debolissimamente carica cotesta base metallica dell'elettrometro, in tempo che stassì con tutta la piana superficie applicata all'altra superficie semi-coibente, vi si raccorrebbe in molto maggior dose l'elettricità della boccia medesima, che se detta base o lastra si trovasse perfettamente isolata, come ho ampiamente dimostrato nella mia memoria sopra il Condensatore; e che quindi levato in alto pel suo uncino, o cappello l'elettrometro, essa lastra o base metallica dispiegando una forza elettrica corrispondente alla quantità condensatavi, farebbe divergere in ragione di detta forza i pendolini, cioè molto più, che se infusa si avesse immediatamente l'elettricità, della boccia all'elettrometro, senza fargli fare la funzione di condensatore. Per poter poi agevolmente toccare col pomo di una boccia di Leyden, o con altro corpo elettrico dì qualunque figura il fondo metallico dell'elettrometro convenientemente posato, il Sig. di Saussure vi inserisce un fil d'ottone, od uncinetto che risalta di alcune linee.
Non ho difficoltà a convenire, che l'esperienza riesca molto bene in questa maniera, e che si renda per tal mezzo sensibilissima un'elettricità, che altrimenti resterebbe impercettibile affatto. Ma sostengo, che la mia maniera (e ognun potrà provare s'io dico il vero) è assai più comoda e più sicura: ecco qual è. Adatto a vite un piattello di due pollici circa di diametro al bottone del mio elettrometro; ed applico ad esso piattello, allorchè voglio condensarvi l'elettricità, il piano di marmo, l'incerato, il taffetà o quel qualunque corpo semicoibente che trovo più a proposito. Per maggior mio comodo mì servo ordinariamente d'una zona di taffetà cerato o verniciato, che forma come un mezzo guanto aperto d'ambo i lati, nel quale entrano quattro diti riuniti della mano: con questi diti così fasciati io copro e premo alquanto quel piattello posto in cima all'elettrometro, intanto che il medesimo riceve da un lato, o per di sotto l'elettricità, sia da una boccia di Leyden, sia da un'altra sorgente qualunque. Infine ritirata la boccia, o qualsiasi il corpo elettrizzante dal contatto del piattello, ne levo via anche la mano coperta del suo guanto, con prestezza (giacchè la prestezza contribuisce molto al buon successo): e allora veggio i pendolini balzare con vivacità, e prendere quella divergenza, che l'elettricità condensata nel piattello, di cui sono dipendenze, può loro dare.
Volendosi far senza della fascia o guanto, e impiegare la mano nuda, basterebbe vestire di taffetà il piattello medesimo; ma ho provato, che non riesce sempre così bene la sperienza.
Del resto nè il piattello, nè quella specie di guanto non riescono di alcun imbarazzo, potendosi il primo svitare, e armare invece sua l'elettrometro di un uncino, di un'asta puntuta, o d'altro, secondo le occorrenze; e potendosi fare esso piattello di tal grandezza e forma, che abbracci e serri come il coperchio d'una scatola l'altro piattello o fondo metallico dell'elettrometro medesimo; onde non venga questo sì comodo ed elegante stromento ad occupare maggior sito in tasca, e meglio nella sua custodia, nella quale potrassi altresì rinchiudere senza perdita di luogo, il guanto di taffetà, aperto, come si è detto, d'ambi i lati, adattandolo in modo, che cinga giusto qual fascia la boccetta.
Per dare ora un'idea dei vantaggi di questo Condensatore elettrometro vuo' dire dell'innesto dell'uno sopra l'altro, dirò, che non si riducono già semplicemente al comodo di aver tutto riunito in un piccolo volume; ma che si ottiene sovente mercè di una tal unione, e modo compendioso di sperimentare, ciò che non ci è dato d'ottenere usando di un buon condensatore, e di un non men buon elettrometro separati. Un esempio porrà la cosa in chiaro, premesse alcune osservazioni sulla virtù propria d'ogni condensatore, e sulle modificazioni di essa in ciascuno di tali apparati secondo la natura e lo stato del piano semi-coibente.
Quando pubblicai nelle memorie già citate questa mia invenzione del Condensatore, sebbene non tralasciassi di spiegare, singolarmente nella 2a parte di quella inserita nelle Transazioni Anglicane, come e per qual ragione il piatto metallico, allorchè posa sul piano di marmo, od altro semicoibente, atto sia a raccorre nel suo seno molto maggior dose di elettricità, che non quando trovasi isolato in aria, in una parola goda in quello stato assai maggiore capacità; e ne dimostrassi la vera causa nell'azione delle atmosfere elettriche, per cui smosso il fluido del piano semi-coibente, riducesi questo ad un'elettricità contraria a quella del piatto, e la contrappesa in certo modo: sebbene, dico, non tralasciassi di spiegare tutto ciò assai estesamente, non venni però a determinare fino a quanto crescesse o potesse crescere una tale capacità, e fino a quanto per conseguenza venisse condensata di questa maniera l'elettricità; contentandomi di dire e di provare con evidenza di sperienze, che la cosa andava a un segno ben alto, massime per l'elettricità debolissima; la quale elettricità dall'essere pressochè impercettibile, oppur anche insensibile affatto, sorger io la faceva al grado di scintillare fortemente. Da ciò io aveva bensì giudicato all'ingrosso, che la condensazione dell'elettricità nel piatto, che la riceve stando combaciato col suo piano semi-coibente, gíugnesse a più di 100. volte; ma se a 200. a 300. a 400. non avrei saputo indovinarlo. Non fu dunque che qualche tempo dopo, ch'io immaginai diverse sperienze, onde poter determinare qualche cosa di più preciso. Tra le molte maniere da me tentate eccovi quella, che mi pare e più diretta, e men sottoposta ad errore.
Carico una boccia di Leyden di mediocre grandezza, avente circa un mezzo piede quadrato di armatura, così debolmente, che provocandola alla scarica potria appena dare una scintilluzza, e che alza l'elettrometro mio più sensibile e. g. a soli 15. gradi. Questa boccia toccando uno scudo d'elettroforo, che serve ugualmente da piatto del condensatore, e che ha 10. pollici di diametro, toccandolo in istato d'isolamento perfetto, vi perde così poco della sua carica, che non decade per avventura di un decimo di grado, elevando intanto il piatto stesso ad una forza eguale alla sua, vale a dire presso a 15. gradi: e ciò per essere la capacità di questo un nulla quasi rispetto alla capacità di quella. Ma non accade già così, ove esso piatto posi sul piano di marmo asciutto, e la boccia venga a toccarlo: in questo caso ho trovato, che essa perdeva un buon terzo della sua carica, e componevasi col piatto medesimo a 10. gradi; onde era facile concludere, la capacità della prima essere soltanto doppia di quella del secondo. Assicuratomi dunque, coll'esplorare mediante l'elettrometro il residuo di carica della boccia, che il piatto giacente sul suo caro piano ha 10. gradi di elettricità, lo balzo in alto, per ridurlo da quella straordinaria alla naturale sua capacità; e allora è, ch'ei mi dispiega tale e tanta forza elettrica, che spruzza da tutti i lati, seb-bene abbia gli orli ritondati, talchè, sapendo io per altre prove, che cotesti spruzzi spontanei non si eccitano che da una elettricità forte almeno di 100. gradi (70. circa senza correzione, che colla correzione vagliono 100.) del mio qua-drante~elettrometro, che sono poi 1000 dell'elettrometro a boccetta più sensibile, giudico sicuramente, che la condensazione dell'elettricità è andata oltre a 100. volte. Ma e di quanto oltre? Ciò è che io volea sapere; ma per venirne a capo conveniva impedire la dissipazione in ispruzzi di quell'elettricità, che già più non può capire nel piatto: or eccovi il mezzo facile, che mi suggerì.
Feci che al primo alzarsi il piatto incontrasse una catena pendente da un conduttore isolato abbastanza capace, e alla cui estremità era annesso il quadrante-elettrometro: così il piatto invece di profondere nell'aria l'elettricità eccessiva, di cui dee necessariamente sgravarsi, la comunica all'altro conduttore, che tutt'assieme contenere la può. Io avea già prima cercato qual fosse la capacità di questo conduttore, e l'avea trovata tre volte maggiore di quella del mio piatto (avea osservato per esempio che elettrizzato quello a 40. gradi del suo quadrante-elettrometro, facendoglisi toccare il piatto non elettrizzato, scendeva a 30., e corrispondentemente elettrizzato questo a 40. gradi, e portato in contatto di quello montava l'istesso quadrante-elettrometro a 10.). Con questi dati io era certo, che il numero de' gradi a cui nella divisata esperienza salirebbe il quadrante-elettrometro non potrebbe essere che un quarto dei gradi di elettricità che dispiega col venir alzato il piatto solo. Ora io osservai, che veniva il quadrante elettrometro poco più, poco meno a 30. dunque l'elettricità del piatto solo era di 120. ossia 1200. del primo elettrometro a boccetta; epperò, sendo che la carica del piatto posato non segnava che 10. gradi, doveva conchiudersi essere la medesima inalzata ad un'intensità 120. volte maggiore.
Ho variate le prove, caricando ora la stessa boccia di Leyden, ora altre più grandi, o più piccole, ad un numero maggiore, o minore di gradi, d'ordinario però meno di 15. (per la ragione, che una più forte elettricità facilmente vince la piccola coibenza del marmo, e vi penetra, onde si perde in qualche parte); così pure variando e il piatto, e l'altro conduttore, sicchè risultassero altri rapporti di capacità; ed ho trovato, quando le cose erano in buon ordine, quando soprattutto il marmo era sufficientemente asciutto che tali prove corrispondevano, dandomi comunemente la stessa condensazione dell'elettricità di circa 120. volte. Ho voluto anche far senza del conduttore, e del quadrante elettrometro, riducendo la cosa a maggiore semplicità: ho dunque caricata la boccia di Leyden, di mezzo piede quadrato d'armatura, ad un solo grado dell'elettrometro più sensibile; e toccato con essa l'istesso piatto adoperato di sopra di 10. pollici di diametro, e giacente al solito, previdi che la carica in ambedue dovea, come sopra, ridursi a due terzi della prima; e fu infatti così, mentre venne, quanto almeno potè giudicar l'occhio, a due terzi di grado. Or bene, alzando il piatto ei mi diede un'elettricità di circa 80. gradi, che potei misurare, senz'altro soccorso, col secondo elettrometro a boccetta. Ma se questa prova è più semplice e diretta, ella è d'altra parte troppo delicata, difficilmente potendoci assicurare che sia la carica della boccia precisamente d'un grado: il che se non è, se si commette l'errore di un quarto di grado, od anche solo di un ottavo, diverrà come si vede, un errore notabile nella moltiplica, che dee farsi; laddove nelle sperienze qui sopra, partendo da una carica di 10. 12. 15. gradi, e potendo l'occhio distinguere fino a un quarto di grado, l'errore non potrà essere al più che di un quarantesimo del totale.
Le prove dunque, che ho fatte in diverse maniere, hanmi mostrato, che la condensazione di un apparato di questo genere (formato di una lastra di marmo, e di un piatto metallico ben adatti) va a 120. volte circa: dico circa, perchè ho pur trovato alcune piccole variazioni, anche ponendo cura, che tutte le circostanze fossero eguali. Che se variino queste notabilmente, i risultati si allontaneranno prodigiosa-mente dal termine che ho fissato, e tra di loro. Le circostanze, che più influiscono sono la materia stessa del piano semi-coibente, lo stato di maggiore, o minore secchezza, in cui esso si trova, e la celerità dell'operazione.
Quanto a questa dirò solo, che c'è grande vantaggio, massime arorchè il piano pecca per essere troppo deferente, a levare in alto il piatto metallico al momento stesso (non mai prima però, e conviene a ciò badar bene), che si è ritirata la boccetta.
Riguardo la materia del piano inferiore, il marmo è ancora uno dei migliori corpi, ch'io mi abbia trovato. I legni ben inverniciati condensano un poco meno, e molto meno ancora i piatti di legno o di metallo incrostati di resina; e la ragione è, che il fluido elettrico non potendo venire smosso in quelle superficie troppo coibenti, lo è solamente più sotto, dove cioè termina tal incrostatura; in grazia del qual intervallo non può così bene contrappesare l'elettricità nel piatto metallico sovrapposto, e fare che vi si accumuli in tanta dose. Ad ogni modo il taffetà inverniciato, essendo assai sottile, condensa presso a poco quanto il marmo, ed è per altri riguardi preferibile: soprattutto per quello, che non ha bisogno quasi mai d'essere asciugato al sole o al fuoco; come d'ordinario ha bisogno il marmo, in modo che questo senza di tal preparazione condensa pochissimo, e il più delle volte nulla affatto.
E’ dunque la secchezza un articolo di somma importanza pel marmo, pe' legni secchi non verniciati, ed anche pe' verniciati, pel panno, che può servire pur esso di piano condensatore, siccome altri drappi, pel cuoio ecc.: di tale importanza, che la differenza va per poco dal tutto al niente. Or quando ho detto, che, sendo il pian di marmo in buon ordine, la condensazione va circa a 120. volte, ho inteso del marmo asciugato discretamente, nè troppo cioè, nè poco; perchè poi nuoce anche il troppo, rendendosi troppo coibente: molto più sovente però gli è il troppo poco, che fa che non condensi punto, come ho detto, o sol 40. o 60. volte. Cogliendo il punto giusto mi è riuscito più d'una volta di condensare assai più, cioè 160. 180. e fino 200. volte. Ma non volendo far caso di questi accidenti troppo rari, mi attengo per un verosimile alla condensazione sopra indicata di 120. volte, cui son sicuro d'ottenere impiegando, e nel preparar il piano perchè serva all'esperienza, e nell'eseguirla, una discreta attenzione. Vengo ora all'esempio, che ho voluto proporre, per mostrare di quanto vantaggio riesca il combinare nel modo già indicato in un sol corpo l'elettrometro e un piccolo condensatore. Sia una boccetta di Leyden piuttosto piccola, e sì poco carica, che toccandone coll'uncino l'elettrometro nostro più sensibile gli faccia segnare un sol grado. Abbiasi inoltre un buon condensatore formato all'ordinario d'un piano di marmo ben asciutto, e d'un piatto d'ottone che s'adatti a dovere. La grandezza di questo piatto sia tale, che allorchè posa sul suo piano, goda di una capacità eguale a quella della mentovata boccetta di Leyden: il che si avrà, se la faccia di codesto piatto, che applicasi al pian di marmo, conti presso a poco tanti pollici quadrati, quanti ne ha di armatura la boccetta di Leyden. Stando così le cose, si tocchi con tale boccetta tal piatto mentre posa; e la carica di quella si comunicherà per metà a questo: sarà dunque in ambedue di un mezzo grado (supposto il marmo ben asciutto, sicchè nulla vi sia penetrato di quell'elettricità, nè punto siasene disperso). Ora si levi il piatto dal marmo: se la virtù di questo nostro condensatore trovisi tale, che innalzi i segni dell'elettricità a un grado 120. volte maggiore, che è il termine ordinario, come ho mostrato, se, dico, la condensazione è stata di 120. volte, cotal piatto metallico staccato dal piano di marmo dispiegherà dunque un'elettricità di 60. gradi. Se non che comunicandola all'elettrometro, diminuirassi ancora in ragione della capacità di questo, la quale capacità supposta e. g. un quinto di quella del piatto, ridurrassi l'elettricità a soli 50. gradi.
Facciamo adesso la prova nell'altra maniera più semplice, e spiccia, lasciando cioè da parte stare il pian di marmo col suo piatto d'ottone, e facendo far l'officio di condensatore immediatamente al piattello adattato in cima dell'elettrometro, come ho indicato. Questo piattello, supponiamo che sia quattro volte più piccolo di quello dell'altro condensatore, che fa da sè; e così abbia, allorchè vi si tien sopra applicato colla mano il taffetà verniciato, una capacità quattro volte minore della stessa boccetta di Leyden, che ha servito all'esperienza precedente. Se questa avrà ora pure la stessa carica di 1 grado, venendo a toccare il piattello, ridurrassi tal carica in ambedue, com'è facile di calcolare, a quattro quinti di grado. Or dunque facendo arrivare la condensazione dell'elettricità come qui sopra, a 120., dispiegherà il piattello, allo snudarlo del taffetà, 96. gradi; e tanti, o se non tanti, poco meno ne segnerà l'elettrometro, sendo i pendolini immediatamente connessi col piattello medesimo: dico poco meno; perchè debbe pure considerarsi la capacità de' pendolini stessi, la quale è ben picciola cosa rispetto a quella del piattello. Dal che si vede, che il guadagno, adoperando in questa maniera, è quasi del doppio, ottenendosi da 96. gradi in vece di 50.
Adducendo altri casi, in cui e. g. il piatto del condensatore che giuoca separatamente fosse più grande, ed avesse, allorchè sta posato sul suo piano, maggiore capacità della boccetta di Leyden, da cui gli vien comunicata l'elettricità, vedrebbesi che sono sempre più sfavorevoli cotesti casi per tal giuoco separato; e quindi risalterebbe viemmaggiormente il vantaggio di combinare i due strumenti, il condensatore cioè e l'elettrometro, in uno.
Di vero io ho trovato tali, e tanti vantaggi in questo semplice artificio, che dal momento che mi suggerì e che lo misi in pratica, me ne son servito sempre, e me ne servo tanto per l'elettricità naturale, quanto per l'artificiale. E vi par poco di poter render sensibile l'elettricità di una boccetta di Leyden di un ducentesimo di grado, ed anche di due centesimi innalzandone i segni pel primo caso ad un grado circa, e pel secondo ad un mezzo grado, di cui, se l'elettrometro è ben fatto, può l'occhio giudicare, e puossi anche scoprire di quale specie sia cotal elettricità? Vi par poco, quando la boccetta, o un gran conduttore possegga un'elettricità di un terzo o di un quarto di grado solamente, e quindi indiscernibile affatto, di poterne coll'elettrometro più delicato ottenere più di 30. gradi, o più di 20. in modo che, oltrepassando la scala del primo elettrometro più sensibile, venendo cioè a vibrare fili di paglia pendenti fino ai lati della boccetta, che li racchiude, sia mestieri ricorrere al secondo elettrometro a pendolini più pesanti, che segna un grado solo per cinque del primo?
Non parlo d'altri vantaggi, e particolarmente del comodo di sperimentare così, che ho già accennato, e che ognun vede. Soggiungerò solo, che il taffetà cerato o verniciato serve benissimo anche ne' tempi umidi, massime ove portisi sovente in tasca; onde non ha mai, o quasi mai bisogno d'essere prosciugato al sole o al fuoco, come le lastre di marmo.
Vi ho trattenuto quanto basta, e temo forse più del dovere, intorno a ciò che riguarda i miglioramenti e le addizioni da me fatte all'elettrometro portatile di Cavallo, estendendomi qualche volta a cose che riguardano più davvicino l'elettrometria, di cui mi occupo da qualche tempo. Molte più cose avrei a dire sugli usi varj estesissimi di questo prezioso istrumentino da tasca, se ad altri scrivessi che a voi mio Signore, che sì ben li conoscete. Verrò non pertanto intertenendovi della più vantaggiosa maniera, onde me ne servo da qualche tempo, mercè di un altro ritrovato, ossia, nuovo artifizio, e dell'uso grandissimo che ne fo, adoperando tal elettrometro or semplice, or combinato col condensatore per le osservazioni soprattutto dell'elettricità atmosferica, e per certe altre dell'elettricità artificiale, che conducono ad iscoprire la vera origine e gli andamenti di quella; e sono varie nuove sperienze sull'elettricità prodotta artificialmente colla semplice evaporazione, colla combustione ecc. Ma tutto ciò sarà il soggetto d'altre lettere, che seguiranno dappresso la presente di già troppo lunga. Sono intanto ecc.

AGGIUNTE TRATTE DAI MANOSCRITTI DI A. VOLTA

Cart. Volt. H. 13.

6. Xbre 1787.

Tempo piovoso, e piuttosto dolce.

Microelettrometro a paglie sottilissime lunghe circa lin. 26. in boccia di cristallo quadrata larga 2. pollici. La scala applicata ad una delle faccie piane al di fuori, è una listerella di carta ad arco, che ha per centro il punto di sospensione delle paglie, il qual arco è diviso in linee, e mezze linee.
Una boccetta di Leyden di circa 1.1. poll. quadrati di armatura, ed un'altra boccia di circa 78.
Un Elettroforo collo Scudo del diametro di poll. 8.
Piattello condensatore, che s'adatta al Microelet. diam. 1. poll.
Pezzetto di taffetà verniciato secco, da adattarsi colla mano.
Piano di marmo per condensatore 7. poll.
Tela incerata nera per l'istesso uso del taffetà.
Per provare se i gradi del Microelettrometro sono comparabili fra di loro, diedi collo Scudo dell'Elettroforo una scintilla per volta al pomo della boccia grande; e ad ogni volta, toccai con questo pomo il Microelettrometro. Le scintille erano piuttosto deboli, avendo l'Elettroforo riposato già da molte ore, e si mantenevano senza più indebolirsi sensibilmente un tempo notabile.
1.° Al principio una sola scintilla caricava la boccia a segno di farle movere il microelettroscopio di 2/3 di linea, ossia con tre scintille apriva le paglie di 2. lin. Ora ricevendo tre altre scintille le aprì di 4. lin. giuste; dopo altre tre scintille, 6. lin., dopo altre tre 8. lin., dopo altre tre 10. lin., dopo altre tre 12. lin., dopo altre tre quasi 14. lin.
Dico quasi, perchè non mancava, che una scarsa mezza linea dalle 14. siccome un pochetto, ma meno, scorsi che mancava anche prima dalle 12. e dalle 10: il che sicuramente è dovuto a che un poco di elettricità, si dissipa dalla boccia medesima, durante una tal sua carica; e a ciò che a misura, che prende forza la carica, il pomo della boccia non riceve più tutta l'elettricità dello Scudo dell'Elettroforo, come appare da quel residuo, che mostra lo Scudo medesimo dopo aver toccato il pomo della boccia. Come però la carica della boccia fino a questo segno di aprire le paglie di 12. o 14. lin. è picciolissima in confronto della tensione elettrica dello scudo, il quale vibra discreta scintilla, e ad un quadrante elettrometro darebbe segni 10. 20, e più volte maggiori; così gli è di poco assai, stando a questi limiti, che la boccia non riceva ad ogni scintilla egual dose di elettricità; e questo poco gli è appunto quello, che s'osserva di minor divergenza delle paglie.
Son dunque i gradi di questo Microelettrometro comparabili fra di loro a un segno sorprendente.
2.° Dopo stancato un pezzo l'Elettroforo, due scintille date alla boccia la caricavano soltanto a segno di aprir le paglie di 1. linea: ora replicando la prova ogni due scintille s'aprivano appuntino una linea dippiù, fino a che vennero a 12. lin. quasi (una mezza circa meno) con 24. scintille. Ed ecco di nuovo la più esatta corrispondenza.
N. B. Conviene, per ben notare i gradi di divergenza delle paglie tener applicato il pomo della boccia al capello del Microelettr.: tutto il tempo, che si cerca coll'occhio di ben determinare i punti; altrimenti ritirando la boccia, le paglie comincian tosto (in tempi non favorevolissimi all'elett.à) a decadere: non così continuando a tener applicata la boccia, la quale avendo una grandissima capacità, non si risente di quel poco, che posson disperdere di elettricità le paglie ne’ brevi istanti, che dura l'osservazione.
In tempi favorevolissimi all'elettricità,ed essendo il Microelettrometro asciuttissimo, avea trovata la medesima corrispondenza, e comparabilità dei gradi col dividere l'elettricità sopra semplici conduttori. Ma quest'altra maniera colla boccia, che conferma la stessa cosa, può farsi in ogni tempo, e si ha comodo di osservare più appuntino.
Questa sperienza offre anche un mezzo di tosto paragonare la capacità di diverse boccie di Leyden.
3.° Quando 20. in 21. scintille dell'Elettroforo caricavano la boccia grande a segno di far divergere le paglie di 10. lin., bastarono 3. scintille alla boccetta piccola per fare lo stesso; ella era dunque circa sette volte men ca-pace: il qual rapporto è giusto quello di 11. a 78. poll. quadrati di superficie armata, che avevano tali boccie.
N. B. Le sperienze sopra indicate sono state da me ripetute più volte, variando il numero delle scintille d'osservazione in osservazione; e in tutte vi ho trovata mirabile corrispondenza.

7. Xbre.

Ho voluto cercare qual fosse il grado di Elett.à, a cui comincia a comparire la scintilla nel contatto di due conduttori metallici; e quello a cui la scarica diventa sensibile sul nostro corpo.
4°. Non compare la scintilla dallo scudo, nè dalla piccola boccetta, se l'elet.à è minore di 5. lin., ed anche allora è picciolissima, visibile appena nel contatto de’ due metalli in luogo oscuro. Ma colla boccia grande si ottiene lo stesso la carica essendo di lin. 21/2.
5.° Con poco più di tal rispettiva carica, sia della boccia grande, sia della picciola, se si tocca colla punta del dito mignolo il metallo, su di cui si fa la scarica, risente il dito una piccolissima commozione. Ma collo Scudo, che vibra anche più di 5. lin. non si sente nulla.
6.° Se si fa toccare il bottone della boccia alla punta del naso, si comincia a sentire una leggerissima puntura dalla boccia piccola, che vibri lin. 7. o 71/2 e dalla grande, che vibri 1. lin. circa. La palpebra dell'occhio è sensibile alla metà di tal forza, ed anche a meno.
7.° Lo Scudo dell'Elettroforo dee vibrare per eccitar una puntura appena sensibile nella palpebra, gr. 2. circa del Quadr. Elett. (senza correzione); e allora la scintilla comincia a dar un picciolissimo crepito.
8°. La boccetta per dar scintilla con crepito appena sensibile, dee vibrare almeno 1. 20. e la boccia grande lin. 81/2, in 9. Acciò la commozione leggiera si faccia sentire in tutto il dito convellendo il muscolo interno vi vuole l'istessa quantità di Elet.à gr. 18. scintille dell'Elettroforo sì per l'una che per l'altra boccia, per cui la grande tenda 5. lin. circa, e la picciola 35.
9°. N. B. Stando le paglie (i centri delle medesime) naturalmente discosti una mezza linea, o 3/4 l'elettricità forte di sola mezza linea, o di 3/4, non le move, quella forte di una linea le apre d'un'altra mezza linea, o di 1/4, onde i loro centri segnino giusto una linea; e così segnando 2. 3. 4. lin. ec. l'elet.à è in questa proporzione, senza che occorra detrarre la mezza linea o i 3/4 di distanza che hanno i centri di dette paglie quando esse giacciono inerti. Le paglie distino naturalmente 3/4 1. e l'elettroforo sia così stanco, che 1. 2. 3. scintille ricevute dalla boccia non l'abilitino a mover punto le paglie e solo 4. bastino a farle giugnere all'apertura d'una linea intera, movendole così d'1/4 di lin: 4. altre scintille daranno un'altra linea intera, e così di seguito.

8. Xbre.

Il tempo sempre umido e dolce: term. 5. Igrom. 90. circa (Asciugo i pezzi con uno scaldino, e lo tengo vicino durante le esperienze).
10° La boccetta caricata a segno, che vibra il Quad. Elet. 16. gr. scaricata sopra la boccia grande, dee ridursi a gr. 2. (essendo la boccia 7. volte più grande della boccetta). Or toccando con queste due boccie così riunite il Microelet., le paglie s'aprono di 101/2 lin. circa.
11°. Caricata a gr. 12. del Quad. elet. e divisa la carica sopra ambedue le boccie, come sopra, e toccato il Micr. elet. le paglie s'aprono lin. 71/2, in 8. (corrispondenza esatta). Conseguentemente 5. lin. e un pochetto più del Micr. elet. corrispondono a l. gr. del Quadr. elet., e la scala essendo divisa in mezze linee, abbiamo per ogni grado distintissimo del Micr. elet. un decimo di grado del quadr. elet.
12°. Replicando la prova del num°. 3°. 2. scintille dell'Elettroforo caricavano la boccetta a segno di far aprire le paglie lin. 10. La boccia grande per fare altrettanto dovette ricevere 16. o 17. scintille: la sua capacità sarebbe dunque non 7. ma 8. volte più grande. Ma convien riflettere, che l'Elettroforo non essendo molto riposato le scintille andavano indebolendosi, onde si può credere che le 17. non valessero più di 14. delle prime. Infatti dopo avere stancato l'Elettroforo dippiù, trovai, che 2. scintille non caricavano più la boccetta tanto da aprir le paglie 10. lin. ma sol 8. indi 7. indi 6. Allora la forza dell'Elettroforo rimanendo sensibilmente stabile, 14. di tali scintille bastarono a caricare la boccia grande allo stesso segno, di vibrare cioè le paglie 6. lin.; onde risulta ancora la capacità della grande alla picciola boccia come 14. a 2::1: 7. In conferma, dopo fatta la prova colle 14 scintille date alla boccia grande, ho dato di nuovo le 2. alla pcciola, e questa siccome quella aprì appuntino le paglie di lin. 6. 13°. La boccia avendo un residuo di carica sensibile soltanto coll’ajuto del Condensatore, e con quello di marmo rattiepidito dal fuoco giugnendo ad aprire le paglie di 2. 3. 4. linee, colla tela incerata applicata a modo di condensatore al piattello in cima del Micr. elet. vibra le paglie quattro o cinque volte dippiù.
14°. Il taffetà verniciato fa notabilmente men bene della tela incerata, trattandosi di gradi così deboli di elet.à, e in giornate non estremamente umide; poichè in quest'ultimo caso, egli solo è buono, e ben poco la tela incerata, e nulla il marmo, se non si asciugano a fuoco. La conducibilità del marmo, e della tela incerata maggiore di quella del taffetà, giova pertanto, quando non sia troppo grande; ma nuoce poi se l'elettricità, che dee condensare, è più intensa: allora il taffetà è migliore assai della tela incerata; e vien fino che sia migliore un sottile strato resinoso ec. Insomma la conducibilità favorisce fino al limite che l'elettricità non è più arrestata.
15°. Riguardo al num°. 3°. e 12°. ritenendo che la capacità della boccia sia 7. e quella della boccetta 1. ho caricato la prima a 8. lin. quantità di elet.à (7 x 8 = 56); poi dividendo la carica con l'altra, prevedea, che le due congiunte insieme doveano dare lin. 7. (8 x 7 = 56); ma il fatto sta, che risultò un pochetto meno: dunque conclusi che la capacità della boccia, fosse meno di 7; 6. per avventura: allora la quantità di elet.à 6 x 8 = 48, che diviso per le due capacità 6 + 1 = 7, dà 6 6/7. Se fosse la capacità della boccia solamente 5. avremmo 5 x 8 = 40; che diviso per 5 + 1 = 6 darebbe 62/3 Or l'esperienza può accordarsi con l'una e con l'altra di queste due supposizioni, essendo piccola la differenza, nè potendosi ben discernere tra 7/8 e 2/3 di lin.: ho potuto discernere solamente, che le paglie oltrepassavano la mezza linea sopra le 6.
Replicai l'esperienza caricando la boccia 7. lin., divisi la carica come sopra, ed ebbi 6. giuste: la boccetta avendo dunque acquistato 6. per 1. che perde la boccia, le capacità sono nella ragione inversa, cioè l. a 6.
16°. Caricai la boccetta lin. 7., e dividendo la carica colla boccia ebbi 1. lin. giusta: quella dunque perdè 6. per 1. che acquistò questa; onde di nuovo le capacità come 6. a 1.
17°. Gli stessi risultati ebbi, colla regola di proporzione, dividendo altre cariche di 10. di 11. lin: mi risultò sempre prossimamente la stessa rispettiva capacità, per quanto l'occhio può discernere le frazioni delle linee.
Ma perchè dunque nell'altro modo num.° 3°. e 12°. risultarono le capacità come 1. a 7. ? E qual di questi calcoli sarà il più giusto? Credo quest'ultimo; sebbene col primo sia più estesa l'esperienza, e si siegua grado grado l'andamento: la ragione è quella notata al num°. 1°., ove si dice, che la boccia non continua a ricever egual dose di elet.à dallo scudo, che la tocca; ma ve ne lascia ogni volta un residuo proporzionato alla tensione, che di mano in mano essa va acquistando.
Ma pure il rapporto delle superficie armate gli è come 1. a 7., dunque ancora le capacità; no: basta che il vetro della, boccia, abbia maggiore spessezza, per essere men capace.
L'elettrometro a boccetta a ha i due pendolini di paglie sottilissime lunghe dal punto di sospensione (che è come qui sopra) poll. 2. La boccetta è quadra, larga da 20 in 22. linee, e la scala di divisione fatta ad arco dello stesso raggio dei pendolini ha i gradi di mezze linee: è una listerella di carta applicata al di fuori d'una delle faccio piane, all'altezza, che corrisponde alla punta delle paglie. La boccetta, cui è stato tagliato il fondo di cristallo, ne ha uno d'ottone, dal quale sorgono interiormente sulle due faccie laterali ai pendolini due listerelle di piombo, che vanno ad unirsi a due fasce trasversali del medesimo metallo, a tale altezza, che i pendolini aprendosi quanto possono vengano a toccarle: e ciò perchè in questo, e in ogn'altro caso non vi afligga elettricità al vetro, o poco o nulla possa pure ritenerne l'aria circondante i pendolini.
L'altro elettrometro A è in tutto simile al primo, se non che i pendolini son lunghi 1. pollice solo, le paglie grosse più del doppio, e il fil d'ottone coll'uncinetto, che porta dette paglie, è notabilmente più grosso e più lungo entrando fino a metà più o meno di quello. Per tal accorciamento del pendolini, e per tal giunta di peso ho ridotto cotesto elettrometro A (tentando e riten-tando) a marcare 1. gr. per ogni 4., che marca l'elettrometro a: e per verificare la, corrispondenza in tutta l'estensione della Scala tra molte altre ecco la prova più accurata.

aOpuscoli di Milano A. 1781. e Journal de Physique A. 1783.
bRiuscirebbe difficile, anzi impossibile d'ottenere il rapporto giusto di un grado dell’un quadrante elettrometro con cinque dell'altro, qualora restringer ci volessimo a soli cinque gradi di questo ed uno di quello; attesochè han bisogno i cinque gradi primi in ciascuno di tali elettrometri di molta correzione, e il primo primo non solo ne richiede dippiù, ma è indiscernibile per sè stesso, anzi nullo, in quanto che per un grado solo non si alza punto il pendolo, siccome ho mostrato di sopra. Adunque convien far salire ambedue i quadranti elettrometri, che vogliano ridurre, a corrispondersi nel detto rapporto di uno a cinque gradi, assai più alto, cioè a 30. o 35. il primo più sensibile (pe' quali gradi così non accadrà di fare alcuna correzione), o corrispondentemente a 6. o 7. il secondo destinato a misurar l'elettricità più forte, ritenendo per cotesti 6. o 7. gradi la debita correzione, la quale giusta le mie tavole, vuole che per 6. Gradi giusti il pendolo ne segni sul quadrante un poco meno di quattro e mezzo, e per sette cinque e mezzo prossimamente.
cDi questa Superba macchina, de' suoi prodigiosi effetti, quanto alla copia e forza dell'elettricità che produce, e di alcune serie di bellissime sperienze e molto istruttive intraprese con essa, ce ne ha dato una compiuta descrizione il Signor van Marum Direttore del Gabinetto medesimo, il quale ha egli progettata e diretta l'esecuzione di tal macchina, e fatte quando da sè, quando in compagnia d'altri valenti Fisici cotali sperienze.