OPERE SCELTE

LETTERA SECONDA

Como, 21. Novembre, 1776.

Nil adeo magnum, nec tam mirabile quidquam
Principio, quod non minuant mirarier omnes
Paullatim......................
Desine quapropter novitate exterritus ipsâ
Expuere ex animo rationem: sed magis acri
Judicio perpende; ei si tibi vera videtur,
Dede manus...........................

Lucr. II. 1025.

Prima di passare ad alcune altre particolarità che ci offre cotesta nuova aria infiammabile, conviene che vi renda un conto più esatto della scoperta in tutta la sua estensione. Considerando i siti, i quali fornito m’aveano aria infiammabile, cioè le Paludi del Lago Maggiore, il cui fondo altro non era che una terra soffice e leggiera, ossia un pacciume di radici, cannucce, nicchj, erbette infradiciate ec.; e vedendo l'aria sprigionatane infiammabile sì, ma debolissimamente, credetti in prima in prima, che alla produzione di tale aria non si richiedesse meno di un cosiffatto ammasso larghissimo e profondissimo di puro fradiciume, ossia di vegetabili scomposti e ridotti in terra. Dirovvi eziandio, che le mie idee si volsero tosto alla Torba, attesa la qualità sua di infuocarsi, e di ardere con una fiamma turchina. Pertanto appena appena io avrei sperato di raccogliere aria infiammabile lungo le sponde di questo mio Lago non guari discosto dalla Città, ove non avvi alcun canneto, nè fondo d'acqua assai fangoso, ma avviene soltanto di trovarsene taluno coperto di poltiglia, o al più di erbacce verdi: con tutto ciò ora cosa assai naturale, che io non lasciassi di fare sopr'essi pure l'esperimento. Prima adunque passeggiando rasente queste rive, e colla canna tentando, e quasi interrogando per ogni dove il fondo dell'acqua vidi, che ovunque esso non era troppo sodo, o puramente ghiaioso e sassoso, montava al pelo dell'acqua ove un maggiore ove un minor numero di gorgoglj d'aria. Giudicandone anticipatamente l'avrei riputata, a dir molto, flogisticata, e talora punto o poco diversa dalla comune, quando cioè io la snidava da un letto che sembrava terra pura o sabbia fina. Ma fatto sta, che messa alle prove riuscì in ogni caso infiammabile, tranne un solo, in cui la trovai flogisticata, perchè spense una candeletta al primo immergervela dentro.

Dopo un cosiffatto non meno avventuroso che inatteso successo, immaginate se io lasciai intatto fonte o fiume, polla o rigagnolo, fosso o pozzanghera in cui m'avvenissi. Sì, per lo spazio di ben molti giorni, altro non ho fatto che andare tastando, e rimestando ogni letto d'acqua del contorno, colla tasca piena di guastadette che mi riportava a casa colme di novella aria. A dir corto, non v’ebbe fondo da cui io potessi in qualche modo ottener aria, che questa non sia stata infiammabile, se non che sovente l'ho trovata confusa con qualche porzione d'aria fissa; e niuno niuno ha rifiutato di darmene, salvo che fosse o affatto duro o ghiaioso.

Ho detto d'aver raccolto aria da quel fondi pure che coperti non sono d'alcun fracidume, ma veggonsi, per così dire, spalmati d'una semplice falda di melma o belletta, che a prima giunta direste terra pura o anzi arena sottile; e di avere non senza maraviglia trovata tal’aria infiammabile al par dell'altra. Non debbo però tralasciare di soggiugnere, che l'aria sbucata di là è di gran lunga meno copiosa di quella che si sviluppa dal letto di certe acque composte di erbe putride ammucchiate e confuse con un loto leggiere e consenziente. Alcuni fossati e certe acque morte, corrotte e puzzolenti brulicano tutto di gallozzole d'aria, solo che dolcemente se ne smuova il fondo; anzi molte di cotali bolle veggonsi comparire qua e là spontaneamente, e non di rado avviene di vederne coperta tutta quant’è la superficie, attesochè portatesi a galla durano ivi assai tempo senza crepare. Egli è adunque non poco verisimile che da' vegetabili macerati e corrotti nell'acqua, e fors’anche dagli animali (perchè nella fanghiglia d'alcuni stagni abbondanti d'aria mi sono venuti sott'occhio gli avanzi di più insetti) e non dalla pura terra o da altra fossile sostanza, molto meno poi dall'acqua, abbia la sua origine questa nostr'aria infiammabile. Difatti esaminando le cose più attentamente, rinvenni che eziandio in que' letti, i quali sembravano fatti di null'altro che di terra, eppure sprigionavasi da essi o poca o molt’aria, vi avea, se non altro, un musco o qual si fosse erba, o muffa verdiccia e mucillaginosa che copriva alcuni sassi: ed ove non incontravasi neppur questa, e la ghiaia, e i ciottoli trasparivano mondi e lisci e l'acqua se ne scorrea limpida, una gallozzola, che è pur poco, non ora da sperarsi; anzi non m'avvenne mai di poterne ottenere una nè meno dal fango delle pubbliche vie.

Dopo aver saggiata la terra che dorme, dirò così, sotto l'acqua, mi è tosto corso per la fantasia (come già vi dissi che aveva in animo di fare ne' contorni della sorgente da voi osservata) di esaminare la terra vicina all'acqua, ma non bagnata. Ho scelto pertanto un terreno paludoso, lasciato quasi in secco pel ritiramento del nostro Lago; e mi sono accinto a far le prove in due modi. Il primo fu di scavare a bello studio alcune pozzettine nella mota (altre eran belle e formate dalle orme stampate profondamente) e ricolmatele d'acqua, col frugare alla maniera usata per mezzo del bastone, snidai l'aria, diligentemente la raccolsi, e non mancò alla prova d'infiammarsi. L'altro che mi offrì uno spettacolo più bello e più grazioso, fu di spignere a viva forza il bastone nel terreno ov'era meno sodo e più nericcio, o d'erbe guaste ricoperto, e trattolo fuori, presentar tosto al pertugio una candeletta accesa. Era pur bello il veder nascer subitamente una fiamma azzurrina, e una parte d'essa lanciarsi in alto, l'altra immergersi e andar radendo il fondo. Scavando poi in fretta molte pozzette contigue, gli occhi non sapean saziarsi in mirare la fiamma scorrere da una all'altra, ed ora a questa, ora a quella appiccar fuoco, ed ora arder tutto e brillare a un tempo e a un tratto, in ispezie, se io co’ piedi o m'aggravava sul terreno o lo calpestava perchè ne schizzasse più aria. Che ne dite, Amico? Il fenomeno, che con tanta enfasi ci viene descritto, di qualche terreno sul quale destasi e trascorre, lambendolo tutto, una fiamma, al solo gettarvi un solfanello acceso (a) , io posso mostrarvelo ognor che v’aggrada: per ciò nulla più si richiede che foracchiare o solcare la terra. Ho letto di alcuno stagno, che offre il medesimo spettacolo d'una fiamma che si spiega su tutta la superficie dell'acqua (b); ed io ho voluto pure imitarlo. Ho fatto solcare e sommuovere il fondo d'un fosso de' più sordidi e pantanosi, in modo di far nascere un gran numero di gorgoglj; ed ecco al primo appressare all'acqua una candela accesa, destarsi una larga fiamma lambente. La diversità grande sta tutta in ciò, che così in questo sperimento, come nell'altro fatto sopra la terra, è di mestieri un'azione continuata di smuover il fondo per isnidare l'aria, il che non richiedesi in tutti quel siti di cui si legge la descrizione. Malgrado cosiffatta non leggiera circostanza io non dubito dell'identità del principio in tutti i casi accennati. Così accertar mi potessi dell'identità rispetto a’ così detti Fuochi fatui. Molte circostanze, a dir vero, potrebbero farmi credere, che altro alla fine non sieno se non se aria infiammabile spremuta dal terreno paludoso, giacchè appunto sogliono intorno alle paludi farsi vedere. Ma se tale è la loro natura, come spiegheremo il loro accendersi, poichè altro mezzo non conosciamo d'allumare l'aria infiammabile, che quello di accostarvi una fiamma?

Giacchè ora si dà un nome ad ogni cosa, e ad ogni apparenza di cosa, e tanti segnatamente se ne sono fabbricati per le diverse specie d'aria, mi sovviene di chiedervi, se potremmo chiamare questa di fresco trovata Aria infiammabile nativa delle Paludi. Oltrechè essa ne è infatti originaria, io mi riputerei in diritto di contrassegnarla per tal foggia, attese le rimarchevoli apparenze, per cui si distingue dalle altre arie infiammabili e fattizie e naturali. Se non altro pel colore della fiamma elegantemente azzurro e per la lentezza con cui s'avanza cheta cheta, lambendo e ondeggiando, differisce considerevolmente da quella che viene generata colle soluzioni metalliche negli acidi, e alcun poco da quella pure che cavasi dalle sostanze o vegetabili o animali per distillazione. Non ho avuto mai occasione di metter a cimento l'aria infiammabile nativa delle miniere di carbon fossile, o di sal gemma; pure non dubito punto, che eziandio da queste differir possa la nostra.

Già vi ho detto, che essa arde assai più posatamente delle altre, e che gli scoppj suoi non sono per conto alcuno da mettersi a petto di quei delle altre; per poco io non vi dissi che appena appena merita d'essere chiamata infiammabile. Senza fallo adunque voi non v'aspetterete mai, e fuor d'ogni dubbio vi sembrerà paradosso, ch'io mi voglia mettere sul mostrarvela di questa virtù a dovizia fornita e straricca sopra tutte le altre. Eppure la cosa sta così e non altrimenti. Sì, Signore, non v’è aria più infiammabile dell'aria nativa delle paludi. Ciò in primo luogo può dedursi dal numero stragrande di piccole scoppiature che se ne ottiene. Ma un altro più certo e decisivo indizio a me pare esser quello di comunicare la virtù d'infiammarsi all'aria comune con cui venga mescolata, nel che la nostra vantaggia di gran lunga le altre arie accendibili. La più forte di queste, ottenuta colla soluzione di limatura di ferro nell'acido vitriolico, giugne a scoppiettare col massimo strepito e romore ove venga frammischiata con un volume d'aria comune doppio del suo; quella delle paludi o cavata comunque da’ vegetabili all’incontro s’infiamma e scoppia col massimo vantaggio, se ad una misura di essa aggiungansene le otto, e le dieci di comune; frammischiandone soltanto le cinque o le sei non iscoppia tuttavia col massimo lampo e rimbombo; ma sì va balenando con varj successivi e lievi infiammamenti: finalmente mescolando infino a dodici misure d'aria comune con una delle paludi, non ha mancato di andar in fiamma tutta la massa.

Ora s'intende perchè quest'aria arda tanto pigramente ne’ vasi, e richieggasi che questi sieno di ampia bocca. No, non è già mancanza d'infiammabilità, vuol anzi dirsi eccesso e dismisura, in quanto che per fiammeggiare vivamente debbe venir dianzi allungata e temperata con dimolta aria comune. Che se, qualunque sia la proporzione delle due arie fra di loro mescolate, cioè della comune e della infiammabile nativa, lo scoppio non giugne mai a quel segno cui toccano le altre arie infiammabili fattizie, altro, secondo me, non si dee conchiudere, se non che diversa cosa è l'essere un'aria dotata di molta virtù d'infiammarsi, o l'avere molta forza nel mentre che s'infiamma. Io concepisco che tale diversità nascer possa non tanto dalla dose del flogisto quanto da’ diversi modi in cui esso può combinarsi con queste arie e soprattutto dalla natura della base con cui è accoppiato, dalla maggiore o minore affinità ec.

Non tarderò guari a scrivervi, in continuazione delle due precedenti, una o più altre lettere, nelle quali vi accennerò alcune mie idee sull'infiammabilità delle arie in generale.

Amatemi, ch'io sono ec.


(a) La descrizione di un somigliante fenomeno leggesi nel tomo I de' Commentarj dell’ l'accademia di Bologna, ove vien detto che il celebre Sig. GALEAZZI osservò ed esaminò nel 1719 certo terreno vicino di Barigazia, da cui sorgeano volta a volta vive fiamme. Un'altra descrizione più recente e più al proposito nostro, della così detta Fontana ardente del Delfinato, trovasi registrata nel Giornale dell'Abate ROZIER (Observations sur la Physique etc. tomo sixième Aout 1775); “In somma, dice l'Autore Anonimo alla pag. 126., tutto il contorno del terreno da cui esce la fiamma, e segnatamente quello che gli sta più sotto e a' fianchi, si è uno Schisto nero e sfaldato in lamine o sfoglie per cui vesto l'apparenza d'Ardesia. Sopra molte di queste sfo-glie vedesi impressa la forma di varie conchiglie, ma principalmente quella delle Came. Mentre io ne raccoglieva alcuni saggi, la mia guida avea allestito un pajo d'uova, e c non potendo più reggere al desiderio di farmi vedere lo spettacolo, accese un solfanello e gettollo sul terreno onde dovea sortir il fuoco. All'istante io vidi tutto quel tratto di terra co-perto d'una vampa leggiera, e che sembrava ondeggiare a quel modo appunto che fa la fiamma e dello spirito di vino acceso, e sopr'essa fi mio condottiere fe cuocere una diabolica frittata. Mi lasciai prendere non già dalla gola, ma sibbene dalla curiosità di gustarne, e in fatti poco c più oltre che assaggiarla mi avrebbe permesso in ogni caso il sapore insopportabile di zolfo e che ne veniva. Per ciò che spetta alla fiamma, io non potei giudicare né del colore né del-l'altezza, perché il sole che risplendeva chiaro in quel giorno mi tolse di vedere e l'uno e l'altra, come veggonsi allorchè l'aria è oscura e il cielo coperto. Io giudicai che il colore dovea essere turchiniccio; e la guida mi disse che tale diffatti compariva in tempo di notte; ma stando al sole, io non vedeva, che una fiamma rossa.... Mi restava un dubbio, e che e faceami dolere assai di non aver meco il Termometro; avrei pur voluto sapere a che segno montava il calore della terra a qualche profondità, o almeno sotto la superficie. Per supplire alla mancanza d'un acconcio strumento forai la terra in un luogo assai assai vicino alla fiamma, vi immmersi un dito, ma non sentii calor maggiore di quello dell'altra terra. Pochi minuti dopo fui obbligato a trarne il dito, perché la fiamma venne a riempire il pertugio per di sopra; e in quel modo appunto che una candela spenta e tuttavia fumante si raccende accostandola, e dirigendone il fumo verso un'altra candela che arde, così venne la fiamma a riempire il foro da me fatto, ed a coprirne tutto il dintorno.... .” Tale è la pretesa Fontana ardente del Delfinato, e che viene celebrata per una delle sette meraviglie di quella Provincia.

(b) Eccone un esempio preposto a molti altri, che se ne potrebbero addurre, e perché assai recente e perché appoggiato all'autorità d'un uomo cotanto grande e famoso, quanto è, e sarà mai sempre, il Sig. BENIAMINO FRANKLIN.

Al Sig. GIUSEPPE PRIESTLEY.

Craven Street, li 10. Aprile, 1774.

SIGNORE.

" Per condescendere alle vostre richieste, ho posto ogni opera e sollecitudine in raccogliere le circostanze degli esperimenti tentati in America, de' quali vi ho già fatta menzione, cioè dell'alzarsi una fiamma sulla superficie di alcune acque di colà.
Allorchè io passai pella Nuova Jersey, l'anno 1764, udii più d'una fiata ricordare, che appressando una candela accesa al pelo di alcuni di que' fiumi, si apprende a all'acqua e spiegavasi su di essa una subita vampa, che durava a brillare per lo spazio d'intomo a mezzo minuto. Ma le descrizioni che me ne vennero fatte erano imperfette a segno, che non potetti formare veruna congettura sulla cagione di cotale effetto, ed anzi inchinai a dubitar forte della verità di esso. A me non si è offerto mai il buon destro di esser testimonio oculare dello sperimento; ma accompagnatomi con un amico, il quale appunto se ne tornava a casa dopo averlo pur allora fatto egli medesimo, appresi da lui il modo che vuolsi tenere nell'eseguirlo; e fu di scegliere un luogo basso anzi che no, il cui fondo limaccioso potea venir agevolmente rimestato e sommosso colla canna da viaggio. Innanzi a tutto egli agitò il fango, e quindi tosto che incominciò a montare a fior d'acqua un buon numero di bollicine, vi applicò la candela. La fiamma fu tanto pronta e gagliarda che s'appiccò ad un manichino, e glielo guastò non poco, come vidi io medesimo. Siccome la Nuova Jersey abbonda di Pineti in vario parti, mi si parò alla mente che per avventura alcun vapore simile ad un olio volatile di Trementina potesse essersi frammeschiato all'acqua, ma questa supposizione non mi appagò interamente. Ho fatto motto di tale fenomeno ad alcuni filosofi miei amici, dopo il mio ritorno in Inghilterra, ma non vi attesero gran fatto; anzi sono in opinione d'essere stato tenuto uomo un po' troppo corrivo a credere.
L'anno 1765 il Rev. Dr. CHANDLER ricevè una lettera del Dr. FINLEY Presidente del Collegio in quella Provincia, intorno al medesimo sperimento. Fu letta alla Società Reale, li 21 Novembre di quell'anno, ma non impressa nelle Transazioni, forse perchè fu creduto un accidente troppo strano per essere vero, e per tema che potesse correr rischio di venir motteggiato, se qualche membro della Società si fosse accinto a farne la prova ad oggetto di confermare il fatto o di confutarlo. Ecco un esemplare della relazione:
- Un onorato gentiluomo, che soggiorna non molto lungi di quì, mi ha narrato d'essere stato preso da non poca maraviglia in vedere la superficie dell'acqua di un picciolo canale da mulino, vicino di casa sua, balenare a quella guisa che fanno gli spiriti infiammati. Io mi recai tantosto sul luogo, e replicai l'esperimento col medesimo successo. Il letto dello stagno era pantanoso, e poi che fu commosso a segno di far nascere un considerabile ondeggiamento sul pelo dell'acqua, e vi venne accostata una candela accesa alla distanza di due o tre pollici, tutta la superficie arse, non meno subitamente che avrebbe fatto il vapore d'uno spirito infiammabile riscaldato, e durò, quand'era gagliardamente agitato, per lo spazio di più minuti secondi. Si credette da principio che la cosa fosso tutta propria di quel luogo; ma provando e riprovando, risultò e assai presto, che un fondo simile in altri luoghi mostrava il medesimo fenomeno. La scoperta venne fatta a caso da una persona di pertinenza del mulino.-
Io mi sono messo due volto alle prove qui in Inghilterra, ma senza successo. La prima fu sopra un'acqua che scorre lentamente su d'un fondo melmoso. La seconda in una pozza stagnante a capo d'un alto fosso. Avendo speso alcun tempo in dimenare quest'acqua, io ho attribuito una febbre intermittente, onde sono stato preso alquanti giorni dopo, all'aver respirato troppo a lungo quell'aria putrida che ho stuzzicato a venir a galla dal fondo, e che io non poteva schifar di attrarre, mentre prosteso in terra mi studiava di appiccarle fuoco. Le scoperte che voi avete fatto di fresco intorno al modo con cui in alcuni casi si genera l'aria infiammabile, può recar luce a questo sperimento, e farci sapere perché talora abbia esito felice, e talora non l'abbia. Con altissima stima e rispetto

Sono, mio Signore

Vostro ubbid.mo ed umil.mo Ser. re
B. FRANKLIN ".

Merita pure, perché troppo al caso nostro, d'aver quì luogo un passo del Chiariss. Sig. Dr. Gio. LUIGI TARGIONI, registrato nel Vol. I, pag. 37. dell'articolo VI, della sua bella Raccolta d'opuscoli Fisico-Medici. Eccone le parole:
" Un'altra analisi fatta dall'istesso Sig. Dr. ZUCCAGNI di altr'acqua minerale di un luogo detto Bagnolino, poco distante da Firenze, dimostrerà, che non tutte le acque minerali contengono aria fissa, e che in alcune sorgenti si osserva dell'aria infiammabile ".