OPERE SCELTE

ARTICOLO DI UNA LETTERA
DEL SIGNOR DON ALESSANDRO VOLTA
AL SIGNOR DOTTORE GIUSEPPE PRIESTLEY

Como 10. giugno 1775.

... Io non so se tanto prometter mi debba dalle mie osservazioni, che esse anziché importune, gradite vi riescano e interessanti. Avanzandole siccome miei nuovi ritrovamenti, avvenir potrebbe un'altra volta che deluso rimanessi non altrimenti che accadde di quelle sopra il legno abbrustolito, cui la vostra eccellente Storia dell'Elettricità avveder mi fece, ma troppo tardi, essere state in parte da altri preoccupate. Or chi sa che la continuazione da voi disegnata della medesima Storia non venga per egual modo a rapirmi la gioconda illusione di queste nuove mie pretese scoperte? Comunque la cosa sia per riuscire, io dovrò non men d'allora saper grado alla lezione della vostra Storia del disinganno e de' lumi che mi verrà porgendo; ma grado mille volte maggiore vi saprò, se fin d'ora mi significherete candidamente qual luogo, e parte io mi possa sicuramente attribuire nell'invenzione de' fatti, che a me sembran nuovi; e il valore che voi medesimo loro date.

Voi avete già inteso che l'Elettricità è il soggetto de' miei ritrovamenti. Or dirò il genere particolare intorno a cui s'aggirano. Egli è quel ramo, che, se a buon diritto nol so, ha ottenuto di chiamarsi Elettricità Vindice. Ecco in breve il capitale dell'invenzione, che ha sorpreso me e quanti finora furono a parte di un tale spettacolo. Io vi presento un corpo che una volta sola elettrizzato per brevissim'ora, né fortemente, non perde mai più l'elettricità sua, conservando ostinatamente la forza vivace de' segni a dispetto di toccamenti replicati senza fine. Voi tosto indovinate che sì fatto corpo vuol essere una lastra isolante vestita e snudata a vicenda della sua armatura: ed è ciò appunto che io ho inteso di accennare, allorquando ho detto che i fatti che sono per riferire appartengono all'elettricità vindice. Ma non che indovinare, durerete forse fatica a credere la costante vivacità de' segni, e più la straordinaria loro durevolezza, che è veramente quale ve la propongo, senza termine o limiti, mentre osservato avrete, che troppo lungi ne sono que' che s'ottengono dalle lastre di vetro tenute in conto delle più eccellenti, e guernite della consueta armatura d'una foglia metallica reputata essa pure la più acconcia a tal uopo; infatti con tale apparato si hanno da principio alcune vive scintille, ma che ben presto illanguidiscono e durano per lo spazio di poche ore in tempi ancora favorevolissimi. Perciò appunto io ho rifiutato e le une e le altre sostituendo alle lastre di vetro quelle di ceralacca, di zolfo, o d'altra resinosa materia; e alle sottili e pieghevoli foglie surrogando altre armature metalliche sì, ma ferme, e di volume assai più ampio, e modellate su lodevole forma d'un capace conduttore. E con ciò quantunque mi sembri d'avervi data un'idea generale della somma di questo nuovo apparato, permettetene ch'io vi descriva parte a parte quello di cui fo uso, che è semplicissimo, e la maniera di trarne i promessi vantaggi.

Ho dunque un piatto di stagno con l'orlo che rileva poco più d'una mezza linea, d'un piede di diametro, entro cui ho versato un mastice fuso composto di trementina, ragia, e cera, steso e rassodato in una superficie piana e lucida. Ne ho parecchi altri e più grandi e più piccoli di legno eziandio al cui fondo è incollata una laminetta di piombo, e in cui ho versato ove zolfo, ove ceralacca ed ove altri mastici di varia composizione, ma l'indicato di sopra ch'io fo di tre parti di trementina due di ragia ed una di cera bollite insieme per più ore, mescendovi in fine alquanto di minio ad oggetto di avvivarne il colore, l'ho trovato il più comodo e il migliore. Fa l'officio di armatura al di sopra un legno dorato della figura a un di presso d'uno scudo di dieci pollici di diametro e alto due all'incirca, piano nella base che dee combaciare col mastice, alquanto convesso nei lati o sia nel contorno. Dal centro della concavità sorge un manico di vetro o meglio di cera lacca ben levigato, che ha gli spigoli (e ciò rileva assai) smussati e ritondati. Chiamerò dunque quest'armatura col nome di scudo. Stimo superfluo l'avvertire, che mi attengo ordinariamente ad uno scudo di legno dorato, perché meno dispendioso e più leggiero e manesco che uno di metallo sodo. Peraltro avendo in séguito pensato a farne uno d'ottone tutto cavo interiormente a foggia di una scatola, che serve per un altro apparato minore portatile in tasca, truovo che m'offre in compenso non piccioli vantaggi, uno rilevante, che è quello d'essere più forbito, e perciò di dissipar meno l'elettricità: gli altri di sola appariscenza, e comodo, per atto d'esempio di render sonore le scintille anche meno vive; e di poter racchiudere in esso vari stromenti che vengono ad uso, come caraffe, manichi per isolare, palle, fili ecc.

Eccovi, Signore, tutto l'apparato.

Mettiamolo ormai alle prove, e veggiamo come gli effetti corrispondono alle promesse. Carico mediocremente la lastra al modo ordinario coll'aiuto della macchina, e ne provoco la scarica giusta il costume toccando congiuntamente o alternatamente lo scudo e il piatto. Allora alzando lo scudo pel suo manico isolante, e riponendolo sul mastice, con toccarlo alternatamente, siccome richiede la teoria dell'elettricità vindice; e quando è alzato, e quando torna a posare ne ho scintille tali e sì vive (quelle segnatamente nell'innalzamento, e più le succedenti alle prime due o tre) che si spiccano e dirigonsi alla nocca del mio dito ad un pollice e mezzo e talora più di distanza, per nulla dire del venticello, e de' fiocchi di luce che si manifestano sulle punte all'intervallo di più pollici, e degli attraimenti de' corpicciuoli oltre allo spazio d'un piede. Che più? Con quattro o sei scintille cavate dallo scudo elettrizzo fortemente un conduttore assai capace, un uomo isolato ecc., con trenta in quaranta di esse carico fortemente una caraffa; tutte queste operazioni io fo e replico finché mi piace. Ma i segni illanguidiscono col tempo? Nol niego, massimamente ove non si cessi di tormentar l'apparecchio per lungo tratto e a varie riprese. Dunque finalmente cesseranno del tutto? Sì, ciò forse avverrà, ma non so dopo qual tratto di tempo. Ma che direte se io dimostro che questa minacciata estinzione de' segni si può prevenire, e riparare l'illanguidimento, e finanche ristorare il primiero vigore con niun altro ajuto che quello delle deboli forze che rimangono? M'affretto a spiegarvi per qual modo ciò si possa ottenere.

E’ cosa troppo nota che si può caricar una lastra per mezzo d'un'altra lastra o caraffa già caricata, col compartire a quella la carica di questa. Or bene, io non cerco di più; imperciocché se col mio scudo, allora pure che non mi dà se non scintille deboli, giungo a caricare anche debolmente una caraffa, posso contare d'avere in questa caraffa un ristoratore dell'elettricità indebolita, e di portarvi una vera aggiunta eccitandone la scarica, o sia compartendola alla superficie del mastice. E così adoperando non m'inganno, col badar bene però di applicare al mastice non già l'uncino della caraffa, se questo ha ricevuto la carica dallo scudo, ma sibbene la pancia o la base; e vice versa, se questa ha toccato lo scudo. Per poi viemeglio riuscir nel mio intento non iscarico la caraffa in un colpo sopra la faccia armata del suo scudo, ma gradatamente con una scintilla per volta, o (che è d'un bel tratto più efficace) portando a combaciamento la base o l'uncino della caraffa colla faccia nuda del mastice, e scorrendovi sopra per tutto, onde imprimere, dirò così, ad ogni punto la competente porzioncella di carica. Per tal modo e con tale attenzione trovo più spediente di elettrizzare il mio apparecchio ben anche la prima volta, senza applicarlo immediatamente alla macchina per mezzo solamente d'una caraffa carica; e se vaghezza mi prende di far senza interamente d'ogni macchina, e nulla prenderne ad imprestito, ci riesco con pochissima pena usando un leggiero stropicciamento di mano, o panno, o carta o (che è meglio), pelliccia fina e bianca sulla faccia del mastice ancor vergine, col quale strofinamento produco primamente e in un attimo una discreta elettricità, che messa poi a profitto mercé il replicare una o due fiate l'artificio già descritto di caricare un caraffino, e rinfondere la carica sulla superficie del mastice arriva in brevissimo tempo al sommo di vivacità.

Se mi chiedete dopo quanto intervallo di tempo faccia mestieri di ricorrere a cotale industre modo di ravvivare l'elettricità moribonda, perché non si perda del tutto, vi dirò non aver io fissata, né potersi per avventura fissare regola alcuna. Sono però in grado di assicurarvi che dopo il corso non già d'ore o di giorni (sopratutto se l'apparecchio si lasci buona parte del tempo in riposo e ben custodito, sicché si mantenga asciutta e pura la faccia del mastice), ma d'intere settimane l'elettricità non vi verrà mai meno, solo che vi prendiate la cura di replicare due o tre volte il giuoco della caraffa. Non debbo qui lasciar di suggerire che in luogo d'una caraffa di vetro torna forse più comodo un cannoncino di rame o latta intonacato di cera lacca o mastice, e armato acconciamente, a cui avvegnaché tocchi minor quantità di carica, ciò non ostante perché l'acquista prestissimo, serve perciò meglio, e quello che più monta, teme assai meno l'umidità dell'aria.

Non so finir di parlare dell'artificio di risvegliar l'elettricità languente col rifondere e ritorcere contro di sé stessa quella poca che rimane, e sì ricondurla al grado massimo d'intensione, senza dire, che sebbene tal ritrovamento non sia altro più che una conseguenza della teoria, che appunto me lo ha fatto tosto immaginare, sembra però oltre modo meraviglioso a chi non sente ben addentro in così fatte cose, e senza confessare ch'io stesso ne andai pieno di gioia tostoché vidi il fatto risponder pienamente all'idea concepita, non meno per la bella armonia che ravvisai co' principi, come per la novità sorprendente che ne risultava unita al vantaggio di poter ove che fosse col mio semplice apparato passarmela senza il corredo della macchina, e produrre ciò nonostante lo spettacolo della più viva elettricità, e con quel solo destarla ugualmente viva in altri apparati senza fine (la qual industria mi richiamò tosto alla mente quella onde andiamo debitori a Voi Inglesi di calamitare fortissimamente l'acciaio senza calamita); e sì anche perché io veniva a giustificare l'aggiunto di un nuovo vocabolo, che non senza esitazione aveva destinato a questa fatta di elettricità, il che ora senza scrupolo e a tutto rigor di termine sento di poter fare chiamandola elettricità vindice indeficiente. Che se a voi non dispiacesse, ardirei pure imporre un nome al mio picciolo apparecchio, e sarebbe quello di Elettroforo perpetuo.

Or vi dirò che ho immaginato di inalberare sulla sommità dello scudo un'asta di ferro contro le nuvole, di maniera che abbia ad involare e concepire in seno del fuoco elettrico di colassù.

Vi ho reso conto, Signore, dei sommi capi delle mie scoperte, se tali pur sono, tralasciando tutto il dettaglio de' vari tentativi, e le molte riflessioni che mi ci han condotto, o spuntate ne sono, e che però riservo per un'altra Lettera, o per la Memoria, che vi dissi da principio aver in animo di pubblicare. Questo solo vi anticipo, che tutto tende a confermare quella mia sentenza che mi argomentai già di venir persuadendo nella Dissertazione De vi attractiva ignis electrici etc., 1769, cioè, che le elettricità delle lastre non si estinguono realmente, e interamente per la scarica, come ha preteso il P. Beccaria, e persiste anche in oggi a volere , ma perseverano lunga pezza ad esservi in parte aderenti, inducendo, perché abbia luogo un certo quale equilibrio, l'elettricità contrarie nelle rispettive armature; onde vengono per tal modo a contrappesarsi, onde le adesioni d'esse armature alle facce della lastra; onde finalmente lo sbilancio della separazione, i segni, ecc. Quell'eccellente Professore di Torino è portato in conseguenza del suo opinare ad accagionar la luce che spunta trallo disgiungimento d'indurre una nuova elettricità sulla faccia della lastra che si snuda, a spese dell'armatura: io accuso questi discorrimenti di luce di portare non già l'inducimento di una nuova, ma all'opposito un vero dissipamento delle due contrarie elettricità; della prima cioè impressa e tuttor'affitta alla faccia isolante, e dell'opposta indotta nell'armatura per l'antecedente scarica: e sì seguendo quelle strisce di luce e contemplandole attentamente, dalle circostanze in cui si mostrano o nò, o crescono, o scemano, dalla figura, da tutto in somma ricavo argomenti evidentissimi e palpabili, che il mio sospetto è pur vero. E per addurne una od altra prova: se altrimenti andasse la bisogna, a grado cioè del Padre Beccaria, non dovrebbe l'ordinaria armatura di foglie metalliche dispiegare e in sé stessa, e nella faccia della lastra che lascia nuda, elettricità maggiore, che non quando fa l'ufficio d'armatura il mio scudo? tanto maggiore, io dico, quanto le strisce di luce ch'eccita quella nell'atto del divellerla sono più copiose delle strisce ch'eccita codesto scudo? Ma appunto succede il contrario: e a questo singolarmente è dovuta la prestante eccellenza del mio scudo sopra le solite armature, dall'aprir esso lo sfogo a minor luce, che è quanto dire a minor dissipamento.

Diciam più: se la luce che compare trallo disgiungimento fosse quella dell'elettricità, che la faccia snudata rivendica a sé, o vogliam dire ripete dall'armatura, giusta il sentimento dell'Avversario, non so vedere perché non dovesse provocarne molto di più di questa luce quando s'alza l'armatura, senza tenerla isolata, che non quando s'alza isolata; giacché nel primo caso ne è la capacità senza limiti. Eppure punto o poco di luce appare alzando lo scudo non isolato, nello stato cioè che potrebbe più fornirne; e grandi strisce ne spicciano alzandolo isolato. Dunque non è la faccia snudata che mova questa luce, perché cerchi ricuperare la sua antica elettricità a spese diremmo dell'armatura; né questa obbedisce altrimenti alle sollecitazioni di quella; ma a sé stessa obbedisce, cioè a quella forza di dissipare quel soverchio di elettricità propria, di cui è insofferente, e che perciò scappa massimamente dagli angoli.

Io non ho fatto più sperienze sull'aria...

AGGIUNTA

Avendo pensato che il nuovo apparecchio oltre la sorprendente singolarità, de' segni indeficienti, di cui si è venuto ragionando, offre altri non meno reali che speciosi vantaggi, sì per la mira d'illustrare per eccellente modo la teoria elettrica, si per lo scopo di condurre con l'ultima agevolezza ogni maniera di sperienze, i quali vantaggi hanno obbligato a dar a quello la preferenza sopra ogn’altro apparato non dirò me solo, cui l'amore di un bel ritrovamento potrebbe di leggieri aver sedotto, ma alcuni eziandio che da principio si mostravan ritrosi a concedergli questa superiorità; e considerando d'altra parte che la descrizione da me datane ristretta ne’ limiti d'una lettera, e all'intelligenza de’ più esperti elettrizzatori potrà per avventura far nascere desiderio a taluno non versatissimo, il quale amasse pure, di ricrear sè ed altri con siffatto dilettevoli sperienze rese omai sì domestiche e comuni, d'avere sott'occhio il disegno de’ pezzi, e il giuoco che loro si fa eseguire, ho pensato di far cosa grata esponendo nelle seguenti figure sotto diversi aspetti e combinazioni tutto ciò che compone uno del miei comodi apparati portatili, e quanto esso offre su' due piedi a vedere di singolare AA (Fig. 1) è il Piatto, o sia una lastra d'ottone lavorata al torno con l'orlo ben ritondato prominente nella faccia superiore una mezza linea all'incirca, in cui è contenuta la stiacciata di ceralacca o mastice B, nella inferiore sporgente una buona linea o più pell'uopo che si dirà. CC è lo Scudo di legno dorato o d'ottone cavo, senz'angoli e ben forbito, che si apre a foggia di scatola, e contiene i vari pezzi che hanno da venire ad uso. E è il manico isolante, cioè un bastoncino di vetro intonacato di ceralacca, armato nell'estremità di due cappelletti d'ottone FF (Fig. 2.), uno fatto a vite con cui si forma a un bottone lavorato per questo nel contro della faccia superior e dello scudo CC, e l'altro che termina in un anello, per cui si regge alzandolo (Fig. 2., 3.).

Nella Figura l. sta il Piatto AA, o meglio il mastice armato del suo Scudo CC ricevendo l'elettricità o sia la carica dalla catena O di una macchina ordinaria: indi se ne eccita la scarica dalla mano AD che tocca congiuntamente il Piatto e lo Scudo.

(Fig. 2.). Una mano alza per mezzo dell'anello F del manico E lo scudo CC; e l'altra mano X ne trae una lunga scintilla: e ciò ognora che si leva lo scudo dopo averlo posato e poi toccato.

La stessa Fig. 2. mostra come elettrizzato una volta un solo apparato, se ne possa avvivar un altro, o quanti altri ne aggrada: dando cioè replicatamente le scintille dello scudo alzato ad un filo od uncino d'ottone K sporgente da un altro scudo, che posa sul suo mastice. Fatto ciò e mutando mano voi potete con questo secondo e collo stesso processo rinvigorir la forza nel primo, e cosi via via reciprocamente.

(Fig. 3.). L'operazione indicata è simile a quella della figura precedente, tranne che si fanno spiccare le scintille dallo scudo CC verso l'uncino I della caraffa armata G, la quale perciò viene a caricarsi. La mano D sta in atto di toccare il piatto in A e lo scudo in C ogni volta che posi, e di ritirare da questo il dito qualor s'alza. La caraffa poi si scarica coll'arco conduttore T, o si adopra per la scossa ec.

(Fig. 4.). Colla caraffa stessa caricata nel modo surriferito si ravviva l'elettricità che per avventura si fosse indebolita. S'impugna dalla mano L per la pancia G, si posa sulla faccia nuda del mastice B. Indi lasciata la pancia si trasporta la mano L a reggerla pell’uncino I, e così dimenandola si viene a scorrere sopra tutta la faccia B fin presso l'orlo del piatto AA, senza però toccarlo: dopo di che si rimette lo scudo, si scarica toccando ec.

(Fig. 5.). Senza poi togliere ad imprestito alcuna straniera elettricità, basta ad imprimerla la prima volta sulla faccia del mastice ancor vergine B un leggiero strofinamento colla palma della mano. Questo v'imprime elettricità di difetto, e tale pure ve l’eccita lo strofinare con panno, carta ec.; ma strofinando con carta dorata sorge spesso, (non però sempre) elettricità di eccesso. I segni che s’ottengono col solo strofinamento sono alquanto deboli, è vero; tuttavia essendo capaci di caricare alcun poco la caraffa, eccovi pronto il mezzo di avviarli col giuoco di sopra mentovato della stessa caraffa.

(Fig. 7.). Il piatto AA è sorretto da una colonnetta di vetro E intonacata di ceralacca, impiantata o formata a vite nel piedestallo ossia scatola di legno PP (che serve poi a rinchiudere tutto l'apparato), e fermata pure a vite a un dado o bottone che risalta dal centro della faccia inferiore di esso piatto (e questa è la ragione per cui l'orlo inferiore del piatto debbe sporgere alquanto più, come si è di sopra avvertito, a fine cioè che il bottone non impedisca quando si vuol far posare il piatto piano e fermo). Questo piatto così isolato porta una punta ottusa N inserita in uno de’ forellini s s s praticati a tal oggetto sì nell’orlo del piatto, come attorno allo scudo, e un'altra verghetta metallica terminante in palla Q, a cui viene presentata a qualche pollice di distanza la punta M. Lo scudo CC porta pure inserita una punta N nel mentre che un'altra M gli vien presentata dall'opposto lato. Ogni volta adunque che s'alza nella debita forma lo scudo CC (ben inteso che non si ometta mai la solita alternativa dei toccamenti allora che posa) si manifestano due fiocchi e due stellette : un fiocco dalla punta M contro la palla Q del piatto, ed una stelletta sulla punta N che sporge dal piatto medesimo: vice versa il fiocco spiccia dalla punta N attenente allo scudo, e la stelletta compare sulla punta M che guarda esso scudo. Questo avviene allorquando l'elettricità impressa sul mastice sia difettiva, quale cioè la suole eccitare lo strofinamento della mano ec. Qualora sia eccessiva, mutan tutti luogo i fiocchi e le stellette, comparendo appunto a rovescio.

(Fig. 8.). In somma è la stessa che la Fig. 7., ma rovesciata. Lo scudo CC è sorretto in luogo del piatto AA dalla colonna isolante E fermata sul piedestallo PP, ed esso scudo porta la verghetta armata di palla Q; le scintille della quale in tempo che s'alza il piatto AA pel manico E vibrate vivissimamente contro l'uncino I della caraffa G la caricano, mentre che esso piatto pure eccita scintillo in A dalla nocca d'un dito, e può caricare contrariamente un'altra caraffa.

Non debbo lasciare di far osservare che si può supplire all'incomodo di toccar colla mano lo scudo, ogni volta che si è posato, con un mezzo facilissimo. Basta inserire nell’orlo del piatto A Fig. 2. in un de’ forellini s un fil d'ottone terminante in una picciola palla, ripiegato in modo sopra la faccia del mastice, che detta pallina venga a toccare lo scudo CC quando si posa: cosi siegue da sè la scarica.

La Fig. 6. rappresenta il fondo e il coperchio della scatola di legno PP destinata a chiudere tutto l'apparato, per portarselo in tasca. Questa scatola poi medesima serve come di base o piedestallo a portare la colonnetta isolante E Fig. 7. e 8.: al qual fine nel centro del coperchio si è praticato un buco y atto a ricevere la vite f di detta colonnetta E. Serve pure essa scatola coll’ajuto di quattro piedi isolanti zz, che entrano a vite sotto il di lei fondo, di sgabello, su cui può montare una persona per essere elettrizzata ec. Allorquando s’ha a chiudere tutto l'apparecchio, si nascondono questi piedi in un cogli altri bastoncini isolanti, colla caraffa, le verghe puntate, l'arco conduttore ec. in seno allo scudo; esso scudo poi col piatto si racchiude in cotesta scatola di legno: ed ecco assettato e riposto tutto.

Benché dalle figure qui espresse rilevinsi abbastanza i comodi e i vantaggi che offre questo apparato sopra ogni altro, gioverà, toccarne quì ancor di passaggio alcuni, accompagnandoli con poche avvertenze intorno al maneggio di cotesto Elettroforo.

Quanto ai vantaggi, non ci arrestiamo più al massimo e solenne, che è la durevolezza, anzi meglio perennità dei segni: se n'è detto già abbastanza a suo luogo. Unicamente si vuol far notare, che sebbene la costanza nel mastice a ritenere l'elettricità impressa regga agli attacchi dell'umido, e fino alla prova insolente di alitarvi sopra a larga bocca; pure sviene e si dissipa quasi in un subito ogni virtù, tentata dalle punte la superficie di esso mastice: e ciò per tal modo, che scorrendovi sopra senza notabile strofinamento, e dirò così, leccandola con un fiocco di fili o carta d'oro, ed anche solamente con una spazzola, con un pezzo di lana ec., tutta l'elettricità viene a smarrirsi. Questa debole disposizione mi torna talvolta a comodo. Qualora non so che farmi dell'elettricità d'un apparato, e cerco d'aver il mastice siccome fosse vergine, non ho che a stendere bene il mio fazzoletto sopra la faccia di quello; ed ecco spenta ogni virtù. All’incontro ognor che voglia conservata l'elettricità per giorni e settimane, ho cura di non permettere che panno o tela, od altro chicchessia irto di peli venga a scorrere od applicarsi sulla faccia del mastice; e mi tengo fino in guardia, che i miei manichetti in qualche parte non mi tradiscano. Ma con tutte questo attenzioni toglier non posso, che la polvere e i peli sottilissimi, che d'ogni parte accorrono attratti dalla faccia elettrica, non vadano di mano in mano a portare notabile illanguidimento ai segni, in ragion che dura il giuoco di alzare ed abbassar lo scudo: sicché è pur mestieri per ottenerli del tutto vivaci ricorrere di tempo in tempo al maneggio della caraffa ec. Tuttavia il decadimento non è tale che non si mantengano a dispetto di tormentar di continuo l'apparato, e senza l'artificio di ravvivarli, per ore e giorni.

Non è per la sola durevolezza e vera indeficienza dei segni, che il nostro Elettroforo ottiene sicuramente il primo vanto; ma per la grandezza eziandio di questi, e per la qualità. Per qualità intendo e la natura dell’Elettricità vindice in genere, che non è propriamente la stessa dell'elettricità ordinaria, di quella cioè che muove immediatamente dallo stropicciare, e a questa sola cagione risponde; e intendo più in particolare le vicende dell'elettricità non già più di natura ma di specie soltanto contraria, com'è d'eccesso e di difetto le quali in tante forme e quasi con niun particolar maneggio si manifestano a un tempo, come si è veduto nella Fig. 7. e 8., in cui già di per sé danno i segni vivaci e continui sì il piatto, che lo scudo, questo contrariamente a quello: laddove nelle macchine ordinarie, sebben si preparino con i cuscini isolati, compajono è vero le due elettricità opposte; ma durando l'isolamento dei cuscini, ben presto ammutoliscono quasi del tutto i segni nella catena.

Il cambiar poi tosto nella contraria l'elettricità al del cuscini che della catena non è tanto agevol cosa nelle macchine usuali: anzi so queste, com’è di solito, portano il disco di vetro liscio, non è mai che si ecciti altra elettricità che di difetto negli strofinatori, qualunque essi siano, e di eccesso nella catena; se poi il disco sia di zolfo, potrem bene elettrizzare or nell'una or nell'altra maniera, ma è mestieri per ciò cangiare di strofinatori. L'apparato nostro non abbisogna d'altro per mutar le vicende de’segni che di compartir sopra il mastice la carica della caraffa da quella banda che la ricevette dallo scudo (es. gr. nella Fig. 4. va impugnata la pancia G della boccia e visitato il mastice coll'uncino I). A tal uopo gioverà aver prima distrutta, mediante l'applicazione del fazzoletto, l'elettricità vecchia del mastice.

Ma queste vicende delle contrarie elettricità riescono poi affatto graziose usando di un Elettroforo per animarne un'altro, come nella Fig. 2.; e più avendone una serie: giacché se il primo era elettrico per eccesso dà al secondo l'elettricità per difetto, e questo secondo porta novellamento carica d'eccesso al terzo; e così adoperando di seguito, il quarto diventa elettrico come il secondo, il quinto come il primo e il terzo ec. Alzando poi ad un tempo due scudi vicini, vale a dire contrariamente elettrizzati ne spicca la scintilla del doppio più forte, coerentemente alla teoria.

Finalmente la costruzione del nostro apparato vi offre il mezzo più sicuro, e spedito di esplorare queste vicende medesime, ossia la specie di elettricità in ogni caso. Abbiate un piccolissimo Elettroforo (può essere non più grande di due pollici), con del fili appesi allo scudetto. Una volta sola che impressa ci abbiate l'elettricità qualunque, ad ogni sollevamento dello scudo si rizzeranno e divergeranno i fili, e, semprechè nota vi sia la specie d'elettricità onde rimangono imbevuti, vi dinoteranno coi moti d'attrazione o di ripulsione verso altro corpo elettrico, la specie di cui questo gode. Più chiara e decisiva ne sarà la prova, so due di cotai piccoli Elettrofori vi abbiano alla mano, un del quali porti scolpita l'elettricità per eccesso, l'altro' per difetto. Or questi, che convenientemente all'uso loro io chiamo Esploratori, servono ben meglio che i nastri di seta bianchi e neri soliti ad usarsi per tal uopo, i quali smarriscono presto la lor virtù, e ci obbligano a stroppicciarli tratto tratto: ciò che non accade di dover fare co' primi, che non abbisognano d'altro maneggio per giorni e settimane.

Diciamo or qualche cosa della superiorità riguardo alla grandezza o forza del segni: e cosi diremo anche della facilità d'ottenerli mercé di alcune cautele. In generale le scintille da un apparato di mediocre capacità s'ottengono ben vive: e sono stato modesto anzichè nò nel dire che emulavano quelle d'una competente macchina ordinaria. Adunque un Elettroforo da tasca, qual è il descritto nelle figure, che porta lo scudo del diametro di pollici cinque inglesi, mi dà scintille alla distanza di due buoni diti, e talor più. Con un'altro, che fu il primo da me costrutto di poll. 8. e tre quarti le ottengo all'intervallo di più di tre diti; e da uno di pollici 17. vengono sì scuotenti e fragorose, che son quasi insoffribili . Io m'aspetto da uno che sto facendo costruire di più di due piedi di diametro, effetti sovragrandi e strepitosi, superiori a quelli della miglior macchina ch'io mi abbia visto: giacché mi s'ingrandiscono smodatamente i segni in ragione che cresce la superficie. Eppure con una superficie sì poco estesa, com'è quella di due pollici nel piccolo Elettroforo che ho chiamato esploratore i segni sono bastantemente forti per manifestarsi con scintilluzze, e dare una carica sensibile ad una picciola boccetta.

Ma ecco le attenzioni necessarie per averne sì grandiosi effetti: e primamente riguardo alla costruzione. Egli è di troppo essenziale che lo strato del mastice sia sottile; e il meglio è sempre che lo sia il più che far si possa, salvo che la troppa sottigliezza non provochi la scarica attraverso l'istesso mastice: perciò è da curare bene che alcuna screpolatura non dia luogo ad una spontanea esplosione; e l'orlo pure del piatto dove restare convenientemente distante dallo scudo od essere coperto dal mastice, ad oggetto di permettere la più forte carica, senza che se ne ecciti l'esplosione spontanea. La faccia poi del mastice vuol essere sì piana, che benissimo vi s’adatti lo scudo, piano esso pure nell'inferior faccia, però senz'ombra quasi d'angolo, e ben ritondato nel contorno. Dico piano il mastice, sebbene con la superficie alquanto scabra riesca con eguale o forse miglior esito; ma intendo che non v’abbiano ridossi, e grandi ineguaglianze, onde lo scudo sia tenuto discosto da molti tratti di superficie. E’ egli necessario l'avvertire, che se il mastice pel lungo uso si trova insudiciato convien ripulirlo? Non si crederebbe quanto contribuisca l'essere esso mondo e scevro d'ogni lordura. Però giova assaissimo tenerlo sempre ben custodito: e quando pur si vegga imbrattato (di che anche s'accorge per un certo viscidume, se si stropiccia) raschiandolo con una lama di coltello, e col far iscorrere per brevissima ora la faccia di questo mastice sopra le bragie, o entro la fiamma stessa, gli vien tosto ridonata colla sua nitidezza l'ottima disposizione ad agire. Ho trovato che passandolo sopra la fiamma di una candela, quella sottil patina di che è lordo s'imbianca, e s'annebbia come fa l'alito sulla faccia di uno specchio, e tosto come questa sparisce, lasciandovi la maggior lucentezza. Ecco dunque un mezzo facilissimo di raccomodare il mastice guasto o imbrattato, senza fonderlo tutto di bel nuovo.

Riguardo al maneggio dell'apparato, se la giornata non è del tutto favorevole bisogna asciugar bene al fuoco o al sole non già tanto il mastice, che, come s'è detto da principio, poco o nulla teme l'umido, ma la boccetta, e il manico isolante: ed è più spediente ancora in luogo di regger lo scudo per il bastoncino di ceralacca, alzarlo con cordicelle di seta asciutto e monde, e piuttosto lunghe. Come abbiam già toccata l'importanza di tener lungi dalla faccia del mastice la polvere e i peli si vuol aggiungere che importa finanche di nascondere i manichetti, perché essi pure a poca distanza rubano molto; il tener discosto le vesti ec. Quando poi occorre d'indurre primamente l'elettricità sul mastice collo stropiccìo della mano, è più necessaria la cautela di far rientrare i manichetti (Fig. 5.); e necessarissimo è che essa mano sia ben asciutta: altrimenti varrà meglio lo strofinare con carta, panno, e singolarmente con velluto bianco; ma trovandosi quella asciutta, e il mastice tersissimo, io prometto che il solo scorrere velocemente sulla faccia di esso col palmo due o tre volto senza premerlo con forza, basterà perché abbiate tosto dallo scudo la scintilla quasi d'un dito.

Dopo tutto questo che ho detto de’ vantaggi del mio Elettroforo, non ho pena a confessare, che le macchine ordinarie ben grandi, e ben eseguite ne’ tempi favorevolissimi giungono più presto a caricare un quadro di ampia superficie, od una batteria, per la ragione che il fuoco vi cola incessantemente: laddove nel nuovo apparecchio spiccando le scintille con quella interruzione, che porta l'abbassare e rialzar lo scudo, più tardi ci si perviene. Ho detto ne’ tempi favorevolissimi: perché poi sono gli effetti dell'Elettroforo sì vivi anche ne' tempi men propizj, che vuolsi bene spesso preferire un simile apparato che sia grande, per l'oggetto pure di caricare quadri e batterio, alla macchina di vetro ordinaria, da cui le molte volte si pena a cavar partito. Oltre di che io credo non sarà difficile col tempo immaginare de’ mezzi per ottenere cotesto necessario accostamento e discostamento dello scudo più speditamente, e con un moto uniforme, e con minor incomodo. Dirò anche che sto per metter mano ad un meccanismo assai semplice onde venirne a capo. Una molla, che al premere della mano od al girar d'una cordicella o staffa, alzi ed abbassi lo scudo, promette di dispensarmi da molta parte d'incomodo. Oppure in altra forma lo scudo portato da un pendolo, cui dia moto una ruota e un peso, e che vada a baciare a destra e a sinistra due piatti, ossia faccie di mastice elettriche, e così andando e venendo incontri nel mezzo da salutare con le scintille, un conduttore, o la caraffa, mi rappresenta un doppio apparato, che per la ragione della celerità de’ movimenti potrà darmi effetti molto più che duplicati.

Ma infine io dichiaro col miglior cuore che non ho l'abilità di riuscir bene in simili costruzioni meccaniche; che d'altra parte non è questo il mio scopo principale; e che per quanto io tenga conto, e lo tengano tutti quelli, innanzi a cui ho mostrato in esteso l'esperienze, dei comodi che ne offre l'Elettroforo, io valuto assai più i lumi che mi si vanno svolgendo su diversi punti della teoria elettrica: intorno a che pubblicherò fra non molto le mie osservazioni già in parte comunicate al Sig. Dottor Priestley.