La rifrazione: Il contesto scientifico antico

 

Lo studio del fenomeno della rifrazione nel mondo greco difficilmente risulta comprensibile se non si precisa che l’ottica matematica antica, a differenza di quella moderna, non era interessata alla fisica della luce, ma al processo della visione. Lo stesso termine «ottica», infatti, (in greco optica, da ops = occhio) indica che il punto di riferimento cardinale per gli scrittori antichi era l’occhio. Il raggio, di conseguenza, era concepito come una linea della visione piuttosto che come una traiettoria della luce. Per gli antichi l’obiettivo principale non era la natura della luce, ma la percezione visiva della realtà spaziale. Sulla base di questa fondamentale assunzione di partenza, l’ottica matematica antica si sviluppò secondo una triplice struttura analitica:

1) l’ottica propriamente detta riguardava le immagini percepibili lungo la linea visuale non ostacolata fra l’occhio e l’oggetto;

2) la catottrica riguardava le immagini risultanti da una linea visuale completamente spezzata; il suo obiettivo precipuo, quindi, era la spiegazione delle immagini speculari e la loro deviazione dalla realtà oggettiva che esse rappresentano;

3) la diottrica, infine, si occupava delle immagini risultanti da una linea visuale parzialmente spezzata; e anche in questo caso si trattava di spiegare le immagini e la loro deviazione dalla realtà oggettiva.

   Il primo a menzionare il fenomeno della rifrazione è Euclide nella Catottrica; Erone, nel terzo capitolo della sua Catottrica, fornisce una spiegazione dinamica in cui considera la rifrazione in termini di riflessione imperfetta; Tolomeo, infine, nel V libro dell’Ottica, che rappresenta il culmine dell’ottica matematica antica, presenta il primo studio quantitativo della rifrazione. La spiegazione di Tolomeo costituirà il punto di partenza della speculazione ottica medievale.