iii. la forza latente

L'idea della costanza che, dapprima applicata allo stato di attività della materia, trovava una definita espressione nel principio di conservazione della forza motrice, maturò la sua successiva configurazione sotto l'influsso di una serie di concezioni che sono emerse dall'idea della causalità. Da questa idea universale viene sviluppandosi in primo luogo la convinzione che anche fra qualsiasi deperire e sorgere nella natura debba esistere una connessione di causa. Questo punto di vista trova un'espressione quantitativa nella idea di compensazione, la quale definisce come apparente qualsiasi perdita osservabile di una grandezza, la cui indistruttibilità viene postulata, ammettendo per essa un compenso equivalente attraverso un guadagno di altro genere in uguale misura. Questa concezione, che aveva reso possibile la generalizzazione della legge dell'inerzia, condusse pure alla successiva estensione della legge di conservazione della forza, conseguente a questa generalizzazione. Infatti essa aggiungeva ulteriormente all'energia cinetica una seconda specie di energia meccanica la quale d'allora in poi venne inclusa nella legge di conservazione. L'ipotesi della forza latente s'imponeva per la necessità di estendere la legge di compensazione anche a quei casi in cui una distruzione ed una creazione di forza effettiva apparivano separate l'una dall'altra nel tempo.

Infatti la legge di conservazione dello stato di attività esprimeva, nella sua forma originale, solo l'invariabilità della forza effettiva, sia che essa venisse misurata sull'esempio di Cartesio o su quello di Leibniz. Con questo concetto la validità del principio doveva quindi rimanere limitata a quegli eventi nei quali ha luogo uno scambio di energia soltanto cinetica. Esso poteva dunque trovare applicazione solo a quei fenomeni che si potevano far risalire ad urti, valutati secondo il punto di vista di Leibniz, e per di più solo ad urti elastici.

L'insorgere di forza cinetica da energia a distanza, come, ad es., nel moto accelerato di caduta, poteva nondimeno ancora accordarsi col principio di conservazione dell'energia effettiva tramite l'ipotesi che l'etere, causa del moto di caduta ed esso stesso in continuo movimento, cedesse forza al corpo in caduta[1]. Quanto più l'attenzione dei fisici veniva rivolta a quei casi in cui si genera movimento anche sotto l'influsso dell'elasticità di corpi solidi, liquidi o gassosi, tanto maggiore divenne la necessità di ammettere, accanto all'attuale, anche una forza latente. Essa doveva essere pensata come generata attraverso una metamorfosi della forza attuale, che in questa forma rimane apparentemente nascosta ed immagazzinata per tornare in evidenza sotto date circostanze.

Il primo che conferì a questa immagine un'espressione definita potrebbe essere stato Gassendi. La forza immanente ed imperitura negli atomi è presente, secondo lui, anche nello stato di quiete. Quando gli atomi entrano in questo stato, la forza è solamente ostacolata; se si mettono in movimento, essa recupera la propria libertà[2]. In modo analogo anche Borelli, nel suo trattato Sulla forza dell'Urto (1667), cerca di dimostrare l'indistruttibilità del moto. Egli scorge nello stato di quiete una sovrapposizione di due moti contrapposti e nascosti, tuttavia continuativi. Se un corpo in movimento urta contro un ostacolo, nulla del suo movimento viene, tuttavia, secondo Borelli, distrutto. Solamente, gli viene comunicato, accanto al solo moto fino ad allora presente, un nuovo moto esattamente contrapposto al primo, cosicché entrambi, attraverso la loro azione comune e contemporanea, determinerebbero l'impressione della quiete[3]. Borelli, invero, non ha approfondito in qual modo questa ipotesi, che dovrebbe dimostrare l'indistruttibilità del moto, possa essere messa in accordo anche con l'impossibilità della sua creazione[4].

L'effettivo fondatore del concetto dell'energia potenziale è stato Leibniz. Egli esprimeva in modo chiaro e senza equivoci l'impossibilità che il prodotto della massa di un corpo per il quadrato della sua velocità possa rappresentare l'unica forma di forza, in quanto il moto può essere creato anche in modo diverso dalla trasmissione per urto. Leibniz estende così il concetto di forza cinetica a quello di energia, per la quale egli usa le espressioni forza viva assoluta (force vive absolue), oppure potenza, facoltà d'azione (potentia). L'energia, secondo Leibniz, è dovunque presente laddove un oggetto, in base al suo stato, è in grado di produrre effetti o variazioni che di per sè non potrebbero realizzarsi[5] e la cui grandezza rappresenta proprio una misura della quantità di energia in considerazione[6]; come esempio caratteristico di un tale effetto vale l'innalzamento di un peso ad un'altezza stabilita[7]. Di conseguenza non soltanto un corpo in moto con una data velocità possiede energia, bensì anche un grave sollevato in altezza oppure un corpo elastico teso[8]. La forza, la cui quantità si mantiene costantemente invariata nella natura, non è, per Leibniz, come per Cartesio e neanche come per taluni seguaci della misura di forza introdotta da Leibniz, una grandezza determinata, dipendente solo dal tipo di moto e dal corpo in movimento, quindi né mv né mv2, bensì la somma della forza attuale e di quella latente. Con questa affermazione, Leibniz ha introdotto nella fisica il concetto di energia potenziale, come pure, in senso più lato, ha giustificato l'immagine della molteplicità dell'energia.

Queste idee di Leibniz ottennero un ampliamento essenziale ad opera di Daniel Bernoulli, il quale aveva posto a base delle sue ricerche le relazioni esistenti tra l'energia effettiva e quella potenziale. Egli dichiarava di ammettere che in un corpo compresso sia contenuta forza viva, non in relazione al moto interno dei fluidi e nemmeno per il fatto che il fluido, come gli altri corpi in movimento, per effetto della sua forza viva potrebbe innalzarsi ad una determinata altezza, bensì perché esso, in conseguenza della sua elasticità, sarebbe in grado di imprimere un analogo moto verso l'alto in altri corpi pesanti. Dunque, ove si parli di forza viva contenuta in un corpo elastico compresso, si dovrebbe con ciò intendere nient'altro che il potenziale movimento verso l'alto che il corpo elastico è in grado d'impartire ad altri corpi, nella misura in cui disponga di forza elastica residua[9]. Daniel Bernoulli riconobbe l'energia potenziale anche nelle sue forme non meccaniche. Egli attribuisce energia anche al carbone combustibile e parla di una forza viva nascosta in esso, la quale, trasformata in calore, potrebbe aumentare l'elasticità di corpi aeriformi e con ciò anche la loro forza potenziale[10].

E merito di Lazare Carnot l'aver introdotto l'energia potenziale anche nella tecnica. Egli distingueva, nei suoi Principi dell'equilibrio e del moto (1803) due diverse forme di forza viva: essa potrebbe comparire o come prodotto della massa col quadrato della velocità oppure come multiplo di una forza per una lunghezza. Il primo prodotto rappresenta una forza viva in senso stretto, per il secondo, Carnot propone la denominazione di "forza viva latente"[11.] Il. Tramite Carnot il concetto di energia potenziale raggiunse presto un'importanza di rilievo per le indagini tecnico-meccaniche. Questa importanza si rese evidente soprattutto nel principio della trasmissione del lavoro[12] che, fondato da Carnot, fu per lungo tempo al centro della scienza delle macchine e contribuì parecchio, attraverso la chiara comprensione delle trasformazioni meccaniche della forza, alla preparazione delle moderne idee energetiche.