v. l'uguaglianza di causa ed effetto

Dal principio dell'impossibilità di un moto perpetuo derivò, attraverso un'ovvia estensione, un principio il quale, particolarmente per Leibniz e per Johann Bernoulli, costituisce il punto di partenza di tutte le considerazioni energetiche e definisce l'uguaglianza della causa e dell'effetto. Leibniz enunciò questo principio nella forma seguente: L'effetto totale è equivalente alla causa piena, ed un perpetuum mobile meccanico è impossibile. La causa non può produrre un effetto, consistente in una determinata prestazione, il quale sia superiore a se stessa, ma nemmeno un effetto totale il quale le sia inferiore[1]. Come totale viene indicato l'effetto, e come piena la causa, allorché dalla causa non può più conseguire alcun altro effetto contemporaneo[2] .

L'equivalenza tra causa ed effetto si manifesta, secondo Leibniz, nel fatto che un sistema, nelle condizioni che corrispondono alla causa ed all'effetto, contiene continuamente la stessa quantità di energia[3]. In questa ipotesi risiede la grande importanza del principio, per lo sviluppo dell'energetica. Che ora l'effetto non possa essere maggiore della causa, risulta, come intende Leibniz, dall'impossibilità di un perpetuum mobile, il quale consisterebbe appunto in una superiorità dell'energia dell'effetto rispetto a quella della causa[4]. Che d'altra parte l'effetto totale non possa essere minore della causa, non viene ulteriormente dedotto. Leibniz accenna ancora espressamente al fatto che le eccezioni osservabili alla legge sono solo apparenti; infatti, quand'anche una parte dell'energia venisse assorbita dagli ostacoli, essa non sarebbe stata distrutta, ma solo trasferita negli ostacoli[5]. Una dimostrazione più rigorosa del principio di uguaglianza non viene dunque fornita da Leibniz e, a suo parere, non è affatto possibile. Infatti egli considera questo principio come un assioma, alla stessa stregua della tesi dell'impossibilità del moto perpetuo; che l'effetto totale sia continuamente uguale alla causa piena, sarebbe essenzialmente un'ipotesi dell'alta metafisica, la quale non si diffonderebbe in vuote parole ma tratterebbe l'essenziale ed il comprensibile delle cose[6] .

Due corollari, ai quali secondo Leibniz conduce il principio di uguaglianza, sono interessanti, in quanto essi rappresentano le generalizzazioni filosofico naturali di due teoremi fisico-matematici i quali furono di grande importanza per lo sviluppo dell'energetica. Uno dei due è il teorema di Galilei, che si riferisce alla caduta obliqua da una data altezza ed afferma l'indipendenza della velocità così raggiunta dalla forma della traiettoria[7] il secondo è la tesi di Huygens, che stabilisce l'uguaglianza tra l'effettivo moto in discesa ed il possibile moto in salita[8].

In forma generalizzata, Leibniz esprime ora il primo principio nel modo seguente: "La grandezza dell'energia corrispondente all'effetto è indipendente dal fatto se l'effetto totale sia indiretto o diretto."[9] Infatti, come afferma Leibniz a dimostrazione della tesi, se A è la causa, l'effetto in B è l'effetto totale immediato ed, a sua volta, C è l'effetto totale mediato attraverso l'intervento di B (cosicché dunque B è contemporaneamente l'effetto di A e la causa di C) allora, essendo A un'energia uguale a B, e B a sua volta uguale a C, A e C devono essere tra loro equivalenti[10]. Come effetto immediato Leibniz definisce, più precisamente, quello che "è provocato dalla causa stessa, il quale, senza che nient'altro, tranne la causa, agisca su alcunché, deriva dalla causa stessa e, in quanto esso insorge contemporaneamente nella sua totalità, esso si produce completamente già nell'istante in cui la causa ha consumato la sua energia, cioè ha smesso di poter agire"[11]. Che l'effetto sia in ogni caso uguale alla causa, consegue del resto, secondo Leibniz, dal fatto che, se così non fosse, per i diversi modi della mediazione, da una e medesima cosa potrebbero derivare cose diverse, e non ci sarebbe in ogni modo una misura definita delle forze[12].

Il teorema di Huygens ha, per Leibniz, due diverse formulazioni. L'una insegna che l'effetto totale deve essere congruente alla causa, quando esso le sia simile[13] mentre l'altra formulazione afferma che l'effetto totale può riprodurre la sua propria causa oppure una ad essa congruente [14] [15].

Anche Johann Bernoulli, nel suo Discours sur le mouvement, fa riferimento all'assioma, a suo avviso considerato indimostrabile da chiunque, che nessuna causa attiva possa essere distrutta in tutto o in parte senza far corrispondere un effetto uguale alla sua diminuzione[16]. Dunque anche la forza viva generata in un corpo, deduce da ciò Bernoulli, è continuamente equivalente alla parte di causa che fu consumata per la creazione di questa forza viva[17].

Il principio dell'uguaglianza di causa ed effetto ricorre ancora spesso negli scritti di fisica dei tempi successivi[18] ma quasi sempre come insito nel principio dell'energia, comunque senza essere più tirato in ballo per la derivazione di quest'ultimo.

Alla grande importanza del principio si richiama nuovamente con vigore Robert Mayer.

L'enunciato causa aequat effectum costituisce il punto di partenza del suo primo lavoro e giuoca un ruolo importante anche nei suoi scritti successivi. Esso conduce, come Mayer espone in dettaglio, a due conseguenze le quali, anche dal momento che le forze sarebbero le cause, racchiuderebbero in sè l'intero contenuto del principio dell'energia.

Dalla teoria delle equazioni risulterebbe, infatti, che in una catena di cause ed effetti, i quali fossero complessivamente uguali fra loro, nessun membro, e neanche una singola parte di membro, potrebbe diventare zero. D'altra parte seguirebbe dal principio dell'uguaglianza, che la causa dovrebbe sparire completamente, se dovesse produrre un effetto ad essa esattamente uguale.

Dalla prima circostanza risulterebbe senz'altro l'indistruttibilità, dalla seconda, invece, la trasformabilità delle forze nella natura[19].