vi. l'uniformita dei fenomeni naturali

Il generale bisogno di ciascun ricercatore di porre nella più stretta connessione possibile la molteplicità dei fenomeni che si offrono alla sua percezione, ed in tal modo di proiettare, per così dire, l'uniformità del suo pensiero nel mondo esteriore, costituisce, accanto alle idee della costanza e della causalità, il motivo più importante della scienza della natura in primo luogo, e con ciò anche dell'energetica. Infatti questo bisogno di unitarietà si rese manifesto al fisico attraverso l'uniformità e l'omogeneità mediante le quali i più diversi fenomeni della natura sono concatenati fra loro, e lo condusse così ad una conoscenza sulla quale potè fondarsi primariamente un principio fisico universale di conservazione della forza.

L'idea fisica unitaria si presenta in quattro forme principali, che corrispondono ai suoi diversi stadi di sviluppo. La fisica considera i singoli fenomeni naturali dapprima come analoghi, poi come affini e più tardi come identici e trasferisce infine a tutti i fenomeni, mediante l'ipotesi di una forza universale unitaria, l'identità accertata fra i singoli fenomeni.

Il convincimento che fra i diversi rami della fisica dovessero intercorrere molteplici analogie, venne anzitutto in luce nella comune trattazione matematica di fenomeni apparentemente del tutto eterogenei. I metodi ed i risultati della meccanica venivano, fin dalle epoche più antiche, trasferiti a tutti gli altri campi della scienza della natura. Già nell'antichità gli ottici matematici applicavano la teoria degli urti ai fenomeni della luce[1], e siccome gli eventi meccanici apparivano di continuo come i più semplici ed i più noti, così anche i fisici, in quasi tutte le epoche, furono dell'opinione di Huygens che "nella vera filosofia le cause di tutti gli effetti si potessero comprendere solo attraverso i modi di vedere della meccanica, e ciò si debba fare assolutamente se non si vuole, già fin dall'inizio, lasciare ogni speranza di capire mai qualcosa nella fisica"[2]. Le analogie che la ricerca ha scoperto nella natura fra i fenomeni del suono e della luce furono oltremodo favorevoli ed importanti per la configurazione della teoria ottica ondulatoria[3] e, nella teoria delle forze che agiscono in rapporto quadratico inverso con la distanza, la fisica creò definitivamente per i fenomeni di gravitazione, del magnetismo e dell'elettricità una base teoretica comune la quale, attraverso la configurazione della teoria del potenziale[4] e coll'introduzione del sistema assoluto di misure[5] guadagnò ancora essenzialmente in consistenza.

Dalla nozione dell'analogia scaturiva ben presto il convincimento che fra i diversi fenomeni naturali esistesse una certa affinità la quale si dovrebbe innanzitutto manifestare nella presenza di un principio fisico unitario esplicativo. Il trovarne uno siffatto, è stato fin dai tempi più antichi un problema fondamentale di quasi tutti i piú importanti sistemi filosofici. La ricerca della materia prima unitaria caratterizza l'intera filosofia pre-socratica degli Ellenici, e giá Democrito ed i suoi seguaci cercavano di spiegare tutti i fenomeni fisici col moto degli atomi come causa unica comune. Infatti essi riconducevano al moto degli atomi non solo gli eventi meramente meccanici e la gravità[6]; essi cercarono altresì di derivare anche i fenomeni ottici[7], e persino quelli magnetici[8], dalla loro ipotesi fondamentale, la quale già legava il concetto dell'unitarietà della materia con quello dell'unitarietà degli eventi.

Seguendo l'esempio degli atomisti, anche Thomas Hobbes si sforzò, attraverso il suo sistema meccanicistico, di ricondurre tutti i fenomeni a movimenti della materia[9]. Nell'inizio del Leviatano (1651) egli afferma che la luce, il suono, l'odore, il sapore, il caldo e il freddo negli oggetti non siano altro che movimenti della materia, attraverso i quali l'oggetto agisce sugli

Una differenza essenziale fra i due sistemi consiste nel fatto che organi sensoriali[10].

Renato Cartesio ha, per primo, posto in relazione l'idea unitaria con l'ipotesi dell'etere, così densa d'importanza per lo sviluppo della fisica. Egli, nei suoi Principi di filosofia (1644), assumeva che la materia fosse stata in origine del tutto uguale ed unitaria, ma che in seguito si sarebbero formati in essa dei vortici sferiformi dai quali sarebbe stata levigata la sostanza contenuta in minute particelle negli interstizi[11]. La sostanza in minute particelle è chiamata, da Cartesio, il primo elemento, mentre contrassegna come secondo le sferette celesti scaturite dai vortici. Da queste vengono, a loro volta, costituite le particelle terrestri, che rappresenterebbero il terzo elemento. La pressione che le sferette celesti, in seguito alla loro forza centrifuga insorta nei vortici, giungerebbero ad esercitare fin sulla retina, sarebbe da noi percepita come luce[12]. Il calore, invece, sarebbe un rapido, continuo movimento delle particelle terrestri, che sarebbe eccitato dalla luce o da altra causa[13]. La gravitazione, che Cartesio, invero, conosceva solo nella forma della gravità terrestre, sarebbe causata dalle sferette celesti che circondano la Terra. Attraverso la rotazione terrestre verrebbe indotta in queste una forza centrifuga; ma poiché non ci sarebbe alcuno spazio vuoto nel quale queste sferette possano sfuggire, esse spingerebbero i corpi pesanti in giù verso la Terra[14]. Cartesio riconduceva pure i fenomeni magnetici a movimenti delle particelle del primo elemento; egli li spiegava attraverso l'ipotesi che i corpi magnetici, ed anche la Terra, contenessero nel loro interno cavità proprie spiraliformi[15].

In modo analogo a Cartesio, anche Leonardo Eulero nelle sue Lettere ad una principessa tedesca (intorno al 1770) ha sviluppato un sistema unitario della fisica. Egli cercava di derivare i diversi fenomeni naturali dalle proprietà di un etere perfettamente elastico permeante tutto l'Universo. Egli spiegava la gravitazione attraverso la pressione che i corpi celesti farebbero insorgere nell'etere che li circonda[16], e lo stato elettrico dei corpi attraverso la differenza di elasticità esistente tra l'etere racchiuso nel corpo e quello che lo circonda[17,18] Anche la luce sarebbe prodotta dall'etere, e rappresenterebbe soltanto uno stato di questa materia, analogo a quello stato dell'aria che noi percepiamo come suono[19,20].

Mentre Cartesio ed Eulero attribuiscono la massima importanza nel trovare un substrato unitario per gli eventi fisici, l'idea di una causa unitaria dei fenomeni è alla base del sistema di Roger Boscovich. Egli, nella sua Teoria della filosofia della natura, rinuncia all'ipotesi di un etere che debba far apparire superflue tutte le altre sostanze imponderabili, e colloca al centro del suo sistema l'idea che tutte le forze attive in natura differiscano fra loro solo quantitativamente, ma non qualitativamente. Una forza spaziale unica è, a suo parere, la causa di tutti i fenomeni fisici. Essa agirebbe fra i punti adimensionati di cui pensa sia pieno lo spazio, ma potrebbe assumere, a seconda della distanza dai punti fra i quali essa agisce, valori diversi, e precisamente tanto positivi quanto negativi. Alle minime distanze essa è, come suppone Boscovich, negativa, perciò repulsiva, ma per distanze crescenti diventa poi alternativamente positiva e negativa, per cui scompare a certe determinate distanze ed infine, a distanza sufficientemente grande, si traduce nella forza attrattiva newtoniana[21]. Oltre alla gravità, questa forza unitaria è causa, secondo Boscovich, dei fenomeni della coesione, dell'elasticità e del magnetismo[22], ed anche dei fenomeni ottici, di quelli termici e di quelli elettrici attraverso la sua azione sulla sostanza luce[23] sulla sostanza calore[24] e sul fluido elettrico[25].

La forza unitaria della natura del Boscovich riappare, suddivisa invero in due forze fondamentali, nel sistema filosofico naturale di Kant. L'una forza è, secondo Kant, repulsiva e giustifica l'estensione e l'impenetrabilità della materia; l'altra è attrattiva ed è la causa della gravitazione[26]. Nell'abbozzo postumo, incompleto, Sul trapasso dai primi elementi metafisici della scienza naturale alla fisica[27], Kant ha intanto cercato, nuovamente in appoggio a Cartesio ed Eulero, di ricostruire l'unità della fisica mediante l'ipotesi dell'etere. Una materia non solo ipotetica, ma bensì "a priori riconosciuta e postulata"[28], che Kant denomina sostanza calore o etere, riempie, a suo avviso, in modo continuo l'intero universo ed è concepita in moto continuo, da tutta l'eternità, senza possibilità di aumento o diminuzione[29]. Essa è, secondo Kant, la causa dei più disparati fenomeni naturali. Essa provoca la coesione della materia ponderabile[30], la diversità degli stati d'aggregazione[31], i fenomeni della capillarità[32] e della gravitazione[33]; ma le sue supreme modificazioni sono il calore[34] e la luce[35].

Le idee che Kant aveva manifestato nella sua opera postuma, furono conosciute troppo poco per poter influire sull'ulteriore sviluppo della scienza speculativa, della natura. L'aspirazione ad unificare, ad avvicinare di più fra loro i diversi rami della fisica, caratterizza frattanto anche i sistemi filosofico-naturali dei successori di Kant. Schelling si è spinto avanti fino al convincimento di una piena identità fra le diverse forze della natura[36]; anche Herbart accenna ripetutamente alle strette relazioni che intercorrerebbero fra le diverse parti della fisica. Egli mostra l'affinità fra magnetismo ed elettricità[37], egli scorge nel calorico[38] l'origine del galvanismo e tratta in un unico capitolo[39] due argomenti apparentemente così disparati come la gravità e la luce.

Quanto più consistente divenne la convinzione che una stretta parentela legasse fra loro i diversi rami della scienza naturale, tanto più evidente divenne la tendenza a limitare la molteplicità delle teorie fisiche, attraverso la dimostrazione dell'identità dei singoli fenomeni naturali. L'idea dell'identità venne dapprima in luce nelle ipotesi le quali scorgevano in determinati fenomeni fisici solo dei modi particolari di movimento della materia ponderabile[40]. L'acustica fu appunto il primo ramo della fisica che in questo modo venne subordinato alla meccanica. Infatti già molti fisici dell'antichità, come Vitruvio, avevano ben chiaro in mente che il suono consiste in nient'altro che moti ondulatori dell'aria[41].

All'acustica fece seguito nel XVII secolo la termologia. Come fondatore della termologia meccanica è considerato Franceso Bacone da Verulam. Egli, nel suo Novum Organon (1620), definisce il calore come un movimento vincolato entro limiti, che si produce nelle particelle del corpo ed è in grado di dilatare i corpi[42]. Nella produzione di calore per attrito egli scorge l'argomento decisivo contro la comune concezione del calore. All'idea di Bacone si associarono tre dei filosofi più in vista di quel tempo: Renato Cartesio, Thomas Hobbes e John Locke. Cartesio riconduceva il calore a rapidi movimenti delle particelle terrestri[43], per Hobbes e Locke, l'idea meccanica del calore era una necessaria conseguenza dei loro concetti filosofici fondamentali, ma specialmente di quelli gnoseologici. Infatti, per Hobbes essa risultava dalla sua interpretazione delle qualità dei sensi, per i quali sarebbero appropriati solo movimenti nell'oggetto[44], per Locke, dalla distinzione fra qualità primarie e secondarie[45].

Ma anche fra i fisici esatti, l'ipotesi cinetica del calore fece presto il suo ingresso. Robert Boyle definì (intorno al 1690) il calore come un movimento molto rapido e violento delle molecole dei corpi nelle più diverse direzioni, adducendo, a sostegno della sua teoria, numerosi esempi nei quali il calore viene prodotto per attrito e per urto [46]. Robert Hooke, nella sua Micrografia (1667), derivò dalla teoria cinetica del calore la diversità degli stati d'aggregazione[47], ed anche Newton, nella sua Ottica (1705), nella quale invero egli seppe solo rasentare il problema, si pronunciò per la concezione meccanica del calore[48]. Daniel Bernoulli, nel decimo paragrafo della sua Hydrodynamica (1738), pose le basi della teoria cinetica dei gas, e Jakob Hermann, nella sua Phoronomia (1714), insegnava già che il calore sarebbe proporzionale al prodotto della densità del corpo caldo col quadrato della velocità delle sue particelle[49]. Il più importante sostenitore della teoria meccanica del calore fu tuttavia Benjamin Thompson, conte di Rumford, il quale più di tutto si sforzò di fornire una sicura base sperimentale alla teoria. Dopo aver trovato, già nell'anno 1778, che la volata di un cannone si riscalda molto di più per un colpo a salve che non per uno a palla, formulò più tardi (1798) osservazioni più precise sullo sviluppo di calore ottenuto durante la perforazione dell'anima del cannone, che avveniva, come egli accertò ben presto, senza variazione della capacità termica del metallo[50]. I tentativi di Rumford, che facevano chiaramente riconoscere l'insostenibilità della sostanza calore, vennero proseguiti ed integrati particolarmente da Davy. La fondazione dell'attuale teoria meccanica del calore - soprattutto i lavori di Joule, Rankine e Clausius[51] - coincide temporalmente all'incirca colla fondazione della moderna energetica ed è a questa strettamente legata da numerosi comuni problemi, come, in particolare, quello dell'equivalente meccanico del calore[52].

Accanto alle teorie meccaniche del suono e del calore assunsero grande importanza, per lo sviluppo del pensiero fisico unitario, due teorie sull'identità, venute in luce solo più tardi, le quali avevano di mira una semplificazione di quelle parti della scienza naturale oggi indicata come fisica dell'etere. L'una di queste teorie cercava di ricondurre i fenomeni magnetici a quelli elettrici, mentre l'altra poneva in evidenza l'identità tra calore raggiante e luce. Entrambe le teorie assunsero un aspetto chiaro ad opera di André Marie Ampère. In un trattato apparso nel 1822 [53] egli cercò di spiegare i fenomeni magnetici mediante correnti elettriche circolanti attorno alle molecole del magnete. La sua teoria del calore raggiante, realizzata dieci anni più tardi, costitui la conclusione di una serie di tentativi che impegnarono parecchi fisici durante il primo decennio del XIX secolo. Solo dopo che Herschel (1800) ebbe mostrato che i raggi del calore e della luce vengono rifratti e riflessi precisamente secondo le stesse leggi[54] ed i suoi esperimenti vennero proseguiti in particolare da Leslie, Rumford, Nobili e Melloni, Ampère enunciò chiaramente l'idea che solo una differenza quantitativa intercorra fra i due tipi di radiazione, ma che esse siano perfettamente identiche nella loro essenza [55].

Anche nella teoria degli imponderabili si rese evidente la convinzione che fra i diversi fenomeni della fisica dovesse esistere un molteplice accordo. Così Deluc sosteneva il punto di vista che la sostanza calore fosse un legame tra la sostanza fuoco e la sostanza luce[56]. I chimici, per lungo tempo, identificarono la sostanza calore con il flogisto il quale, secondo l'ipotesi di Stahl, sarebbe contenuto nei corpi combustibili, ma dovrebbe sfuggire da essi all'atto della combustione[57]. Persino Davy in un suo lavoro giovanile formulò l'ardita affermazione che il fluido elettrico fosse soltanto luce in uno stato condensato[58].

Dal momento che l'ipotesi di una piena identità fra tutti i fenomeni naturali stava in una contraddizione troppo vistosa con la loro evidente molteplicità, questa concezione, alla quale d'altra parte aveva condotto l'idea unitaria nella sua evoluzione conclusiva, dovette essere sostituita da un'altra ipotesi. Si tratta dell'ipotesi che tutti i fenomeni fisici siano soltanto diverse espressioni di un'unico e medesimo stato di attività della materia e perciò anche tutte le forze della natura, in quanto forme speciali di questa attività unitaria, siano nella loro essenza del tutto uguali fra loro. Che un bel giorno, purché la fisica sperimentale sia sufficientemente progredita, questa visuale divenga predominante, lo aveva già profetizzato Dénis Diderot. Allora si dovrà ben riconoscere, come egli opina nei suoi Pensieri sull'interpretazione della natura (1754), che tutti i fenomeni della gravità, dell'elasticità, dell'attrazione, del magnetismo e dell'elettricità non siano altro che diversi modi di apparire di un'unica e medesima azione[59,60]. L'ipotesi di una forza universale appare sostenuta per la prima volta in un lavoro giovanile (1799) di Schelling, il quale considerava del tutto fuor di dubbio che nella luce, nell'elettricità ed in altri fenomeni fisici facesse la sua comparsa solo una forza, nei suoi diversi aspetti[61]. Ma questa visuale ottenne la sua chiara configurazione solo ad opera di Faraday. Essa era la sua idea prediletta, che gli diede lo stimolo per le sue più eminenti ricerche. Secondo il punto di vista di Faraday, tutte le forze sono strettamente legate fra loro ed evidenziano un'origine comune; esse rappresentano solo le diverse forme di un'unica forza, che egli chiama la "grande forza" (the great power). Ma che le singole forme della forza universale, fra loro identiche, dovessero essere pure trasformabili l'una nell'altra, era una deduzione del tutto evidente da tutte queste considerazioni[62]. Perciò dobbiamo scorgere in Faraday il vero creatore del moderno concetto di energia[63] nella cui chiara definizione si concretò lo sviluppo dell'idea fisica unitaria.