ix. i fondamenti sperimentali dell'energetica

Quanto più ampia divenne l'estensione nella quale trovava applicazione il principio di conservazione della forza, tanto maggiore fu l'importanza che, per lo sviluppo dell'energetica, dovettero assumere, accanto alle considerazioni filosofiche e matematiche, anche le indagini sperimentali. Infatti una teoria comune per i diversi fenomeni fisici era del tutto impossibile prima dell'edificazione della moderna legge dell'energia, e solo pochi rami della fisica possedevano, ancora nella metà del XIX secolo, una struttura teorica così solida come, in quasi tutti i tempi, fu proprio della meccanica. L'influsso del metodo sperimentale si accrebbe così coll'estensione della validità delle idee energetiche[1]; esso raggiunse il suo culmine allorchè si trattò di confermare la conclusione finale dell'energetica teorica, allorchè si trattò di dimostrare la costanza dei rapporti di trasformazione esistenti tra le singole, diverse, forme di energia.

Che, fra tutti questi rapporti di trasformazione, si cercasse innanzitutto di determinare l'equivalente meccanico del calore, non aveva la sua ragione solamente nel fatto che nella teoria meccanica del calore si fosse resa evidente nel modo più nitido l'idea dell'unitarietà dei fenomeni naturali. Infatti è estremamente difficile osservare altri processi fisici, che non siano collegati a variazioni termiche. La somma di due quantità di energia di specie diversa può, per trasformazioni reciproche fra le due forme, di norma rimanere costante solo nel caso che una delle due quantità di energia sia di tipo termico; solo in questo caso è possibile una trasformazione equivalente delle due specie di energia. D'altra parte era anche del tutto naturale che si cercasse di porre in relazione la forza termica con quella forma di energia che fosse misurabile nel modo più semplice e più noto e più facile, e quindi si confrontasse l'energia termica con il lavoro corrispondente al sollevamento o all'abbassamento di un peso.

Pertanto si rivelò come problema fondamentale dell'energetica sperimentale il compito di accertare il numero di unità meccaniche di lavoro che fossero equivalenti all'unità di calore. Se si fosse riusciti a dimostrare che questo numero, sotto le più diverse circostanze e condizioni, è comunque sempre lo stesso, allora il principio di conservazione della forza sarebbe stato dimostrato sperimentalmente, beninteso, entro i limiti del possibile. Ora, due modi contrapposti di pròcedere offrono al fisico la possibilità di determinare l'equivalente meccanico del calore: la produzione di energia meccanica dal calore e, viceversa, la generazione di energia termica dal lavoro meccanico. Su questi due eventi si fondavano i diversi procedimenti che i fisici adottarono per la determinazione dell'equivalente.

La produzione di energia meccanica dal calore si poteva osservare nel modo migliore nei gas e nei vapori. Già nell'anno 1788 Erasmus Darwin si accorse che un termometro, investito dall'aria emessa da un compressore, indicava un abbassamento della temperatura[2]. Dalton ripetè questa osservazione nel 1799[3]. L'indagine più dettagliata di questo fenomeno condusse allora nei primi decenni del XIX secolo alla determinazione sperimentale di numerose costanti in base alle quali fu, per Robert Mayer, possibile trovare l'equivalente meccanico del calore attraverso considerazioni teoriche.

I dati sperimentali occorrenti per il calcolo dell'equivalente meccanico del calore, effettuato da Mayer, erano il calore specifico di un gas a pressione costante ed il suo rapporto col calore specifico a volume costante. Il calore specifico a pressione costante venne determinato dapprima da Delaroche e Berard, il cui comune lavoro fu insignito nel 1813 del premio dell'Accademia di Parigi[4]. Più tardi Marcet e de la Rive continuarono le misure[5], ed anche Régnault, dal 1840 in poi, ripetè gli esperimenti di Delaroche, ma con l'impiego di apparati e metodi essenzialmente migliorati[6]. Tuttavia Mayer non ha, purtroppo, sfruttato i risultati molto precisi di Régnault che ancora oggi vengono utilizzati.

Il rapporto dei due calori specifici, che si suole indicare con la lettera k, fu oggetto dei primi tentativi di determinazione da parte di Gay-Lussac e Clément, dall'osservazione del riscaldamento per compressione e del raffreddamento per espansione dei gas. Gay-Lussac trovò per k il valore 1, 372[7], Clément il valore 1, 357[8]. Dopo che Laplace aveva già stabilito che il valore della velocità del suono, calcolato da Newton[9], dovrebbe essere ancora moltiplicato per , per dare il valore effettivamente osservato, Dulong, al contrario, cercò di determinare la grandezza k dal rapporto tra la velocità del suono effettiva e quella teorica; per l'aria atmosferica egli ottenne così il valore 1,421[10].

Il calcolo di Robert Mayer si appoggia a questi dati sperimentali[11]. Nel suo primo trattato, pubblicato nel 1842 Mayer ha riportato solo il risultato di questo calcolo. "Si trova - così si esprimeva nell'ultimo capitolo di questo trattato - che l'abbassamento di una colonna di mercurio che comprime un gas è uguale alla quantità di calore sviluppata attraverso la compressione, e da ciò risulta - posto uguale a 1, 421 l'esponente del rapporto delle capacità [termiche n.d.t.] dell'aria a pressione costante - che alla calata di un peso da un'altezza di circa 365m corrisponde il riscaldamento da 0deg. a 1deg. di un peso di acqua[12]. I dettagli del calcolo sono stati pubblicati da Mayer solo nel suo secondo trattato, apparso nel 1845. Egli parte dall'idea che il calore specifico a pressione costante dovrebbe essere maggiore del calore specifico a volume costante per il fatto che per un aumento di volume il gas dovrebbe superare la resistenza dell'aria lungo un tratto che corrisponderebbe alla dilatazione longitudinale [= lineare n.d.t.] del gas e, con ciò, effettuare un lavoro meccanico. Ora, Mayer pone questo lavoro uguale alla differenza tra le quantità di calore che, nei due modi di riscaldamento, si sono dovute fornire al gas per innalzare di 1deg. la sua temperatura[13]. Per la medesima via pervenne ad un risultato analogo a quello di Mayer anche Carl Holtzmann, il quale nell'anno 1845, senza conoscere i lavori di Mayer, pubblicò un trattato Über die Wärme und Elastizität der Gase und Dämpfe [Sul calore e l'elasticità di gas e vapori]. Holtzmann si atteneva ancora all'idea di una sostanza calore, ma, nondimeno, la sua indagine lo condusse ad una formula finale esatta, che gli permise poi il calcolo dell'equivalente del calore. Holtzmann, partendo dall'idea che "l'effetto del calore assorbito dal gas sia o un innalzamento della temperatura, collegato con aumento di elasticità, o un lavoro meccanico oppure una combinazione di entrambi, e quindi un lavoro meccanico rappresenti l'equivalente dell'innalzamento di temperatura"[14] giunge alla formula

p dv = a dQ

in cui egli indica con p la pressione, con v il volume, con Q la quantità di calore, ma con a il valore numerico del lavoro, espresso in kgm, che viene fornito dall'unità di calore (la g-caloria) all'atto del suo ingresso nel gas[15]. Considerazioni teoriche, analoghe a quelle formulate da Robert Mayer, condussero ora Holtzmann alla formula finale che gli permise il calcolo della costante a . Essa appare come:

Con cp e con cv Holtzmann intende in questo caso i calori specifici a pressione costante ed a volume costante, con [[sigma]] la temperatura, misurata in gradi Celsius, al di sopra del punto di congelamento dell'acqua. Da questa formula, usando i risultati ottenuti da Delaroche e Bérard, risultò il valore medio di 374gm/19cal. Ma lo stesso Holtzmann ammette che i dati sperimentali da lui utilizzati sono ancora molto incompleti e che il vero valore dell'equivalente potrebbe essere anche di 40 unità più grande o più piccolo[16].

Nel medesimo anno in cui apparve il trattato di Holtzmann, anche Joule pubblicò i risultati di una serie di esperimenti relativi alle variazioni termiche per condensazione e rarefazione dei gas, e che gli fornivano per l'equivalente meccanico del calore il valore medio di 436kgm[17].

Sul lavoro di espansione del vapore che si raffredda si fondavano le indagini sperimentali di Carnot e Séguin, le quali, anche se originariamente non avevano di mira la determinazione dell'equivalente del calore, fornirono comunque molti dati la cui combinazione consentì senz'altro il calcolo di questo rapporto. Sadi Carnot, nelle sue Riflessioni sulla potenza motrice del fuoco, comunicò, come risultato delle sue ricerche, la nozione che "1000 unità di calore, nel passaggio da un corpo mantenuto ad 1deg. ad un altro a 0deg., produrrebbero 1,395 unità di forza motrice"[18]. Ma, ora, il lavoro meccanico che può essere fornito in un processo del genere è, in ogni caso, uguale al prodotto della quantità di questa energia termica per la sua diminuzione d'intensità. Ma questa quantità, in questo caso l'entropia, si ottiene se si divide la quantità di calore per la temperatura assoluta, ossia per 274; la diminuzione d'intensità ammonta a 1deg. C. Dal valore indicato da Carnot (1,395) risulterebbe quindi per l'equivalente meccanico del calore il valore di circa 380kgm[19].

Con questa grandezza mostra ora una vistosa coincidenza un altro numero, che si trova nelle comunicazioni manoscritte postume di Carnot. Infatti, come afferma Carnot in questi appunti pubblicati solo nel 1878, in base ad alcune idee che egli si era formato sulla teoria del calore, la produzione di un'unità di forza motrice dovrebbe richiedere la distruzione di 2,70 unita di calore[20]. Siccome Carnot sceglie come unità di forza motrice la Dynamya (1000kgm), la sua determinazione dell'equivalente del calore - la prima nel suo genere, sulle cui procedure di calcolo noi possiamo, purtroppo, formulare soltanto supposizioni - diede come risultato il valore di 370kgm/1kcal[21].

Anche Séguin pubblicò, in una sua opera Sull 'importanza delle ferrovie apparsa nel 1839, numerosi dati sperimentali relativi alla trasformazione reciproca dell'energia meccanica e termica. Egli raccolse in una tabella i valori, misurati in kilogrammetri, del lavoro fornito da un metro cubo di vapore d'acqua per raffreddamento tra diverse temperature[22]. La sua tabella consente ora, utilizzando i valori del peso specifico e del calore specifico del vapore d'acqua, di calcolare il lavoro corrispondente al raffreddamento di 1deg. C per lg d'acqua. Séguin stesso ha raccolto i risultati di questo calcolo in un breve articolo apparso nel 1847. Per l'equivalente meccanico del calore risulterebbero per Séguin, in base ai dati da lui pubblicati nell'anno 1839, e relativi a raffreddamenti di 20deg. per volta, i seguenti valori:

Per raffreddamento fra 180deg. e 160deg. 395gm,

fra 160deg. e 140deg. 412gm,

fra 140deg. e 120deg. 440gm,

fra 120deg. e 100deg. 472gm,

fra 100deg. e 80deg. 529gm;

in media, dunque, 449gm[23],[24].

I fisici che avevano cercato di determinare l'equivalente del calore col secondo metodo fondamentale, precisamente attraverso una trasformazione di lavoro meccanico in energia termica, utilizzarono nei loro esperimenti quasi esclusivamente l'effetto dell'attrito. Che all'attrito sia sempre collegato uno sviluppo di calore è un dato di fatto, che era già noto a molti dei fisici dell'antichità, e che veniva addotto da quasi tutti i seguaci della teoria meccanica del calore a sostegno della loro teoria. Il primo che fece il tentativo di misurare il calore prodotto per attrito, e di determinare in tal modo la legge del suo sviluppo, fu il Conte Rumford. Egli trapanò un cilindro di metallo da cannoni con un trapano in rapida rotazione e misurò con grande precisione sia l'innalzamento di temperatura intervenuto durante l'esperimento sia pure tutte le altre grandezze che apparivano giocare un certo ruolo nell'esperimento, come la dimensione del foro, la velocità di rotazione e la pressione del trapano[25]. La determinazione dell'equivalente meccanico del calore era comunque ben lungi dalle intenzioni di Rumford[26].

Dopo alcuni tentativi di minor importanza di Haldat[27] e Morosi[28] l'idea di Rumford venne ripresa dal fisico danese Ludovico Augusto Colding. Ancor prima dell'anno 1843 egli impostò una serie di esperimenti sul calore prodotto per attrito, nei quali egli faceva variare ad arbitrio il carico e la velocità del suo apparato, costruito a mo' di slitta, ed infine anche il materiale della base sulla quale l'apparato veniva mosso. Egli trovò allora, che il rapporto tra il calore prodotto ed il lavoro meccanico effettuato sarebbe indipendente dalla variazione di tutte queste condizioni accessorie, ed ottenne come valore medio per questo rapporto il valore 350kgm/1kcal[29].

Joule cercò di determinare l'equivalente del calore dall'attrito reciproco tra corpi liquidi e solidi. Nel suo primo esperimento di questo genere (1843) egli fece lavorare uno stampo variamente forato in un recipiente pieno d'acqua e misurò la quantità di calore conseguentemente sviluppata; come valore probabile del rapporto di trasformazione questi esperimenti diedero 770 in unità piede, libbra e gradi Fahrenheit, corrispondenti alla nostra misura odierna di 423 kgm[30]. Nei suoi esperimenti successivi, Joule mise in rotazione una ruota a pale in acqua o in altri fluidi. Mentre i primi esperimenti di questo genere conducevano ancora al risultato impreciso di 488,3 kgm[31], gli esperimenti successivi dell'anno 1847 fornivano valori abbastanza precisi per l'equivalente, precisamente 428, 8 kgm per l'attrito nell'acqua e valori alquanto più alti per l'attrito nel mercurio ed in olio di spermaceti [balena, capodoglio, n.d.t.][32]. La serie degli esperimenti dell'anno 1850 diede come migliore valore medio 423, 6kgm [33].

Un secondo procedimento, il quale accanto al metodo dell'attrito consentiva la trasformazione più completa possibile di lavoro meccanico in energia termica, è stato utilizzato da Joule nei suoi primissimi esperimenti per la determinazione dell'equivalente del calore, pubblicati nell'anno 1843. Mediante lavoro meccanico egli produceva dapprima correnti elettriche e successivamente confrontava il lavoro originariamente impiegato con la quantità di calore sviluppata dalla corrente[34]. Joule inserì fra i poli di un forte elettromagnete un recipiente pieno d'acqua, nel cui interno si trovava un piccolo elettromagnete, e pose questo recipiente in rapida rotazione mediante un peso in caduta. In tal modo potè misurare facilmente la quantità di calore, prodotta dalle correnti indotte per la rotazione, nell'elettromagnete. Uguagliando questa quantità di calore al lavoro fornito dal peso in caduta, Joule arrivò così alla conclusione che "la quantità di calore necessaria per elevare di 1deg. Fahrenheit la temperatura di una libbra di acqua sia trasformabile nella quantita di forza meccanica, ad essa equivalente, in grado di innalzare 838 libbre ad un'altezza perpendicolare di 1 piede"[35],[36]. In questa proposizione Joule, dopo che invero era stato preceduto dalla determinazione dell'equivalente da parte di Carnot, rimasta sconosciuta, e dai calcoli di Mayer basati su altri dati, ha comunque enunciato per primo, in base ad osservazioni autonome ed appositamente rivolte a questo scopo, l'equivalenza delle due diverse forme di energia.