i n t r o d u z i o n e

arthur erich haas nasce a brunn in moravia (oggi brno, cecoslovacchia) il 30 aprile 1884. dopo aver studiato fisica a vienna e gottinga ed aver conseguito il dottorato a vienna, nel 1906 haas si dedica, sotto l'influenza di mach e ostwald, alla storia della fisica e nel 1909 presenta il volume qui tradotto come dissertazione per ottenere un incarico di insegnamento all'università di vienna. l'argomento storico fu causa di imbarazzo per la commissione di esame che richiese anche un lavoro specifico di ricerca in fisica teorica. haas si dedicò quindi alla fisica più recente ed in particolare al problema della radiazione di corpo nero. sviluppando i lavori di j.j. thomson e w. wien egli pensò di collegare il problema della natura del quanto d'azione con quello della struttura dell'atomo, e fu il primo nel 1910 ad applicare una formula quantistica per spiegare la struttura dell'atomo. haas ipotizzò per l'atomo di idrogeno epot="h[[upsilon]]" e infine ricavò , ove e ed m sono la carica e la massa dell'elettrone in moto su un' orbita di raggio r.

Il risultato di dedurre il quanto d'azione dalle dimensioni dell'atomo non poteva essere raggiunto per l'incertezza sul valore delle costanti, ma nello sviluppo di queste idee Haas pervenne anche a derivare, a meno di un fattore numerico, la costante di Rydberg. E' ben chiaro che Haas non può essere considerato un anticipatore di Bohr: egli non fece nessuna assunzione sul comportamento dell'atomo nei suoi scambi energetici con l'esterno; pur tuttavia il suo ruolo fu importante nel processo che portò a sostituire l'oscillatore di Planck con il concetto di atomo.

Ciò non fu riconosciuto immediatamente: il lavoro venne accolto con scetticismo nel 1910 e solo nel 1911 suscitò una meritata attenzione.

Nel 1913 Haas divenne professore associato di Storia della Scienza all'Università di Lipsia e fu il curatore del 5deg. volume della bibliografia di Poggendorff. Alla fine della guerra tornò a Vienna ad occuparsi di fisica e nel 1920 pubblicò dei risultati originali nello studio degli spettri di rotazione. Infine nel 1935 emigrò negli Stati Uniti dove fino alla morte, avvenuta nel 1941, fu professore di fisica all'Università di Notre Dame nell'Indiana.

Il testo del 1909

La dettagliata analisi del ruolo svolto da alcune idee filosofiche nell'origine e nello sviluppo del Principio di Conservazione dell'Energia (PCE) costituisce il merito maggiore di quest'opera di Arthur Haas ed il motivo per cui essa si distingue dagli altri "classici" dedicati alla conservazione dell'energia.

Nel concludere il suo lavoro Haas afferma che:

"il fondamento della moderna energetica potè essere solo il risultato del lavoro comune del filosofo speculatore della natura, dell'empirico sperimentale e del teorico analizzatore" (p. 145 e p. 156).

La maggior parte della sua analisi (i primi sette dei dieci capitoli) è però dedicata al primo di questi tre aspetti; un solo capitolo è dedicato alle determinazioni sperimentali (il nono), ed uno solo alla formulazione matematica (l'ottavo).

L'interesse di Haas per i problemi filosofici è d'altra parte evidente fin dall'introduzione, ove viene riproposto il dilemma se l'energia debba intendersi come sostanza (la concezione sostanzialista di Ostwald è menzionata a p. 27) o come categoria a priori utile nell'ordinare i fenomeni (p. 5, p. 57 e p. 150).

I modelli fisici delle interazioni in gioco ("le forze") ricevono invece poca attenzione: il modello meccanico (materia e movimento) nella sua versione newtoniana (forze centrali agenti istantaneamente a distanza) non è mai messo in discussione e quindi manca una definizione di energia che sia indipendente da questo specifico modello fisico, come pure manca un'analisi dei rapporti tra versioni differenti del principio di conservazione dovute a differenti modelli fisici adottati (ad esempio azione istantanea a distanza o azione contigua); sulla conservazione loca-le dell'energia si trovano solo due brevissimi cenni (a p. 27 e a p. 122). D'altra parte queste lacune, che si riferiscono principalmente al dibattito scientifico della seconda metà dell'ottocento sono riconosciute esplicitamente ed Haas rimanda (p. 7n)[[*]] ai lavori di Planck[1], in cui questo problema è trattato con straordinaria precisione, e a quelli di Helm[2].

All'interno di questi limiti, o forse proprio in virtù di questi, l'opera di Haas costituisce un contributo storico di rilievo, ma purtroppo poco noto, alla storia della fisica ed al dibattito post-positivista sui rapporti tra scienza e metafisica (ove metafisica è qui intesa nel senso di con cezione del mondo).

In primo luogo va notato che i risultati del lavoro storico di Haas sono infatti in stridente contrasto con le successive e ormai note asserzioni (ad es. di Reichenbach[3]) sulla demarcazione tra scienza e metafisica e sulla svalutazione del contesto della scoperta rispetto a quello della giustificazione. In secondo luogo va notato che non è difficile scoprire in Haas le radici di alcuni famosi ''risulltati'' della contemporanea letteratura secondaria anglosassone, come vedremo più avanti.

Il libro non è però organizzato storicamente: nel tentativo di offrire anche un'analisi logica del principio di conservazione (p. 7) Haas isola alcune idee fondamentali, le discute separatamente nei singoli capitoli e svolge la trattazione storica all'interno di ciascun capitolo. Una sintesi finale è rimandata all'ultimo capitolo ed alle tavole sinottiche che l'accompagnano (pp. 146-8).

Quest'approccio non sembra sortire completamente l'effetto sperato, per la difflcoltà che il lettore incontra nell'operare una sintesi tra sviluppi storici paralleli (ad esempio i contributi di Leibniz sono menzionati in capitoli diversi: II, III, IV, V, VII, VIII, X).

Sembra quindi opportuno mettere in evidenza, con una lettura "trasversale", alcuni aspetti del lavoro di Haas di particolare rilievo per il dibattito contemporaneo:

1. Le origini metafisiche del concetto di energia

I filosofi greci ci forniscono già le seguenti enunciazioni: la conservazione di una certa sostanza, la conservazione della sua capacità d'azione, l'idea, famosa nella sua formulazione latina, che "ex nihilo nil fit" e che "nil fit ad nihilum" (cioè l'impossibilità di creare e di distruggere, altrimenti da qualunque cosa potrebbe nascere qualunque altra cosa), la possibilità che il divenire venga ridotto ad aggregazioni e disaggregazioni sia di atomi che di moti. Senz'altro tali filosofi offrono un quadro filosofico molto sofisticato e di grande utilità per lo sviluppo della scienza e c'è accordo nel dire (p. 8) che la scienza occidentale prende le mosse dal tentativo di stabilire delle regole per definire una conservazione all'interno del cambiamento[4]. Haas testimonia la fioritura di queste ricerche ad opera di Melisso, Empedocle, Anassagora, Democrito, Epicuro e poi Lucrezio (cap. I) e individua tre elementi metafisici alla base degli sviluppi del PCE: le idee di costanza, di causalità e di unità nei fenomeni naturali (pp. 5-6). All'idea di costanza vengono dedicati i capitoli I e II, a quella di causalità i capitoli III, IV e V ed a quella di unità i capitoli VI e VII.

2. L'abbandono dell'idea di conservazione per quasi duemila anni

Viene dedicato un breve accenno a Platone e poi si compie un grande salto fino a Gassendi e Lavoisier che riprendono l'approccio degli antichi atomisti.

E opportuno sottolineare più di quanto non faccia Haas la non linearità del processo storico di sviluppo della scienza. Già nel trattare la conservazione della sostanza (cap. II) e la conservazione dell'energia di movimento (cap. III), Haas è costretto ad un salto di quasi duemila anni tra Epicuro e Gassendi (p. 11) e tra Epicuro e Nicola Cusano (p. 14). Prevalsero infatti in questo lungo periodo l'idea di Platone di un demiurgo ordinatore e non creatore di materia (p. 9) e la concezione aristotelica del motore primo, vicina a quella del motore perpetuo ed in antitesi con la conservazione dell'energia. Con Platone e Aristotele viene introdotto un dualismo tra spirito e materia di certo non favorevole ad una conservazione della capacità d'azione a livello cosmologico e che porta al rifiuto della metafisica atomista.

3. L 'impossibilità della creazione e disintegrazione: un ritorno

Come si riaffermano le concezioni degli antichi greci nel cinquecento e seicento? Lentamente ed un po' alla volta, perchè ora non si tratta più di enunciare "semplicemente" una concezione del mondo, ma anche e soprattutto di tradurla in termini fisici, matematici e sperimentali. Gli stessi Mayer[5], Helmholtz[6] e Planck[7] sottolineano il ruolo storico delle idee di impossibilità della creazione (ex nihilo nil fit ) e della disintegrazione (nil fit ad nihilum ) negli sviluppi del principio come fa Haas (pp. 9-10). In particolare Helmholtz e Planck notano che la traduzione in termini fisici dell'idea metafisica dell'"ex nihilo " e dell'"ad nihilum " si svolsero in tempi diversi.

La prima idea che torna in auge è quella dell'"ex nihilo nil fit " che ricompare proprio nel periodo in cui la ricerca del motore perpetuo (a livello sublunare in analogia al primum mobile celeste) era diventata un'ossessione[8] (p. 39). Assumendo l'impossibilità del motore perpetuo, (cioè l'impossibilità di fornire una prestazione senza una corrispondente compensazione (p. 39)), si riescono ad ottenere dei validi risultati fisici, ad esempio le leggi dell'equilibrio dei pesi su piani inclinati di Stevino, la legge della caduta dei gravi di Galilei (p. 97), il teorema di Huygens sulla forza viva (p. 41 e p. 99), ed in seguito il ciclo di Carnot (p. 45). Haas è di nuovo prodigo di riferimenti e citazioni su questo punto a partire da Ipparco fino ad Helmholtz (p. 48). E da sottolineare la sua critica alla famosa interpretazione di Mach dei ragionamenti di Stevino (pag. 39).

4. La riaffermazione dell'idea dell'"ad nihilum" nelle opere di Cartesio e Leibniz. Il principio di causa-effetto e l'idea di compensazione

Più difficile fu il ristabilire l'altra metà dell'idea di conservazione: nil fit ad nihilum (vedi per es. pp. 38, 48 e 123).

Occorre qui infatti assumere che in un sistema ci sia una relazione di causa ed effetto tra lo scomparire di un certo fenomeno ed il comparire di un altro e che la causa e l'effetto, pur qualitativamente differenti, siano quantitativamente uguali (pp. 32, 35, 42, 53 e 55). Occorre inoltre individuare uno specifico modello fisico per la causa e uno per l'effetto ed inoltre riportare entrambi ad un'unità di misura comune, e questo per tutti i fenomeni. Compito evidentemente non da poco e che richiese, a partire da Cartesio e Leibniz, oltre due secoli (p. 55). Haas dedica a questo punto gran parte del secondo capitolo, il terzo ed il quinto.

Cartesio e Leibniz esplicitamente accettano l'ex nihilo (e rifiutano quindi il motore perpetuo), in più definiscono l'unità di misura per la compensazione negli scambi energetici tra diversi elementi dello stesso sistema e mostrano così una piena consapevolezza anche dell'ad nihilum.

Il punto di partenza di Cartesio è evidentemente una concezione fisica piuttosto semplice: forze a contatto tra elementi di materia in movimento (p. 16), e qui Haas giustamente sottolinea l'importanza del principio d'inerzia (di solito ricordato solo per gli sviluppi connessi al principio di relatività) per lo sviluppo del principio di conservazione dell'energia (p. 14). La costanza del moto di un corpo isolato (e quindi il moto perpetuo) non è infatti in disaccordo con l'impossibilità del motore perpetuo. Ma cosa accade quando il corpo non è più isolato? (p. 15). Cartesio si limita a considerare urti elastici (p. 33) e indica nella quantità di moto (mv) l'unità di misura della compensazione, la cui somma quindi rimane costante (p. 16). Leibniz, fortemente critico di questa soluzione (pp. 24, 102), è più esplicito sull'idea di causalità(pp. 103, 104), introduce la dicotomia tra forza viva e forza morta (p. 103n) ed il concetto di forza latente (per spiegare l'apparente scomparsa del moto negli urti anelastici pp. 34, 35 e 73). Leibniz inoltre indica nel lavoro l'unità di misura a cui tutti i fenomeni fisici devono essere ricondotti per valutare le compensazioni ed indica in mv 2 la forza motrice, ossia la capacità di compiere lavoro di un sistema in moto. Sia a Cartesio che a Leibniz mancava la distinzione tra il concetto di forza e quello di energia (problema ancora irrisolto nell'opera di Helmholtz del '47 e cui fa eco il titolo stesso del lavoro di Haas) eppure il problema in discussione era ben fondato. La pretesa di d'Alembert (p. 102n) di considerare, sulla base di un'applicazione della definizione newtoniana di forza, la controversia Leibniz-Cartesiani come un equivoco, è giustamente ridimensionata dall'insieme del lavoro di Haas (ma anche esplicitamente da Planck). Questo punto di vista sarà "riscoperto" in chiave post positivista, recentemente e con clamore, da Laudan[9].

Per i leibniziani come Johann Bernoulli la conservazione della vis viva è la conservazione dello specifico rapporto causa/effetto (pag.27 e 105) che lega in ogni istante posizione e quadrato della velocità di un corpo in movimento. Questa è quindi una straordinaria anticipazione del rapporto, stabilito successivamente, tra variazione dell'energia cinetica e variazione dell'energia potenziale, ma in mancanza di una definizione di forza tale anticipazione all'epoca restava nel vago.

Haas critica giustamente l'incomprensibile pretesa di Kelvin e Tait (p. 54n e p. 143n) di attribuire a Newton ed al suo principio di azione e reazione la paternità della conservazione dell'energia (vedi anche p. 23), rilevando che, al più, il principio di azione e reazione è un'applicazione del principio di causa-effetto, ma non dell'unità e della costanza dei fenomeni naturali.

5. Nuovo abbandono della metafisica a favore di sviluppi analitici

La "conservazione della forza viva" per Huygens ha un significato diverso da quello che ha per Leibniz. I contributi di Huygens sono legati a risultati di esperienza con i pendoli composti e sono alla base di una linea di pensiero che porterà alla teoria matematica del potenziale. Essi sono rilevanti per gli sviluppi che si hanno nel '700 allorchè, rifiutata la metafisica leibniziana (pp. 27-28) prevale un'interpretazione della conservazione della forza viva in termini di un teorema interno alla meccanica (p. 28) privo di valore generale. Dall'impossibilità del motore perpetuo e sulla base dell'indipendenza della velocità finale di caduta dei gravi dalla traiettoria di caduta (risultato ottenuto da Galileo ancora sulla base dell'impossibilità del motore perpetuo) (p. 97) Huygens ricava che l'altezza di discesa e di salita del centro di gravità di un pendolo composto non dipende dai vincoli del sistema (p. 100) ed è quindi indipendente dalle traiettorie. La conservazione della mv 2 ad una certa posizione, indipendentemente dalle traiettorie seguite per arrivare a quella posizione, pone una connessione tra una funzione della posizione e la forza viva e quindi, tramite le relazioni di Galileo, tra variazione di forza viva e lavoro e, infine, tra una funzione della posizione e lavoro (pp. 106-109 e 113). Di qui le origini della teoria matematica del potenziale (p. 109 e anche p. 58n.).

6. Lo sviluppo delle macchine termiche in Inghilterra

Fu rilevante per gli sviluppi del principio di conservazione dell'energia, che si limitava a fine Settecento ad un teorema della meccanica analitica, lo sviluppo delle macchine termiche e della problematica tecnologica dell'interscambio calore-lavoro (pp. 79-85). Questo importante aspetto è però solo accennato da Haas[10].

7. Lo sviluppo dell'ingegneria meccanica in Francia

L'Inghilterra fu la patria delle macchine a vapore, ma gli ingegneri francesi, a partire da Lazare Carnot (p. 36), furono i primi a dare un'analisi teorica dei processi in gioco e fu in Francia che il concetto di lavoro acquisì definitivamente la sua grande importanza scientifica (pp. 114-125). Haas anche su questo punto anticipa con precisione in una delle parti più interessanti e documentate della sua opera (cap. VIII) gli studi contemporanei.

Infatti è nelle opere di Coriolis, Poncelet, Hachette, Navier, Dupin che il concetto di lavoro assume rilevanza teorica, una precisa definizione, ed un collegamento con il teorema della vis viva. Tutti elementi ben presenti in Haas e riscoperti poi da Kuhn e da Grattan-Guinness[11].

Ci troviamo così di fronte a due tradizioni, la meccanica analitica (con gli inizi della teoria del potenziale) e la meccanica applicata alle macchine, entrambe francesi.

8. La ripresa dei temi metafisici nella filosofia tedesca della natura

Ulteriore elemento dell'analisi di Haas che anticipa gli storici contemporanei è l'accento sulla filosofia romantica della natura, che in Germania ai primi dell'800 agì come elemento stimolante per la ricerca di una sintesi unitaria dei fenomeni fisici (pp. 62-64 e pp. 69-71). Tale stimolo agirà direttamente su alcuni dei maggiori fisici del primo Ottocento (Oersted, Faraday) e influenzerà un buon numero di scienziati che contribuirono alla formulazione del principio. A questa tradizione filosofica si deve il definitivo recupero nell'Ottocento della tradizione metafisica dell'ad nihilum (che era stata ripresa da Leibniz e da altri nel Seicento ma abbandonata di nuovo ai primi del Settecento (p. 28)).

Haas sottolinea, in maniera un po' troppo lineare, (vedi le Considerazioni finali) come la sintesi unitaria venne perseguita attraverso gli sviluppi della concezione meccanica (tav. 3 p. 148 e pp. 64-69). Questa superò le teorie dei fluidi imponderabili di fine Settecento e si estese al dominio dell'acustica, del calore, della luce, e dell'elettricità. Pur tuttavia il capitolo VI in cui si discutono le idee di Democrito, Hobbes, Cartesio, Eulero, Boscowich, Kant, Schelling, Herbart, Bacone, Locke, Boyle, Hooke, D. Bernoulli, G. Hermann, Rumford, Davy, Joule, Rankine, Clausius, Ampère, Herschel, Leslie, Nobili, Melloni, Deluc, Stahl, Diderot, Faraday è notevolmente più ricco dell'analoga trattazione nel lavoro di Kuhn[12].

9. Lo sviluppo dei processi sperimentali di conversione dei fenomeni naturali e la determinazione dei fattori di conversione

Ed è ancora nella convertibilità dei processi naturali, ottenuta in domini sempre più larghi dell'indagine scientifica (p. 85), che Haas individua con precisione un ulteriore elemento di sviluppo verso il principio, sottolineando l'importanza della costanza dei rapporti di trasformazione (p. 128)[13] concepita teoricamente e perseguita sperimentalmente. Nell'analisi di Haas si fa riferimento ai lavori di Leibniz, G. e D. Bernoulli, s'Gravesande, Wolff, Davy, Rumford, Fresnel, Carnot, Volta, Carlisle, Oersted, Faraday, Davy, Seebeck, Peltier, Barlow, Liebig, Herschel, Grove, Seguin, Holtzmann, Colding, Joule, Mohr per quel che riguarda i processi di conversione e a quelli di E.Darwin, Dalton, Delaroche e Berard, Marcet, Delarive, Regnault, GayLussac, Clement, Dulong, Mayer, Holtzmann, Joule, S. Carnot, Seguin, Rumford, Haldat, Morosi, Colding per quel che riguarda la determinazione sperimentale dei fattori di conversione.

In definitiva i tre motivi che Kuhn adduce per spiegare come mai tra il 1830 e il 1850 molti scienziati si dedicarono alla ricerca di un principio di conservazione dell'energia sono già presenti nel lavoro di Haas. Più esattamente: la tradizione dell'ingegneria meccanica francese e l'importanza del concetto di lavoro nel cap. VIII; la filosofia romantica della natura nel cap. VI ed i processi di conversione e la determinazione sperimentale dei rapporti di conversione nei capitoli VII e IX.

10. La sintesi nelle opere di Mayer, Joule, Helmholtz

Finalmente tutti questi temi si unificano negli anni '40 del secolo scorso nell'opera dei tre famosi grandi: Joule, Mayer ed Helmholtz, con cui finalmente una formulazione del Principio di Conservazione dell'Energia supera i confini della meccanica. Correttissima l'idea di Haas di non preoccuparsi del "vero" scopritore (p. 143); egli precede quindi ancora una volta Kuhn ed i problemi della scoperta simultanea[14] ed interessante la puntualizzazione sul contesto teorico dell'opera di Joule (p. 29 e p. 91): troppo spesso si dimentica che ciò che è rilevante nel valore equivalente calore-lavoro trovato sperimentalmente (vedi cap. IX) è l'ipotesi teorica che tale valore sia lo stesso, per le stesse condizioni iniziali e finali, indipendentemente dal tipo di processo e quindi dal modo del passaggio (p. 129).

Meno soddisfacente, a mio avviso, è la mancata differenziazione, che pur è molto rilevante, tra l'approccio di Mayer e quello di Helmholtz. E' ormai noto infatti che il peso dei due articoli di Mayer (1842;1845) è tutto a favore delle concezioni metafisiche, con pochissimo spazio dato all'esperienza (l'analisi di Haas dei riferimenti sperimentali utilizzati da Mayer è però molto dettagliata pp. 131-132) e nessuno a modelli fisici. Questo apparente limite di Mayer è in realtà il suo punto di forza: distaccandosi dalla concezione meccanicistica (che come mostrerà Planck non è affatto necessaria alla conservazione dell'energia[15]) egli fonda l'approccio relazionale che sarà poi mutuato dall'energetica, anche se verrà trasformato in senso sostanzialista da Helm e Ostwald[16]. Invece Helmholtz fu uno dei massimi esponenti della concezione meccanicista e ciò è ben noto[17]. Non è altrettanto ben noto che l'ipotesi di base della memoria del '47 sull'equivalenza tra impossibilità del motore perpetuo e l'ipotesi di forze centrali non è corretta (l'impossibilità vale anche per forze non centrali: ciò fu affermato da Weber nel '48[18] fu accettato da Helmholtz nel 1870[19] e da Maxwell nel 1873[20]); è importante quindi il rilievo di Haas (v. p. 126n) e ciò evidenzia che la connessione stabilita da Helmholtz tra principio di conservazione e modello fisico newtoniano (cioè, in conclusione, la definizione di energia come somma di termini cinetici e potenziali) non è l'unica possibile. Infatti nel 1885 Poynting[21] ne avrebbe mostrata una ben diversa, legata alla propagazione contigua di interazioni con velocità finita. Su questo Haas dà semplicemente un cenno (p. 27).

Questo stimolante libro di Haas termina lasciando nel lettore un rimpianto per la mancata analisi delle complesse vicende del principio di conservazione nella seconda metà del secolo: la bravura dell'autore, sia come fisico, sia come storico, avrebbe senz'altro consentito di raggiungere dei risultati di rilievo.

F.B.