Il fenomeno della visione tra fisica, fisiologia e psicologia

Il fenomeno della visione può essere ricondotto alla sola radiazione luminosa?

La capacità di vedere è certamente un fenomeno molto complesso, che mette in collegamento il nostro io con il mondo esterno. Nel corso dei secoli sono stati innumerevoli i contributi  culturali e scientifici che hanno giocato un ruolo non secondario nel tentativo di interpretarlo e spiegarlo. Spesso questa ricchezza viene persa nell’insegnamento tradizionale dell’ottica a causa dell'approccio «lineare» e «specialistico» dei libri di testo (descritto e discusso nel case study sulla radiazione luminosa). Basteranno due esempi: la luce e i colori. Viene infatti generalmente insegnato che la luce è un insieme di onde elettromagnetiche con lunghezza d'onda tra 0,4 e 0,8 m e che queste specifiche onde costituiscono la sequenza dei colori dello spettro dal violetto al rosso. Ma è questa una rappresentazione accurata, completa, esauriente?

Due punti di vista più accurati

E’ lo stesso manuale a fornirci la prima traccia per interessanti «riscoperte» (ovviamente si tratta di un buon manuale: è quello di Feynman) del carattere interdisciplinare del fenomeno.

Una breve ma affascinante e suggestiva schematizzazione dell'interazione delle tre discipline che giocano un ruolo rilevante nella attuale spiegazione del processo della visione (la fisiologia, la psicologia, la fisica) viene fatta da Vasco Ronchi: [i]

Si può affermare che un'analisi storica dello sviluppo delle teorie ottiche debba tener conto delle teorie contemporanee sul campo dei fenomeni in esame. Queste ultime non si configurano come un punto d'arrivo necessario e oggettivo ma semplicemente come il punto di vista più recente e articolato, non definitivo ma ben definito. Se è vero che le teorie antiche possono aiutare a capire meglio le teorie moderne, è vero altresì che le teorie moderne possono aiutare a capire le antiche. Eliminata la situazione di privilegio conoscitivo dell'ultima teoria, il confronto fra le teorie di diverse epoche ne risulterà sensibilmente arricchito. Su queste basi (e con la metodologia delle quattro componenti esposta nel case study sulla radiazione luminosa) proviamo ad esaminare lo sviluppo storico delle teorie della luce e dei colori.

La luce

Il fenomeno della visione va dunque considerato nel suo complesso, nelle sue (attuali) componenti di ottica fisica, fisiologica, psicologica e tecnica, e ciò soprattutto in un'analisi storica: queste stesse divisioni disciplinari sono infatti venute emergendo nel corso del tempo. Fino al '500 l'interazione soggetto-oggetto nel processo della visione era considerata fondamentale e non esisteva uno studio dell'ottica indipendente dall'analisi di questo processo. All’interno di questo quadro venne dunque stabilita una precisa distinzione tra la luce come capacità psicologico-soggettiva del vedere e la luce come entità fisica entrante negli occhi. La prima veniva definita lux e la seconda lumen. Nel '600 l'analisi del lumen prende il sopravvento su quella della lux e la parola luce viene ad acquisire un solo significato, quello di entità fisica: dapprima, nel '700, prevalentemente di carattere corpuscolare, a partire dai primi dell'800 di carattere ondulatorio, dalla seconda metà di questo secolo come specifico intervallo di frequenza nello spettro della radiazione elettromagnetica e infine, a partire dai primi del '900, di nuovo un'interpretazione corpuscolare si affiancherà a quella ondulatoria. Ma è evidente che in questo tipo di processo alcuni importanti elementi sono andati perduti: quelli fisio-psicologici legati al vecchio concetto di lux. L'ottica fisica oggettivando la luce, seppure tra differenti concezioni «metafisiche», si distacca dall'universo dell'osservatore soggettivo, elabora una tecnica di misurazione (fotometria) basata su alcuni standard convenzionali e inserisce la «luce» nel più generale ambito della radiazione. A questo punto però l'uso di termini sorti in differenti contesti conduce a talune ambiguità. La radiazione infatti non ha la proprietà della luminosità, concetto essenzialmente psico-fisiologico. La luminosità è cioè inerente al soggetto e non all'oggetto, è caratteristica della lux, mentre la radiazione elettromagnetica va ricondotta al lumen.

I colori

Analogo discorso si può fare per i colori: viene infatti generalmente insegnato che la sequenza dei colori dello spettro dal violetto al rosso. La concezione tradizionale dei libri di testo (la luce è un insieme di onde elettromagnetiche con lunghezza d'onda tra 0,4 e 0,8 m, queste specifiche onde costituiscono la sequenza dei colori dello spettro dal violetto al rosso) ha di nuovo le sue origini nel '600, quando ci si distacca da una concezione unitaria del processo della visione e una proprietà psicofisiologica viene attribuita a una entità esterna al soggetto osservante. Vasco Ronchi ha notato che l'ambiguità nasce con Isaac Newton (1642-1727), nonostante l'opposizione di Francesco Maria Grimaldi (1618-63) a considerare i colori come proprietà dei corpi. Newton infatti definisce i raggi che ci permettono di vedere un colore come «raggi producenti quel colore»; solo in seguito avverrà il passaggio a «raggi colorati», costituiti cioè da corpuscoli di un determinato colore propagantisi in linea retta a grande velocità. La corrispondenza newtoniana tra la rifrangibilità dei vari raggi e i colori e il successo dei suoi esperimenti sulla dispersione corroborarono per tutto il '700 questo punto di vista.

Gli elementi fisiopsicologici del soggetto che erano stati separati dai problemi di ottica durante il '600 vengono nuovamente presi in considerazione dagli scienziati dell'800, ma in termini «oggettivati». Thomas Young (1773-1829) infatti, oltre a riaffermare una tradizione ondulatoria in ottica, inizia uno studio scientifico della percezione dei colori. Le sue ipotesi, riprese da Hermann Helmholtz (1821-94), danno origine allo studio della colorimetria e sono alla base delle moderne concezioni. A Young infatti si deve la prima formulazione del «sistema dei tre colori base» e il riconoscimento che vi è più di una distribuzione spettrale che produce lo stesso effetto visivo apparente: tre colori primari indipendenti, opportunamente combinati, possono dar luogo a tutti gli altri colori. Il centro del problema viene quindi spostato dal fascio di luce alla struttura della retina: anche i colori ritornano a essere considerati, come la luminosità, inerenti alla fisiopsicologia dei soggetti osservanti.

Un approccio interdisciplinare e non lineare

Gli esempi della luce e dei colori mostrano l'importanza di un approccio interdisciplinare e non linearmente cumulativo alla storia dell'ottica. É impossibile infatti per i primi due millenni di questa storia separare le concezioni riguardanti la propagazione luminosa da quelle del funzionamento dell'occhio e da quelle riguardanti l'incidenza della psiche nel processo della visione.

Lo sviluppo storico dell'ottica ha esercitato un'influenza, talvolta profonda, anche in altri domini: la gnoseologia, la teologia, l'arte. Nei ristretti limiti di questo case study, che si limita ad essere un'introduzione allo studio della storia dell'ottica, solo qualche cenno sarà dato a questa più estesa classe di problemi.

 

 



[i]  V Ronchi, The Nature of Light, London, Heinemann, 1970, pp. 280-81.