Onde e corpuscoli nel ‘600

 

Qui esamineremo le due ipotesi sulla natura della luce, l'ondulatoria e la corpuscolare. Queste due concezioni vengono comunemente attribuite l'una a Huygens e l'altra a Newton e presentate in opposizione, con connotazioni così semplificate da generare spesso equivoci interpretativi. A un'analisi più attenta si può constatare che, in primo luogo, la concezione ondulatoria di Huygens non viene formulata in modo completamente originale dall'autore ma deriva, in prima istanza, dalle concezioni cartesiane sul mondo fisico. Va inoltre osservato che da presupposti analoghi e da analoghe dimostrazioni formali l'ipotesi ondulatoria suggerirà a Hooke da un lato, e a Pardies e Huygens dall'altro, conclusioni opposte. Infine, la misura di Foucault della velocità di propagazione della luce in mezzi diversi non va affatto considerata un esperimento cruciale a sostegno della ipotesi di Huygens né esso, anche un secolo e mezzo dopo, avrà mai questo ruolo nei confronti della teoria ondulatoria.

In secondo luogo l'ottica di Newton non fornirà mai una formulazione esplicita e definitiva a favore dell'ipotesi corpuscolare, ma piuttosto si presenterà spesso in una forma aperta prospettando soluzioni di tipo corpuscolare o ondulatorio a seconda del particolare problema in esame. Se contrapposizione deve essere fatta, essa va piuttosto riferita alle metodologie adottate dai due scienziati: Huygens condurrà le sue dimostrazioni secondo un metodo ipotetico deduttivo, molto simile a quello in uso nella geometria; Newton baserà ogni sua affermazione sui fatti sperimentali deducendo da essi le proposizioni che costituiscono la sua teoria. I contrasti che si verificheranno tra i due autori si ricollegheranno appunto a questi aspetti metodologici piuttosto che ai contenuti specifici delle teorie. Di fatto, alla fine del '600 si costituiranno due scuole antagoniste che tenderanno a radicalizzare le ipotesi dei due modelli contribuendo così a caratterizzarne le configurazioni.

L'idea che la luce debba comportarsi come un'onda era stata più volte avanzata, per lo più sulla base di analogie, con le onde d'acqua e con le onde sonore. Le spiegazioni fornite, tuttavia, si limitavano a definire una corrispondenza qualitativa tra le diverse classi dei fenomeni senza però giungere a una trattazione organica dell'ottica in termini ondulatori. Un primo tentativo in questo senso viene fatto da R. Hooke (1635-1703). La luce per Hooke e un moto vibratorio che in un mezzo omogeneo si propaga linearmente e a velocità costante. Ogni vibrazione genera nello spazio onde sferiche i cui piani tangenti sono perpendicolari alla direzione di propagazione del disturbo. Per il passaggio della luce in mezzi trasparenti di diverso indice di rifrazione Hooke assume come valida la legge di Cartesio che ritrova, con una dimostrazione geometrica, considerando fronti d'onda infinitesimi. La velocità della luce per Hooke deve pertanto aumentare con la densità del mezzo di modo che il fronte d'onda, dopo la rifrazione, deve essere considerato obliquo alla direzione di propagazione (cfr. fig. 44 ). Hooke tuttavia non si pronuncia né sulla periodicità della vibrazione né sulle sue proprietà spaziali [1]. Analoghe considerazioni vengono svolte da G. Pardies (1636-73) alcuni anni dopo. La legge di rifrazione viene dimostrata per via geometrica in modo analogo a quello proposto da Hooke ma in questo caso il fronte d'onda è supposto essere perpendicolare alla direzione di propagazione anche dopo la rifrazione e la velocità della luce viene assunta minore nel mezzo più denso, in accordo con la legge di Fermat.



[1] R. Hooke, Micrographia, New York, Dover Publications Inc., 1961, p. 56.