Sala Golgi


La sala Golgi (8) accoglie gran parte del materiale riguardante Camillo Golgi: preparati microscopici, documenti, strumenti, decorazioni insignite ed il premio Nobel con le firme autografe dei giudici dell’Istituto Carolino di Stoccolma, datato 25 ottobre 1906. Tra i preparati, allestiti e studiati da Camillo Golgi, alcuni sono caratteristici per la montatura originale (1) ideata per le esigenze del suo metodo per lo studio del tessuto nervoso, chiamato “della reazione nera” o “cromoargentica”. Nella vetrina (11) contenente l’effigie di bronzo di Golgi sono conservati anche due dei primi microscopi da lui stesso usati, ed il primo microtomo che gli servì per ridurre in sezioni accessibili all’esame microscopico le diverse parti del sistema nervoso trattate col suo metodo. Accanto ai volumi della sua Opera Omnia, rivestono particolare interesse gli scritti autografi e i disegni originali da preparati microscopici riguardanti la struttura della cellula, del sistema nervoso, del rene, gli studi sulla malaria nonché alcuni fogli manoscritti utilizzati nelle sue lezioni di patologia generale. Nella stessa sala si trovano altri documenti e manoscritti: quelli di Adelchi Negri riguardanti le scoperte sulla rabbia, quelli di Carlo Forlanini con i primi strumenti in vetro (12) costruiti per l’applicazione del pneumotorace terapeutico, rappresentano le prime prove che condussero alla costruzione del più semplice e pratico apparecchio che da quegli anni venne poi utilizzato in terapia. Sono esposti anche altri cimeli di Forlanini: la targa di bronzo della sua effigie, un ritratto giovanile, qualche scritto autografo e la fotografia di una giovane donna che fu fra i primi infermi ai quali venne applicato il pneumotorace terapeutico. Dalla fotografia risultano i rilievi semeiotici tracciati sul torace di questa donna e, accanto ad essi, alcuni appunti di Forlanini sulle condizioni fisiche dell’ammalata. Di Edoardo Porro, oltre ad un’effigie scolpita in bronzo, è esposto lo strumento chirurgico da lui usato nel primo intervento di amputazione utero-ovarica, compiuto a Pavia nel 1876, ed accanto ad esso è conservato il pezzo asportato (13) , in soluzione di formaldeide. Di G.B. Amici è conservato uno dei primi microscopi composti acromatici realizzato intorno al 1826, con un suo manoscritto autografo nel quale dà le norme per l’uso dello strumento che, con la drastica riduzione dell’aberrazione cromatica delle lenti, si è rivelato fondamentale nella storia della microscopia e un piccolissimo microscopio tascabile di sua costruzione. Interessanti sono le riproduzioni dei plastici in cera eseguiti da Amici per la dimostrazione della sua scoperta sulla fecondazione delle piante, altri plastici della struttura e riproduzione del tartufo e di una crittogama parassita delle rose. Di Eusebio Oehl oltre alla raccolta di preparati microscopici, sono anche esposte le cannule da lui fatte costruire ed usate per l’esame della digestione gastrica mediante fistola sperimentale e le cannule destinate all’intubazione dei condotti escretori delle ghiandole salivari per la raccolta dei vari tipi di saliva. Fra gli scritti autografi di Oehl vi sono i protocolli di alcune esperienze, gli appunti delle lezioni e qualche pagina del manoscritto del suo Trattato di Fisiologia, posseduto per intero dal Museo. In una piccola bacheca è invece raccolto il medagliere con medaglie commemorative o coniate in onore di famosi personaggi dell’Ateneo pavese. Nella sala sono anche presenti alcune lastre a raggi X risalenti al 1896, una fotografia riprodotta usando i raggi X di Röntgen -Bilder (2).


1. Il vetrino portaoggetti è sostituito da una lamina sottile di vetro, come sono solitamente i coprioggetti, incastonata in un supporto di legno; questo accorgimento permette di conservare gli oggetti montati senza coprirli, evitando così il loro deterioramento, e di osservarli da entrambe le parti, con grande vantaggio per lo studio, non solo delle singole cellule nervose ma anche dei loro rapporti nell’ambito del sistema nervoso. back

2. La scoperta dei raggi X rientra nel campo delle scoperte che vengono fatte casualmente, anche se poi solo le menti accorte e preparate sono in grado di interpretarle. In questo caso gli elementi determinanti della scoperta furono una lastra fotografica, una chiave e un tubo di Crooks, un tubo di vetro sottovuoto. C. Röntgen -professore di Fisica dell’Università di Würzburg- faceva passare nel tubo una corrente elettrica e studiava il comportamento dei raggi catodici che da esso emanavano, gli stessi che vengono generati nei televisori odierni. Egli usava abitualmente, come segnalibro per il quaderno degli appunti la chiave di un cassetto della scrivania e un giorno, nella primavera del 1895, aveva distrattamente appoggiato il quaderno con la chiave su alcune lastre fotografiche. Dopo aver fatto qualche esperimento, era sceso nel piccolo cortile dell’Istituto a fotografare fiori. Il giorno seguente trovò tra le fotografie dei fiori che aveva sviluppato una foto che raffigurava la chiave della sua scrivania. Pur avendo riflettuto per mesi sullo strano avvenimento non riuscì a darne una spiegazione. La sola cosa di cui era certo era che a “impressionare” la chiave non erano stati i raggi catodici, perché questi non potevano “uscire” dal tubo ricoperto dal cartone e dalla stagnola. La sera dell’8 novembre stava sperimentando -completamente al buio- con un tubo di Crookes, che aveva accuratamente ricoperto con un foglio di stagno e un cartone nero per evitare che le radiazioni emesse l’attraversassero.
Improvvisamente vide una specie di fuoco fatuo accendersi sul fondo della stanza. Intuì che doveva essere senz’altro in rapporto con l’esperimento che stava facendo, poiché appariva e scompariva a seconda che passasse o meno corrente. Si avvicinò nel buio e vide che la strana luminescenza emanava da uno schermo per proiezione che rifletteva le radiazioni.
Ignorava, però, ancora, di quali radiazioni si trattasse. Le ipotesi erano due: o si trattava di raggi catodici “speciali”, dotati di un forte potere di penetrazione (poiché erano in grado di attraversare il cartone nero e il foglio di stagno) oppure di “una nuova specie di raggi”. Ed erano stati evidentemente proprio quei raggi a “fotografare” la chiave posta sulla lastra fotografica. Per qualche giorno Röntgen ripeté più volte quello stesso esperimento. Alla fine giunse alla conclusione che si trattava realmente di un nuovo genere di radiazioni, di natura ancora sconosciuta, e per questo motivo diede loro il nome di “raggi X”. Dall’urto dei raggi contro le pareti del vetro del tubo doveva sprigionarsi una nuova specie di raggi dotati di caratteristiche singolari. Ma la scoperta aveva bisogno di verifiche. Röntgen volle per prima cosa stabilire “quanto” quei raggi fossero penetranti, “duri”, come si dice in gergo. Cominciò con l’interporre tra il tubo e lo schermo vari oggetti di diverso spessore: un doppio mazzo di carte, un pezzo di legno, una grossa gomma dura, ma i raggi attraversavano tutti gli oggetti andando a colpire direttamente lo schermo. Quando decise di interporre una scatoletta con dei pesi di piombo, sullo schermo si delineò nettamente la loro sagoma. Lo stesso avvenne con altri oggetti di metallo. Quasi istintivamente Röntgen mise la propria mano davanti ai raggi e si accorse che sullo schermo si delineavano nitidi il carpo, i metacarpi, le falangi: ciò significava che i raggi X attraversavano i tessuti molli ma non le ossa, più dense. Il giorno dopo Röntgen “fotografò” la mano sinistra della moglie Anna Bertha con quegli stessi raggi. Una “fotografia”, la prima radiografia della storia, avrebbe fatto in breve il giro del mondo. Si trattava di una mano femminile, con la vera all’anulare. Röntgen inviò una breve relazione scritta alla Società Fisico-Medica di Würzburg, dal conciso titolo Una nuova specie di raggi. Fece stampare un centinaio di copie a proprie spese e le inviò, insieme con la “fotografia” della mano, ai più noti scienziati d’Europa. Qualche tempo dopo lo scienziato fu invitato a presentare la sua scoperta al Palazzo Imperiale di Berlino, alla presenza di Guglielmo II di Germania e di alcuni studiosi di fama. Fu il trionfo; il successo si ripeté il 23 gennaio 1896 alla Società Fisico-Medica di Berlino, dove fu deciso all’unanimità di chiamare “Röntgen” i nuovi raggi. La stampa quotidiana pubblicò subito la notizia ma la presentò più come un progresso della fotografia che della fisica e della medicina.
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