Dal caos alla geometria

 

I fenomeni luminosi elementari più comuni, osservabili ogni giorno senza necessità di ricorrere a particolari dispositivi strumentali — il fenomeno della visione, dei colori, i modi di propagazione della luce, il funzionamento degli specchi — costituiscono il punto di partenza per le speculazioni di filosofia naturale del periodo classico. É superfluo tuttavia precisare che le argomentazioni, le ipotesi e le categorie interpretative che oggi costituiscono per noi l'ottica come una sezione della fisica dai contenuti ormai acquisiti e suffmcientemente stabili, non sono direttamente riconducibili agli studi degli antichi.

Innanzitutto occorre premettere che l'ottica nell'antichità non ha una propria autonomia bensì fa parte di un quadro interpretativo più vasto, di carattere filosofico, teso a chiarire i problemi fondamentali della conoscenza del mondo. In questo contesto, ampio spazio è necessariamente riservato al fenomeno della visione in quanto essa costituisce il tramite tra l'osservatore e la realtà esterna. Il peso attribuito a tale fenomeno caratterizza le linee di sviluppo dell'ottica classica che si presenta, in questo periodo, come il tentativo costante di stabilire relazioni tra due elementi individuati come fondamentali: l'occhio e la cosa vista. Si tratta quindi principalmente (come ha notato V. Ronchi) di un problema riguardante il processo della visione più che la natura della luce. La luce infatti, sebbene ritenuta in molti casi «sostanza corporea», non veniva considerata un'entità a sé stante, né tanto meno interpretata all'interno di un più generale concetto di radiazione, indipendente quindi dallo specifico rivelatore che è l'occhio. É proprio questa fase iniziale della ricerca che ci offre una vasta e complessa gamma di teorie, o meglio di approcci differenti tutti di estremo interesse, nei quali i fenomeni luminosi sono intesi e interpretati in modo globale, secondo una concezione sincretica della natura chenon distingue tra aspetti soggettivi e oggettivi, psicofisiologici e fisici.

Occorre poi evidenziare un altro elemento comune alle principali teorie «fisiche»: l'interpretazione causale dei fenomeni viene ricondotta per lo più a una spiegazione in termini di percezioni sensoriali, in particolare di natura tattile, poiché proprio il tatto sembra essere l'unico tra i sensi in grado di fornire all'osservatore una certa garanzia conoscitiva. Questo atteggiamento determina, anche nelle teorie ottiche, il prevalere dell'azione a contatto e il mescolarsi del dato fisico con impressioni soggettive, psicologiche e fisiologiche.

I meccanismi proposti per spiegare l'emissione e la percezione della luce sono molteplici, tuttavia possono essere classificati in quattro gruppi di teorie

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Modello emissionista

Il primo gruppo corrisponde alla teoria dei raggi visuali in cui si ipotizza l'emissione, da parte degli occhi, di «bastoncini» o, usando unespressione di G. Govi, di «tentacoli visuali» che indagano 1 ambiente esterno tornando quindi all'osservatore. Questa corrente teorica che risale a Pitagora (570 ca. - 497) troverà per lungo tempo un grande seguito (Euclide e Tolomeo ne saranno i sostenitori più illustri) poiché l'ipotesi di bastoncini emanati dagli occhi come da un punto di vista si presta a interpretazioni feconde negli studi di prospettiva.

 

Modello immissionista

La teoria atomistica dei simulacri o scorze esemplifica il secondo gruppo di teorie: un flusso di corpuscoli che si stacca dai corpi conservandone la forma investe gli occhi determinando la visione. Questa teoria, che precorre formalmente l'ipotesi corpuscolare, viene sostenuta da Leucippo, Epicuro e Lucrezio.

 

Modello dei due fluidi

Il terzo gruppo è rappresentato dalla teoria della doppia emissione, sostenuta da Empedocle e da Platone che presenta aspetti di entrambe le concezioni precedenti.

 

Modello dell’azione tramite un mezzo

 Un caso a sé è infine costituito da Aristotele, che si schiera decisamente sia contro la teoria dei raggi visuali sia contro quella dei simulacri. La luce per Aristotele non è una sostanza corporea bensì «una manifestazione del diafano in presenza del fuoco o di qualcosa di simile» e la visione avviene grazie a una modificazione prodotta dall'oggetto nel diafano. Ritroveremo queste idee per lungo tempo, fin nel tardo Medioevo: in particolare, l'assunzione aristotelica che la luce, come qualunque altro evento naturale, è una modificazione di una qualità porta a includere i fenomeni ottici in uno schema interpretativo più vasto, diretto essenzialmente allo studio dei moti.

 

Geometrizzazione

Sebbene la produzione teorica nel campo dell'ottica sia così vasta ed eterogenea, si verifica tuttavia una convergenza di posizioni nella descrizione geometrica dei fenomeni luminosi. La propagazione rettilinea della luce, le leggi della riflessione, e una trattazione sia pure qualitativa della rifrazione sono acquisizioni che ricorrono in molti autori, indipendentemente dalle loro adesioni teoriche.

 

Scuola emissionista

Ma il merito fondamentale nell'elaborazione dell'ottica geometrica e quindi della matematizzazione dell'ottica greca, spetta alla scuola «emissionista». La concezione secondo cui la visione avviene per emissione da parte degli occhi di un fluido che raggiunge gli oggetti non è facilmente databile. Essa può, forse, essere fatta risalire alle antiche rappresentazioni mitiche che attribuivano all'occhio, di natura ignea, il potere di emanare luce. Nella letteratura mitica esistono numerosi esempi in tal senso: alla lince veniva comunemente attribuito il potere di vedere attraverso i muri. Un analogo potere veniva attribuito anche a uno degli Argonauti, Linceo, il quale «dicesi che con lo sguardo penetrava la grossezza de' muri, e che vedeva la luna il primo giorno dopo il novilunio nel segno dell'Ariete: vedeva le cose benissimo distanti da lui cento trenta miglia, e dalla Sicilia numerava le navi che uscivano dal porto di Cartagine» [1] .Tuttavia una tale concezione, sebbene oggi ci possa apparire incredibile e ingenua, nel periodo classico si rivelò progressista rispetto alle teorie «rivali» della doppia emissione e della immissione di forme coerenti nell'occhio poiché, come già abbiamo accennato, essa permetteva un'immediata interpretazione geometrica. Tra gli studiosi che aderirono alla scuola pitagorica furono Euclide, Ipparco, Claudio Tolomeo, Erone Alessandrino, Eliodoro di Larissa. In particolare ci soffermeremo qui sui contributi di Euclide, di Erone Alessandrino e di Tolomeo perché illustrano molto chiaramente: a) i rapporti tra ottica fisica e ottica geometrica; b) i rapporti tra ottica fisica e idee regolatrici (principi variazionali); c) uno dei pochi casi di osservazioni sperimentali e sistematiche dell'antichità.

 

Euclide

Con Euclide l'ottica viene per la prima volta strutturata in assiomi e teoremi: nella sua opera, Ottica e catottrica, sono contenuti elementi di prospettiva, lo studio della riflessione negli specchi piani e sferici e, per la prima volta, viene definito il concetto di raggio visuale come privo di struttura fisica. Ciò permette a Euclide di estendere il metodo tipico delle dimostrazioni geometriche al campo dei fenomeni luminosi. All'Ottica e alla Catottrica viene premesso un certo numero di «supposizioni» dalle quali vengono derivati i teoremi. Tali assiomi in realtà non hanno quel carattere di rigore logico proprio degli assiomi degli Elementi ma piuttosto sono il risultato di un compromesso tra dati assunti sperimentalmente e dati nei quali elementi spaziali e geometrici si intrecciano a considerazioni di carattere soggettivo.

Il primo postulato dell'Ottica, relativo alla propagazione rettilinea dei raggi visuali emessi dall'occhio, costituisce il fondamento dell'ottica geometrica euclidea. Esso infatti pone sia il concetto di raggío come modo di propagazione della luce, come filetto elementare di luce, sia il concetto di propagazione rettilinea. Teone Alessandrino (IV secolo d. C.) il curatore della riedizione dei libri di Euclide, riporta alcune tracce delle argomentazioni che condussero Euclide ai suoi postulati: per il primo c'è il richiamo a esperienze condotte con fessure fatte su tavolette di legno allineate con una fiamma. Il secondo postulato dell'Ottica sarà importante per i successivi sviluppi dell'ottica fisiologica: «la figura compresa dai raggi visuali è un cono che ha il vertice nell'occhio e la base al margine dell'oggetto». La concezione emissionista trova esplicita menzione nella terza e quarta supposizione. Gli unici oggetti che si possono vedere sono quelli sui quali arrivano i raggi visuali, cioè i raggi emessi dall occhio.

Di particolare interesse i primi due assiomi della Catottrica, il primo dei quali attribuisce al raggio visuale la proprietà di essere rettilineo nel caso in cui «il punto medio del raggio copre gli estremi», mentre il secondo ribadisce che ogni cosa visibile si vede per linea retta. Il primo assioma sembra essere stato enunciato allo scopo di preparare la via ai teoremi (Catottrica, teoremi XVI, XVII, XVIII) nei quali si determina la posizione dell'immagine di un oggetto formata dagli specchi piani e sferici, mentre il secondo potrebbe avere lo scopo di «salvare» l'edificio dell'ottica, interamente basato sulla propagazione rettilinea dei raggi visuali. Sta di fatto però che già nel caso della riflessione (proprio il caso esaminato nella Catottrica), il raggio visuale viene deviato dal suo cammino rettilineo ed Euclide sembra allora adombrare una differenza di comportamento tra raggio visuale e raggio di luce riaffermando solo per il primo — e per il suo prolungamento — la proprietà di procedere sempre in linea retta. Restano tuttavia non poche perplessità sul comportamento e sulla natura del raggio visuale nel caso di deviazione dalla linea retta.

Si noti infine che nella trattazione degli specchi sferici (Catottrica, teoremi XVII, XVIII) Euclide, e con lui Tolomeo, localizza l'immagine nel punto di intersezione tra la linea congiungente il punto oggetto con il centro di curvatura dello specchio e il prolungamento della linea che va dall'occhio alla superficie riflettente. Ciò in realtà è valido solo nel caso in cui l'angolo acuto formato dalle due linee è assai piccolo. Il terzo postulato della Catottrica conduce direttamente a uno dei più famosi teoremi, quello esprimente le leggi di riflessione (Catottrica, teorema I). Confronteremo nel seguito questo tipo di dimostrazione con quella di Erone Alessandrino basata sui principi variazionali. Mentre Euclide postula la propagazione rettilinea della luce, Erone tenterà di dimostrarla mediante argomentazioni di carattere teleologico (principi variazionali di minimo) assunte come idee regolatrici. Tolomeo, e più tardi Alhazen e Witelo, ne daranno invece dimostrazione sperimentale.

Per concludere questa rapida analisi dell'ottica euclidea possiamo affermare che essa si presenta come una sintesi ben strutturata in assiomi e teoremi delle principali conoscenze di ottica dell'antichità. La natura di tali assiomi tuttavia risulta fortemente condizionata dall'idea che la visione avvenga per raggi emessi dall'occhio. Questa assunzione rende assai complesso il problema di descrivere geometricamente una realtà che, pur essendo esterna all'osservatore, continua a essergli legata da quei «prolungamenti fisiologici» che sono i raggi visuali. D'altro lato, la definizione di raggio come ente matematico insieme all'idea che dall'occhio possa essere emesso un cono di raggi, con vertice nell'occhio stesso, considerato puntiforme, e base sull'oggetto, costituiscono di fatto una innovazione metodologica di gran rilievo che rende possibile l'estensione del mos geometricus all'ottica. Euclide accenna appena alla rifrazione, alla quale Tolomeo dedicherà invece ampio spazio.

 

Platone

La scuola pitagorica dei raggi visuali uscenti dall'occhio ebbe una certa influenza su Platone che rielaborò la teoria in una forma originale: nella sua concezione trovano ugualmente posto sia i flussi entranti che i flussi uscenti dall'occhio. É l'incontro del fuoco visuale che è dentro di noi, emesso dagli occhi, con il fuoco esterno della luce diurna a determinare la visione.

In questo modo Platone può spiegare l'impossibilità di vedere al buio — un problema questo di non facile risoluzione per la teoria emissionista — con la mancanza di fuoco esterno e anche i sogni come dovuti a fantasmi causati dal fuoco interno. Interessante è la spiegazione che Platone dà dei colori, in cui si adombra una struttura granulare della luce.

 

Aristotele

Una concezione di particolare originalità, sebbene scarsamente influente nell'epoca greca, fu quella di Aristotele. L'idea principale in quest'ultimo è che la luce si propaghi in analogia con il suono, attraverso un mezzo interposto. Non è quindi qualcosa di corporeo a entrare nell'occhio, ma è l'occhio a percepire le «vibrazioni» del mezzo il diafano. Il diafano grazie all'azione del fuoco passa daila potenza all'atto, cioè alla luce, così come una percussione che dà luogo a una vibrazione mette in movimento il mezzo intermedio, cioè l'aria. La luce è dunque l'«entelechia del diafano», cioè lo stato di perfezione, di completamento del mezzo.

Per Aristotele, caratteristica dei corpi colorati è il produrre cambiamenti qualitativi nel mezzo trasparente e questi cambiamenti vengono trasmessi con velocità di propagazione infinita agli umori trasparenti dell'occhio dell'osservatore.

L'occhio pertanto non riceve l'oggetto visibile ma diventa a sua volta oggetto visibile.

La posizione di Aristotele nei confronti delle concezioni rivali è piuttosto netta.

 

La scuola immissionista (atomista)

La principale corrente immissionista contro la quale Aristotele polemizza è quella atomista. Già Epicuro aveva affermato che è a causa dell'ingresso nell'occhio di qualcosa proveniente dagli oggetti esterni che noi possiamo vedere le loro forme. Egli aveva ben presente le altre possibili spiegazioni e le controbatteva: «le cose esterne non imprimerebbero in noi la natura del loro colore e della loro forma attraverso il mezzo (l'aria) che è tra noi e loro, o per mezzo di raggi di luce o correnti di qualche sorta andanti da noi a loro, così come a causa dell'ingresso nei nostri occhi o menti, per entrambi i quali la loro forma sia opportuna, di certe pellicole provenienti dalle cose stesse, queste pellicole o emissioni essendo dello stesso colore e forma delle stesse cose esterne ». [2] Queste pellicole, eidola in greco e simulacra in latino, erano considerate degli insiemi coerenti di atomi capaci di comunicare agli osservatori tutte le qualità visibili dell'oggetto emettente. Questa concezione emissionista e atomista si riscontra originariamente in Leucippo e Democrito e avrà un ruolo determinante sull'intero sviluppo della scienza occidentale. Nella concezione democritea i colori non sono che apparenze, gli elementi sono privati delle qualità: non ci sono che particelle compatte e il vuoto; i composti che ne sono formati acquistano il colore grazie all'ordine degli elementi, alla loro forma e alla loro posizione. Al di fuori di questi elementi non ci sono che apparenze, quelle del colore si presentano sotto quattro specie: bianco, nero, rosso e giallo. Democrito inoltre attribuisce il colore degli oggetti al cambiamento di direzione degli atomi. In questo contesto teorico si sviluppa la grande opera poetico-filosofica di Lucrezio. A proposito del brano sulle illusioni ottiche riportato nelle pagine seguenti, un problema largamente sentito fino ai nostri giorni perché implica contemporaneamente problemi di ottica, di fisiologia e psicologia, è notevole l'affermazione di Lucrezio: «gli occhi non possono conoscere le leggi della natura: non imputare alla vista l'errore dello spirito», in cui è già presente la distinzione tra il ruolo dei sensi e quello psicologico-concettuale.

 

Claudio Tolomeo

E’ all'interno della scuola alessandrina che maturano gli ultimi fondamentali contributi all'ottica del periodo antico. Il grande astronomo Claudio Tolomeo appartiene alla scuola di Euclide alla quale reca specifici contributi di ricerca, sia sperimentale che teorica. Egli, sostituendo come base della prospettiva una pirarnide al cono, sostiene che l'occhio avverte la direzione e la lunghezza dei raggi emessi e studia la questione del giudizio sulla grandezza degli oggetti osservati, combinando la lunghezza della piramide prospettica con la grandezza della sua base. Di particolare rilievo sono i risultati sperimentali sul rapporto tra gli angoli di incidenza e quelli di rifrazione, una delle prime tappe verso la definizione della legge della rifrazione.

Con uno strumento costituito da un cercllio graduato munito al centro di due indici per facilitare la misurazione degli angoli di incidenza i e di rifrazione r, Tolomeo ricava una serie di misure nei mezzi aria-acqua, aria-vetro, acquavetro. Nel caso del passaggio della luce da un mezzo più denso a uno meno denso stabilisce il valore dell'angolo limite per l'acqua. Per gli angoli di incidenza e di rifrazione egli individua una relazione che associa a un valore dato di i, il rapporto i/r. Questa assunzione verrà da molti intesa come una legge del tipo i/r = costante, risultato questo che, per piccoli valori di i, e in buon accordo con la legge della rifrazione.

Ma più esattamente la relazione che Tolomeo stabilisce tra i e r è di tipo parabolico: ciò si può desumere dalla costanza delle differenze seconde riportate nelle sue tabelle.

Si può supporre che una volta riscontrata la coincidenza dei primi risultati sperimentali con i punti di una parabola Tolomeo abbia ricavato geometricamente i successivi valori senza realmente eseguire le misure. In ogni modo, rispetto alla relazione lineare tra angoli di incidenza e di rifrazione, largamente usata nel seguito anche da Keplero, la relazione parabolica di Tolomeo approssima meglio la legge di rifrazione .

L'ipotesi emissionista sostenuta da Tolomeo fa sì che nella lettura dei brani le definizioni di angoli dí incidenza e rifrazione siano invertite rispetto all'uso corrente.

 

Erone Alessandrino

Da rilevare anche il brano finale in cui Tolomeo allude a un'interpretazione unitaria della legge di riflessione e di rifrazione tramite un principio metodologico più generale, il «principio di minimo». Purtroppo lo sviluppo di questa argomentazione, risalente originariamente ad Aristotele, è andato perso. Si ritrovano però ampiamente questi motivi in un altro sostenitore della teoria dell'emissione, Erone Alessandrino. Il suo lavoro per noi assume un rilievo particolare: Erone infatti è il primo a utilizzare in maniera scientificamente valida un principio regolativo di grande portata euristica nello sviluppo della scienza, il principio variazionale della minima distanza, mediante il quale deduce correttamente le leggi della riflessione (Erone evidentemente non riesce a dimostrare sulla base dello stesso principio la legge della rifrazione poiché in questo caso il punto di incidenza non minimizza il percorso ottico tra l'occhio e l'oggetto). Vale la pena tuttavia sottolineare nel caso in esame l'interessante connessione tra ottica geometrica, ottica fisica (nucleo di assunzioni base) e idee regolative (tematiche di fondo) e il ruolo non trascurabile svolto da queste ultime nella spiegazione di un fenomeno fisico. I principi di minimo sono stati spesso collegati a concezioni antropomorfiche sul comportamento della natura («la luce sceglie il suo percorso») e quindi guardati con sospetto. Essi possono invece essere considerati come espressione scientifica delle categorie teleologiche, di pari utilità e dignità di quelle causali. Nel corso della nostra analisi vedremo che hanno svolto un ruolo notevole nello sviluppo dell'ottica.

Altri contributi nella linea di pensiero emissionista vennero da Eliodoro di Larissa il quale pose in dubbio che la pupilla potesse essere considerata il vertice del cono prospettico, perché troppo estesa, e assimilò il comportamento della luce del sole e della «luce» uscente dall'occhio, risolvendo così un problema lasciato aperto da Euclide.

 

Conclusione

A conclusione di questa breve introduzione alle letture degli autori dell'antichità greca può essere utile sottolineare alcune idee: il dibattito principale non è tanto quello tra emissionisti e immissionisti, nelle varie accezioni. É più rilevante invece considerare l'ambito disciplinare nel quale le varie linee si sono sviluppate. É evidente dalla lettura dei brani proposti che le teorie di Euclide, Tolomeo ed Erone si configurano come essenzialmente matematiche ed è su questo terreno che vanno in primo luogo considerate. Le altre teorie sono piuttosto legate a considerazioni metafisiche su fenomeni fisici o fisiopsicologici.

 



[1]  F. Stelluti (a cura di), Da Persio tradotto in verso sciolto, Roma, 1630, p. 37.

 

[2] Cfr. D. C. Lindberg (a cura di), Science in the Middle Ages, Chicago, 1978, p. 340.