Convegno Nazionale Societa Italiana degli Storici della Fisica e dell'Astronomia

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XXXI Convegno Nazionale della Società Italiana degli Storici della Fisica e dell'Astronomia


Abstracts delle relazioni

Ruggiero Boscovich (1711-1787) nel terzo centenario della nascita:
Pavia 8-10 settembre 2011

Fabio Bevilacqua
Dipartimento di Fisica “A. Volta”, Università di Pavia
Università di Pavia

Ruggiero Boscovich è uno straordinario personaggio che ha attraversato gran parte del Settecento diventandone uno dei protagonisti. Il Convegno di Pavia nel terzo centenario della nascita prende spunto dall’insegnamento pavese di Boscovich (1764-69). Idealmente si riallaccia agli altri convegni svolti in luoghi importanti della vita del nostro, Roma, Milano, Vienna, Dubrovnik, convegni che negli ultimi decenni hanno approfondito diversi aspetti attraverso varie interpretazioni storiografiche. A Pavia verranno presentati oltre trenta contributi da parte di studiosi di numerosi paesi, verranno presentati i risultati dell’Edizione Nazionale e verranno discussi problemi di rilievo: il ruolo di un gesuita nella repubblica delle lettere, il rapporto tra la filosofia della natura di Boscovich e la tradizione culturale dei gesuiti, specifici aspetti della sua attività scientifica, con particolare riferimento a dei settori di indagine storiografica relativamente nuovi come la sferometria, la rifrattometria e l’elettricità. Durante il convegno verranno illustrate le meridiane dell’Università (in omaggio ad uno degli interessi di Boscovich) e le collezioni del Museo per la Storia dell’Università. Una mostra è allestita nel Salone Teresiano: tutte le opere presentate provengono dalle collezioni della Biblioteca Universitaria e tutti gli strumenti dalle collezioni del Sistema Museale d’Ateneo. Questo Salone, disegnato dal Piermarini e inaugurato nel 1778, raccoglie un patrimonio meraviglioso. Abbiamo pensato di presentarne un esempio, cercando di seguire la vita e le discipline alle quali Boscovich ha dato dei contributi. Appartennero a Boscovich alcuni dei libri o degli strumenti qui esposti? Non possiamo dirlo con certezza ma la possibilità non è esclusa.
La vita di Boscovich si può schematicamente dividere in cinque fasi:
a) l’infanzia ed il radicamento con la famiglia e con Ragusa, non senza contraddizioni: mantiene una serrata corrispondenza con due fratelli (Baro a Ragusa, membro della confraternita degli Antonini, e Bartolomeo in Italia, anch’egli gesuita) ma dalla partenza a 14 anni nel 1725 tornerà a casa una sola volta nel 1747 (nonostante la madre viva fino al 1776-102 anni!);
b) segue il lungo periodo romano ove studia, insegna, scrive e in un ambiente certamente non “illuminato” concepisce le sue opere più famose e innovative di filosofia della natura. Anche qui contraddizioni: a partire dal 1756 abbandona l’insegnamento e lascia il Collegio Romano, deluso di non essere riuscito a far accettare le proprie teorie ed il proprio allievo (Benvenuti);
c) inizia dunque un periodo di incarichi e di missioni che lo porterà in tutta Europa e nell’impero Ottomano fino al 1763 ed è in questo periodo che prima a Vienna (1758) e poi a Venezia (1763) sintetizza idee e pubblicazioni precedenti e pubblica la Theoria. È un periodo glorioso ed entusiasmante che consente a Boscovich di mettere in gioco tutte le proprie capacità in un contesto sovranazionale nel quale si trovava a proprio agio;
d) Roma non era più un’opzione e si apre dunque un quarto periodo, quello lombardo, con la cattedra all’Università di Pavia (1764-69) e poi alle Scuole Palatine di Brera e con la fondazione dell’Osservatorio astronomico. Boscovich si impegna in tentativi di riforma dell’insegnamento (Pavia) e della ricerca (Brera) ma anche qui sorgono problemi e contrasti che appaiono comunque eventi minori rispetto a quello ben più grande della soppressione dell’ordine dei Gesuiti (1772-73);
e) ma Boscovich riesce a inaugurare un quinto periodo, quello francese: viene nominato da Luigi XV direttore dell’ottica della Marina con un generoso stipendio, prende la cittadinanza francese, passa dieci anni a Parigi, frequenta Versailles, conosce e scambia idee scientifiche e diplomatiche con Franklin. Boscovich inizia a raccogliere le proprie opere di ottica ed astronomia e ambisce ad una pubblicazione vasta ed unitaria a spese della Corona, ma vista la situazione economica e politica questo non è possibile. Prende dunque un congedo e torna in Italia per l’ultimo drammatico periodo della sua vita. Trova un editore disponibile all’impresa a Bassano, Remondini, e coordina una lunga e complessa edizione in cinque volumi. Lo sforzo è notevole e la salute, già malferma crolla. Dopo alcune peregrinazioni si ferma a Milano ove muore nel 1787.

 

The Production of Scientific Instruments between 1800 and 1930

Paolo Brenni
CNR, Fondazione Scienza e Tecnica - Firenze

Between the beginning of the 19th century and World War I, only Great Britain, France and later Germany played a fundamental role on the international market of scientific instruments. The instrument production of other countries such as Italy, Holland, Spain, Russia, Sweden, etc. was marginal and (apart from a very few exceptions) could only partially supply the local and internal needs.
During the second half of the 18th century British scientific instruments conquered an absolutely leading position on the world market. The best astronomical, surveying and optical instruments, the most appreciated electrical machines and vacuum pumps and all the more elegant philosophical apparatus were mainly produced in London. All the most important scientific cabinets and astronomical observatories both in Europe and in the United States were equipped with the instruments coming from the workshops of British makers. Until the end of the 18th century, in this field France could not compete with England. Certainly, also in Paris one could find some excellent makers but, due to the peculiar rules of the French guilds and to a more limited market, their production was smaller and often of inferior quality. Things began to change with the French Revolution, when a series of important changes (such as the creation of new scientific institutions and the introduction of free trade and the successes of French science) took place. In the first decades of the 19th century the French precision industry boomed. By 1850 several Parisian makers had acquired an international reputation and could successfully challenge their British colleagues, who profited of their past glory but showed a certain lack of inventiveness and originality. The period between 1830 and 1880 circa represented the golden era of French makers, who flooded the world with their excellent instruments. Nevertheless, British precision industry could count on a large national and colonial market and thanks to a series of newly founded companies in the last decades of the century was capable to maintain a leading position.
The unification of Germany under Prussia in 1871 marked the beginning of a new era. In the first half of the 19th century German precision industry was not particularly developed. Certainly the excellent astronomical instruments produced by Fraunhofer and his associates (and later by their successors) were highly appreciated, but the production of physical and laboratory optical instruments remained quite limited. But in the last three decades of the 19th century, the rapid development of German industry, economy and educational system as well as a strong support of the state and the tight connection between science and industry, led to a remarkable expansion of the production of scientific instruments. By the end of the century, German astronomical, physical, optical and chemical instruments were appreciated worldwide and became synonymous of “high precision”. The makers of Berlin, Dresden, München, Frankfurt, Jena or Chemnitz, who also had introduced a new and aggressive selling and marketing strategy, were conquering a larger and larger part of the instrument market. French and British makers could not ignore this situation but they did not do much to fight the overwhelming German competition. This situation became dramatic since the beginning of WWI, when the allies discovered that their production of optical glass and “optical weapons” (sights, telescopes, binoculars, etc.) was quantitatively and often also qualitatively inferior to the German one. During the war and also in the following years many efforts were made in England, France and USA for modernizing, increasing and improving the production of instruments. In the same period, the United States, which until the late 19th century were essentially importing from Europe the largest part of instruments they needed, became one of the most important producers and exporters.
In my paper I will present some of the most important steps in the transformation of the precision industry between 1800 and 1930 and I will illustrate the evolution of its production.

 

Scienza a due voci

Raffaella Simili
Università di Bologna

SCIENZA A DUE VOCI è il logo di un progetto che un gruppo di storiche e storici della scienza del Dipartimento di filosofia di Bologna ha portato avanti dal 1999 con modalità e iniziative diverse, ma aventi tutte per oggetto il ruolo svolto dalle donne nel progresso e nella diffusione delle conoscenze scientifiche, anche secondo una prospettiva di genere. Questa prima fase del progetto “Donne, Università e Istituzioni scientifiche dal Settecento al Novecento”, finanziata dall’Università di Bologna, si è realizzata in indagini originali che hanno portato a pubblicazioni e a seminari, cui hanno partecipato attivamente studiose e studiosi non solo italiani. Si vedano al riguardo i volumi Scienza a due voci, a cura di Raffaella Simili, (Olschki, Firenze, 2006); More than pupils. Italian women in science at the turn of the 20th century, a cura di Valeria P. Babini e Raffaella Simili, (Olschki, Firenze, 2007); Anna Morandi Manzolini. Una donna tra arte e scienza, di Miriam Focaccia (Olschki, Firenze, 2008); Sotto falso nome. Scienziate italiane ebree (1938-1945), di Raffaella Simili (Pendragon, Bologna, 2010); Un matematico un po’ speciale. Vito Volterra e le sue allieve, di Sandra Linguerri, (Pendragon, Bologna, 2010).
Il risultato di una seconda fase di questo progetto, portato avanti nell’ambito di un accordo di programma Università di Bologna/MIUR grazie a un finanziamento del Comitato per la diffusione della cultura scientifica, è il sito web “Scienza a due voci. Le donne nella scienza italiana dal Settecento al Novecento” (http://scienzaa2voci.unibo.it), il primo esemplare di dizionario biografico delle “scienziate italiane”. Il sito, in progress oltre che interattivo, è uno strumento di facile consultazione messo a disposizione anche del grande pubblico, per saperne di più sulla parte avuta dalle donne italiane nello sviluppo e nella diffusione della scienza, dal 1700 all’età contemporanea. Vi sono contenuti oltre 1290 nominativi, più di 130 biografie dettagliate, una galleria iconografica che ospita circa 600 immagini; la ricerca può essere effettuata cronologicamente, spazialmente, per settore disciplinare; ci si può inoltre servire di una serie di “parole chiave” con le quali procedere ad una ricerca avanzata.
Il contributo femminile alla scienza è stato ed è ancor oggi, più che oggetto di conoscenza storica, raccontato in forma aneddotica. Le donne che hanno partecipato all’impresa scientifica sono state solitamente raffigurate come fenomeni straordinari o muse ispiratrici di grandi scienziati o abili assistenti al fianco di illustri professionisti. È così che, tra eccezionalità e marginalità, la loro collocazione è rimasta al di fuori dalla scienza ufficiale.
Una ricerca minuziosa, approfondita e insieme appassionata, intenta a ricostruire un quadro più veritiero e autentico della scena scientifica, ha invece portato alla luce una presenza femminile reale, cospicua e diversificata.
Con questo sito si vuole dunque riparare alla dimenticanza o alla rimozione della storia: riconoscere alle donne il posto che hanno realmente occupato nella cultura scientifica dell’Italia moderna e contemporanea: ridare spazio a quella voce che è rimasta nascosta ma che ha contribuito con pari dignità al cammino della scienza. Per una scienza, appunto, a due voci.

 

Abstracts delle comunicazioni

 

L’insegnamento dell'astronomia all’Università di Genova nella seconda metà del Novecento

Riccardo Balestrieri
Società Astronomica Italiana, SISFA

All’Astronomia di stampo geodetico, insegnata alla Facoltà di Scienze dell’Università di Genova sino al 1951/52, subentra nel 1956/57 il corso di Astronomia curato da Alberto Masani, che nel 1961/62 diventa di Astrofisica; il corso si tiene ancora l’anno accademico successivo, quindi si interrompe e riprende dal 1974/75 al 1980/81.
Nel frattempo, alla Facoltà di Lettere, grazie a Luigi Bulferetti e Luigi Briatore, viene attivato un corso di Cronologia e tecniche della misura del tempo, che dal 1978/79 al 1984/85 è curato da Masani.
Il contributo ricostruisce, in modo sintetico, la successione degli incarichi didattici, mette a confronto i programmi degli insegnamenti e fornisce la lista delle pubblicazioni pertinenti dei docenti; la lista si estende a tutte le pubblicazioni nel caso di Masani.

 

Trenta anni di Convegni di Storia della Fisica e dell’Astronomia

Fabio Bevilacqua, Matteo Torre
Dipartimento di Fisica “A. Volta”
Università di Pavia

Nel 1981 a Pavia furono organizzati i primi due convegni di Storia della Fisica. In questo convegno del 2011, di nuovo a Pavia, vogliamo ricordare i trenta anni trascorsi dalla nascita del nostro Gruppo di Storia della Fisica, poi Società degli Storici della Fisica e dell’Astronomia. Abbiamo pensato di farlo realizzando un indice dei contributi dei 28 volumi di Atti dei nostri convegni, e digitalizzando e iniziando a pubblicare on line i primi volumi della serie al fine di poter disporre on line dell’intera collezione. L’indice comprende anche gli ultimi tre volumi, in corso di pubblicazione. È possibile una ricerca per autore, anno, disciplina, parola chiave. Il lavoro fatto in questi trenta anni ci sembra notevole e questo indice, che sarà on line sul sito: ppp.unipv.it/Atti SISFA, speriamo possa portare ad una maggiore fruizione del “nostro” patrimonio storico-culturale. Ovviamente se i contributi, o almeno gli abstracts, fossero in inglese l’impatto del nostro lavoro sarebbe molto maggiore. Si sta studiando la possibilità di linkare i titoli dell’indice agli articoli.

 

Galileo: la teoria della maree e il “principio” di relatività

Gianni Bonera
Dipartimento di Fisica “A. Volta”
Università di Pavia

Si cerca di mostrare come la teoria delle maree, presentata da Galilei nella Giornata quarta dei Discorsi, benché non corretta, non sia in contrasto con quanto viene affermato nella Giornata seconda a proposito della impossibilità da parte di un osservatore che si muove insieme alla Terra di stabilire se essa sia in quiete o in moto di rotazione intorno a se stessa.

 

Clausius’ 1854 Verwandlungsinhalt: The Second Law of Thermodynamics as a Second Principle of Equivalence

Stefano Bordoni
Università di Urbino

Until recent times the specific content of the Second law of Thermodynamics has been submitted to a historical and conceptual analysis (see, for instance, Uffink J. 2001), and different interpretations continuously emerge. The role of Clausius in the establishment of the Second law is well-known to historians, and the different interpretations he put forward in the 1850s and 1860s are known as well. Physicists and historians have given different appraisals of his attempts to rephrase and refine that law (see, for instance, Duhem P. 1903, and Truesdell C. 1980). It seems to me that one specific stage of Clausius’ research deserves to be analysed in detail: the interpretation of the law in terms of a law of conservation which he put forward in 1854.
In 1850, Clausius had concluded that a principle of equivalence between heat and mechanical work had to be assumed, and that work stemmed from “an actual consumption of heat” rather than from a mere rearrangement in the distribution of heat; conversely “heat could be generated by the consumption of work”. In 1854, he re-stated that the equivalence between heat and work, on the one hand, and “Carnot’s proposition” on the other, did not necessarily clash, provided that the latter was slightly modified. At this stage, he associated another law of equivalence to the first one, in order to maintain a sort of symmetry in the axiomatic structure of Thermodynamics: a law of equivalence between “transformations”. He specified that two kinds of transformations were at stake in thermal machines: the transformation of heat into work, and the transformation of an amount of heat, which was stored in the boiler at high temperature, into heat which is received by the cooler at low temperature. Clausius pointed out that the two kinds of transformation were tightly linked to each other: the former could not take place without the latter.
Clausius labelled “law of equivalence for transformations” his formulation of the second law, which was based on the concept of “equivalence value” Q/T, wherein was a function of the temperature. From the linguistic and conceptual points of view, the two laws of Thermodynamics were nothing else but two principles of equivalence: if the first stated the equivalence between heat and work, the second stated the equivalence between mathematically well-defined values of “transformation”. In cases of “reversible cyclic processes” ɸdQ/T= 0: here we can find the essential feature of a law of conservation. A formal analogy between the first and the second law was thus established. The sum of “the contents of transformation (Verwandlungsinhalt)” had to vanish in pure, “reversible (umkehrbar)” thermodynamic processes, as well as the sum of the mechanical work along a closed path must vanish in pure mechanics.

 

A New View on Bernoulli’s Rules of Energies

Danilo Capecchi
Facoltà di Architettura
Università di Roma “La Sapienza”

It is more or less universally acknowledged that the wording now used for the laws of virtual work has its core in the regle de énergie of Johann Bernoulli (1667-1748), better known after Lagrange as the principle of virtual velocity. Until a few years ago little was known about the origin of this principle. Even the date of its first statement was reported incorrectly. In fact, in the Nouvelle mécanique ou statique of 1725 by Pierre Varignon it is reported a letter dated 1717 which sets out Bernoulli’s famous principle. There is actually a misprint and the correct date of the letter is February 26th, 1715. With the occasion of the new edition of the works of the Bernoullis the correspondence of Johann Bernoulli, of which only a fraction of the letters were published, has been reconsidered. From it Patricia Radelet de Grave, one of the curators, made a more complete reconstruction. In the present presentation, I draw inspiration from the study of de Grave and from unpublished? letters to reconstruct the development of the concepts of Bernoulli, not so much from the chronological point of view, but rather as an evolution of contents.

References
Bernoulli Johann (1714) Essay d’une nouvelle théorie de la manoeuvre des vaisseaux, avec quelques lettres sur le même sujet. Geoge König, Basel
Bernoulli Johann (1742) Opera Omnia (4 vols). Bousquet, Lausannae et Genevae
Bernoulli (1969-) Die gesammelten Werke der Mathematiker und Physiker der Familie Bernoulli. Birkhäuser, Basel
Bernoulli Johann (2011) Unpublished correspondence. Private communication by Radelet De Grave P.
Capecchi D (2002) Storia del principio dei lavori virtuali. Hevelius, Benevento
Radelet de Grave P. (2002) Déplacements, vitesses et travaux virtuels. Seminar Doctorate of Ingegneria delle strutture, Università di Pisa

 

Adam Heroldt, costruttore di strumenti scientifici nella Roma della prima metà del 1600: il suo “recipiangolo”

Fausto Casi
Museo dei Mezzi di Comunicazione del Comune di Arezzo

Nel 1990, quando ebbi modo di studiare un “compasso geometrico e militare” firmato Adam Heroldt Fecit Romae, non trovai alcun riscontro di altri strumenti di simile tipologia atti a risolvere problemi di calcolo ma anche di misura delle distanze sia terrestri che astronomiche.
Nel 2010 sono stato contattato per esaminare un “compasso a tre aste, con due alidade”, firmato: Adam Heroldus in.(cise) Cum Privil.(egio) Cum Pont.(efice).
Questa disponibilità mi ha consentito di riprendere in esame anche l’altro strumento che esaminai, circa 20 anni prima (oggi presso il Museo Nazionale del Calcolo dell’Università di Pisa) e di cercare quindi, anche in altre realtà collezionistiche o museali, eventuali opere realizzate da questo importante costruttore romano.
Sono risultati pochissimi gli strumenti rilevati anche in elenchi di vecchi archivi e cataloghi, e ancora meno sono quelli rimasti oggi, dei quali conosciamo la certa collocazione.
Tra questi, solo un altro simile “compasso di calcolo e di misura”, conservato oggi presso lo Science Museum di Londra, fu individuato, nel 1938, da Henry Michel, come: “recipiangolo”; con tale nome voleva indicare la funzione di questo compasso di calcolo e di misura che era provvisto di pinnule per il puntamento e di attacco snodato per il piazzamento nel treppiede, per essere utilizzato sia in piano orizzontale che verticale.
Pochi altri strumenti, due sfere armillari, un orologio solare ed un quadrante, sono da aggiungere a testimonianza della produzione del nostro Heroldt, che lavorò nella sua bottega “presso il Collegio Romano “ dal 1615 al 1650-1660 circa.
Non avendo nessun riferimento né sul metodo di progetto di questo nuovo compasso a tre aste e nemmeno sull’uso delle varie e molteplici scale incise sulle superfici, utilizzate anche nei più piccoli spazi, mi sono dedicato all’esame specifico descrivendo la parte progettuale delle 4 scale di calcolo, delle 5 scale di misura, delle 6 scale di rilevazione.
Per ogni funzione descriviamo la parte geometrica, matematica (esprimendo la formula corrispondente allo sviluppo grafico della singola scala), accompagnata dall’esempio d’uso, anche mediante la fotografia che ci permette di “leggere” lo strumento.
Ci soffermeremo sulla parte del calcolo, come si ottengono risultati senza l’obbligo delle formule; vedremo anche come si posiziona in mano lo strumento quando si usa come rilevatore, sia di distanze angolari che lineari, fino a risolvere le problematiche nel campo militare:

- piazzamento dei pezzi di artiglieria,
- misura delle angolazione delle bocche dei cannoni, in funzione delle distanze degli obiettivi,
- misura delle pendenze delle fortezze o delle scarpate.

Stiamo ora estendendo lo studio al proseguimento della produzione, dopo la metà del XVII secolo, avendo accertato la continuità dei metodi costruttivi di alcuni strumenti dell’Heroldt anche in alcuni prodotti dalla Famiglia Lusuerg che, dal 1660 in poi, hanno fatto la storia della strumentaria romana sempre alla bottega del “Collegio Romano” lasciando, di generazione in generazione, la competenza, quasi esclusiva a Roma, sulla produzione strumentaria scientifica, fino alla seconda metà del 1800.

 

Superconduttività e mondo reale: opportunità e difficoltà del percorso dal laboratorio al mercato

Luigi Cerruti, Gianmarco Ieluzzi
Dipartimento di Chimica Generale e Chimica Organica
Università di Torino

La ricerca sui materiali superconduttori ha avuto una svolta radicale nel 1986 con la scoperta che certi composti del rame, denominati YCBO, presentavano una temperatura critica (Tc) al di sopra del punto di ebollizione dell'azoto liquido. Questa determinante caratteristica aprì, per diversi tipi di YCBO, una prospettiva di applicazioni; tuttavia già nel 1988 i ricercatori trovarono un’alternativa scoprendo buone proprietà superconduttrici in altri composti contenti bismuto e denominati BSCCO. Diversi anni dopo, nel 2001, si scoprì che MgB2, un composto noto da una cinquantina di anni e ampiamente commercializzato per altri scopi, aveva una Tc = 39 K.
È di estremo interesse ricostruire il percorso di questi tre materiali dal laboratorio al mercato seguendo uno schema semplificato (1: sostanza  materiale; 2: materiale  prodotto; 3: prodotto  merce), e utilizzando sia l'usuale letteratura scientifica, sia quella brevettuale e societaria. Ciascuno dei tre passaggi indicati nello schema ha presentato opportunità e difficoltà, che sono dipese dalla sostanza di partenza. Le opportunità più importanti sono state ritrovate nelle procedure di laboratorio, nell'epistemologia e nei modelli teorici della chimica. Le difficoltà più rilevanti sono giunte da due direzioni assolutamente diverse: la natura intrinseca dei composti superconduttori e la natura sociale della conoscenza scientifica.
Il passaggio 1, da sostanza a materiale, richiede che il composto studiato diventi un oggetto usabile in contesti diversi dalle misurazioni di laboratorio; ad esempio attraverso la preparazione di un prototipo di cavo elettrico per trasformatori. Questo passaggio 1 è stato ostacolato o favorito dalle proprietà intrinseche, chimico-fisiche e meccaniche, delle tre sostanze in esame. Tuttavia, difficilmente i materiali di cui stiamo parlando diventano prodotti commerciabili per sé; piuttosto il passaggio 2 si realizza quando essi entrano a far parte di oggetti più complessi, ad esempio di un magnete per medical imaging. Una moltitudine di scienziati e tecnici di varia denominazione collabora al superamento delle difficoltà intrinseche ai materiali, e relative ai passaggi 1 e 2.
Il passaggio 3 si ha soltanto quando si crea un vero mercato per quanto ottenuto in 2, e l'esito dell'innovazione scientifico-tecnologica diventa parte di una merce. In effetti, nello stesso momento in cui la conoscenza è orientabile verso il mercato, essa stessa diventa una merce con un valore tutelato dai brevetti. Le vicende brevettuali dei materiali superconduttori, e in particolare quelle estenuanti del BSCCO, dimostrano – a modo loro – il valore sociale della conoscenza scientifica.

 

Spiru Haret e l’applicazione dei metodi fisico-matematici alle scienze sociali

Vincenzo Cioci, Gruppo di Ricerca di Didattica e Storia della Fisica
Università della Calabria
Antonino Drago, Università di Pisa

Spiru Haret (1851-1912) è stato Ministro rumeno dell’educazione. Aveva conseguito il Ph.D. in scienze nel 1878 a Parigi, dando un contributo importante allo studio del problema degli n-corpi in meccanica celeste, relativamente all’analisi della stabilità dei semiassi maggiori delle orbite dei pianeti.
Haret è stato uno dei precursori nell’applicazione della modellizzazione matematica alla Sociologia. Nel 1910 pubblicò un testo dal titolo “Mécanique sociale” nel quale aveva posto le basi per l’applicazione dei metodi fisico-matematici della meccanica classica allo studio dei fenomeni sociali.
Come esperto della meccanica celeste e della ragion di Stato, era convinto che i principi che fornivano le basi della Meccanica Razionale potessero essere posti a fondamento anche delle Scienze sociali, fornendo a queste ultime l’oggettività propria del metodo scientifico.
Esaminando il lavoro di Haret, si riscontra l’analogia seguita nella costruzione della sua Meccanica sociale, con la Meccanica classica, operando comunque diverse scelte soprattutto in merito alle definizioni e alle applicazioni. Ad esempio, la condizione di un individuo in società, secondo Haret, viene individuata in una terna cartesiana sui cui assi figurano la posizione economica, quella intellettuale e quella morale. Procedendo come in Meccanica, Haret enuncia le leggi della stabilità dell’equilibrio sociale, i principi della dinamica sociale, il principio di minima azione sociale, la meccanica dei corpi sociali. È di grande interesse il suo tentativo di utilizzare le leggi di diffusione dei gas per la descrizione della “diffusione delle masse sociali” che ha luogo quando due corpi sociali sono posti a contatto. Modelli di diffusione sono effettivamente utilizzati oggi per descrivere mutue influenze culturali.
L’influsso di Haret sulle scienze sociali è stato di breve durata a causa della crisi che ha investito la Meccanica classica nei primi decenni del Novecento, per effetto dell’influenza delle teorie della Relatività e della Meccanica quantistica.
La tematica è stata ripresa recentemente da Freudenthal che però si è ristretto ai rapporti tra la meccanica newtoniana e la società del tempo di Newton, sottolineandone gli aspetti individualistici.
Piuttosto il programma di Haret può essere ampliato tenendo conto della teoria meccanica non newtoniana, quella che dipende dal principio dei lavori virtuali; in particolare la meccanica di Lazare Carnot può dare luogo ad un nuovo programma di ricerca che verrà illustrato nella comunicazione.

Bibliografia essenziale
 Freudenthal G., 1986, Atom and Individual in the Age of Newton: on the genesis of the mechanistic world view, Reidel, Dordrecht.
 Haret Sp. C., 1910, Mécanique Sociale, Paris, Gauthier-Villars.
 Malita M., 1974, Spiru Haret, A Romanian Forerunner of Mathematical Modelling in the Social Sciences, in The Revolution in Science and Technology and Contemporary Social Development, Editura Academiei Republicii Socialiste Romania, pp. 69-74.

 

Newton, Principia Mathematica Philosophiae Naturalis: la “deduzione dai fenomeni” e la “proibizione delle ipotesi”

Salvo D’Agostino
Università di Roma “La Sapienza”

Un’attenta lettura della grande opera di Newton, Principia Mathematica Philosophiae Naturalis, il primo caso storico nella scienza moderna di una parziale assiomatizzazione della meccanica celeste, rivela che ai capitoli di una scienza dei principi si alternano procedimenti indicati da Newton come deduzione dai fenomeni. È notevole, e, a mia conoscenza, ignorato dalla storiografia, che la tematica della deduzione dai fenomeni si accordi in Newton con la sua ben nota proibizione delle ipotesi, e che il metodo di deduzione dai fenomeni eviti la ricerca e l’introduzione di ipotesi. Il metodo è, fra l’altro, applicato da Newton nelle argomentazioni sul celebre esperimento del secchio, collocato all’inizio dei Principia, nello “Scholium” che segue le definizioni, nella parte cioè destinata a costituire l’ossatura concettualmente portante dell’opera. Lo scopo è quello di distinguere il moto assoluto dal relativo, problema che è di immediato impatto sulla teoria newtoniana eliocentrica. L’esperimento presenta una situazione nella quale la rotazione relativa dell’acqua rispetto al secchio non è simmetrica, a parità di moto relativo, alla rotazione del secchio rispetto all’acqua e all’osservatore. Solo in un caso infatti la superficie dell’acqua è concava. Da questo esperimento, che egli afferma di aver effettivamente eseguito, Newton vuol dedurre che l’acqua si muove di moto assoluto. Nell’argomentazione si ricorre soltanto a considerazioni di logica relazionale, nel senso che il discorso si fonda sulla mancanza di simmetria nei due moti relativi. Newton si limita a postulare che l’asimmetria dei risultati richiede una spiegazione, che egli attribuisce agli effetti del moto assoluto. Non una dimostrazione quindi del moto assoluto ma una sua “postulazione”. L’argomento è esente da quelle ipotesi che invece si richiederebbero in un possibile, ma alternativo, metodo induttivo o deduttivo dalle ipotesi. In termini moderni, si direbbe che l’argomento newtoniano procede in conseguenza di una rottura di simmetrie. L’asimmetria rilevata da Newton lo convince a postulare il moto circolare assoluto dell’acqua. Queste pagine dei Principia hanno costituito per due secoli oggetto di controversie riguardanti o l’accusa di inconsistenza della dimostrazione newtoniana, oppure le sue difese. Dirò in breve, che le accuse rivolte a Newton riguardavano la sua pretesa di aver dimostrato il moto assoluto, accuse che cadono se si accetta la tesi che il procedimento newtoniano non è una dimostrazione del moto assoluto ma una sua “postulazione”. È notevole che il dibattito sulla maggiore rilevanza del metodo deduttivo non sia oggi concluso, e che il premio Nobel P. W. Anderson l’abbia rivitalizzato con la sua ammissione di due vie per la ricerca, da lui titolate “Bottom-up” ed “Upper-down”. La sua manifesta preferenza per la prima alternativa, un risalire dai fenomeni è anche un dedurre da essi le leggi. Ma ciò non implica che l’esigenza di una scienza deduttiva, una scienza dei principia, che caratterizza fra l’altro secondo Einstein la sua teoria, sia da considerare contraddittoria alla sua antagonista, una scienza fenomenologica, su modelli matematici non necessariamente generalizzabili, ma accettabili, come nella tesi di Poincaré, pur nella loro limitata generalizzabilità. Ponendo il problema di una scelta fra le due oscillazioni, Einstein ha avuto anche il grande merito di aver aperto la via al pensiero scientifico moderno.

 

Disegnare curve cicloidali: soluzioni tra Sette e Ottocento

Alessandra D’Amico Finardi
Università di Bergamo

Molte curve sono disegnabili senza problemi con l’impiego di strumenti semplici: riga e compasso. La cicloide e le curve cicloidali (epicicloide e ipocicloide), studiatissime dai maggiori matematici nel Seicento e nel Settecento, per molto tempo furono solo calcolate per punti, e disegnate per interpolazione, unendo questi punti. Solo nel 1752 il matematico bresciano Giambattista Suardi inventò uno strumento capace di tracciare queste curve, secondo diversi parametri. L’opera del Suardi, Nuovi Istromenti, è stata recentemente ripubblicata a cura di Alessandra d’Amico Finardi e Giorgio Mirandola, e nell’introduzione a quest’opera è stata sottolineata la fortuna che lo strumento del Suardi, da lui battezzato “penna geometrica” ebbe negli anni successivi in Europa. Questa comunicazione esamina innanzi tutto gli strumenti per disegnare cicloidi costruiti da Adams e da Stanley, per poi trattare i perfezionamenti realizzati dai costruttori di torni ornamentali. La tornitura ornamentale, molto in voga nel Settecento e nell’Ottocento, utilizzò infatti largamente la cicloide come decorazione, inventando congegni assai sofisticati per tracciarla su oggetti di legno o di avorio. Utilizzando treni di parecchi ingranaggi di diversa dimensione e congegni che consentivano regolazioni assai fini di angoli e di diametri, la tornitura ornamentale riuscì a realizzare disegni di incredibile complessità e di grande effetto, assai interessanti dal punto di vista matematico, e notevoli per valore estetico.

 

Il ruolo del sistema periodico degli elementi nella organizzazione della teoria chimica

Antonino Drago
Università di Pisa

È controversa la questione di quale sia il ruolo del sistema periodico degli elementi nella organizzazione della teoria chimica: una classificazione, uno strumento tassonomico, un dominio ordinato, uno schema di codificazione, una legge sperimentale, una legge teorica, un modello, un principio organizzativo, una teoria interpretativa o esplicativa. La controversia dipende dalla mancanza di una comune concezione delle organizzazioni possibili di una teoria scientifica. Sicuramente la teoria chimica non è una teoria deduttiva; ma non è chiaro in quale altro contesto teorico globale si inserisca il sistema degli elementi.
Dall’esame comparato di varie teorie scientifiche (matematiche e fisiche) ho ricavato un modello di organizzazione alternativa a quella deduttiva. La comunicazione ricostruisce allora la teoria chimica secondo questo modello, secondo il quale all’inizio si pone un problema cruciale (ovviamente qui: la scomposizione della materia in una serie di elementi) per risolvere il quale si seguono dei principi metodologici (qui: è impossibile che la materia sia divisibile all’infinito) per indurre (scegliendo quindi la logica non classica che usa frasi doppiamente negate in ragionamenti per assurdo) un nuovo metodo scientifico (qui: la analisi e la sintesi delle sostanze), i cui risultati (qui: gli invarianti a tutte le possibili scomposizioni) sono espressi con una matematica strumentalmente adeguata ai fenomeni. Il ruolo del sistema degli elementi è quindi all’interno di una organizzazione essenzialmente induttiva. Solo una volta che i risultati siano stati fissati in termini universali, essi possono essere considerati come leggi regolative o come formanti un modello ideale di organizzazione della materia, o come inizio di una teoria deduttiva che da alcuni principi sintetici si articola in varie leggi-regolarità sulle proprietà degli elementi. La particolarità del sistema degli elementi rispetto ad altre teorie scientifiche organizzate induttivamente è che gli invarianti risultanti, gli elementi, sono organizzati in una sequenza periodica.

Bibliografia
Bensaude-Vincent B. (1986), Mendeleev’s periodic system of chemical elements, Brit. J. for the Hist. Science, 19, pp. 3-17
Drago A. (1987), La chimica classica come esempio di teoria organizzata su un problema centrale, F. Calascibetta, E. Torracca (eds.), Atti II Congr. Naz. St. e Fond. della Chimica, Acc. Naz. Sci. XL, V, 12, Roma, pp. 315-326
Drago A. (2007), There exist two models of organization of a scientific theory, Atti della Fond. G. Ronchi, 62, pp. 839-856
Kultgen J.H. (1958), Philosophic conception in Mendeleev’s Principles of Chemistry, Philosophy of Science, 25, pp. 177-183
Niaz M. et al. (2004), An appraisal of Mendeleev’s contribution to the development of the periodic table, Stud. Hist. Phil. Sci., 35, pp. 271-282
Scerri E.R. (1997), Has the Periodic Table been fully axiomatized? Erkenntnis, 47, pp. 229-243
Scerri E. R. (2007), The Periodic Table, Oxford U.P., Oxford
Scerri E. R. (2010), Selected Papers on Periodic Table, Imperial College P., London

 

I quattro principi della fisica teorica e i loro ruoli nella storia

Antonino Drago
Università di Pisa

In precedenza sono stati riconosciuti quattro modelli di teoria scientifica (MTS) basati su due opzioni, le quali corrispondono ai due labirinti della ragione umana suggeriti da Leibniz. I MTS strutturano la fisica teorica mediante quattro tipi di geometria, quattro tipi di matematica e quattro maniere di ragionare in logica, delle quali i due principi di base sono quelli indicati da Leibniz: non contraddizione e ragion sufficiente.
Precedenti comunicazioni (una mia e una di R. Vella) hanno mostrato che in meccanica esistono quattro corrispondenti versioni del principio di inerzia. Inoltre recentemente O. Darrigol ha suggerito, indipendentemente, quattro formulazioni basilari della meccanica, che in un precedente lavoro ho messo in relazione precisa con i quattro MTS.
Sorge allora il problema se in corrispondenza si possano caratterizzare quattro principi primi per tutta la fisica teorica. Considerando la fisica classica, notiamo che ha avuto grande importanza il principio di Newton: f = ma, o meglio, la forza-causa. Così pure il principio dei lavori virtuali; più in generale, questo è il principio della impossibilità del moto perpetuo, principio che già nel sec. XIX Mach ha sostenuto essere più basilare di quello di Newton. Ci sono poi i principi di estremo. Infine, come quarto, il principio di Huygens. Essi possono essere messi in corrispondenza con le quattro versioni del principio di inerzia e con i suddetti quattro modelli di meccanica.
Nella storia, gli ultimi tre principi primi hanno avuto vita difficile. Quelli di estremo sono stati sempre considerati poco chiari e al più come varianti tecniche del principio di Newton. Quello di Huygens è stato applicato solo dopo la scoperta dei fenomeni della ottica fisica e poi (intendendolo come postulato di esistenza di un concetto matematico che va a iniziare una teoria) è stato posto, senza dichiararlo, alla base dell’elettromagnetismo. Al principio dei lavori virtuali non è stata riconosciuta mai quella indipendenza dal principio di Newton che un mio precedente lavoro ha dimostrato. (In più ho dimostrato altrove che la termodinamica discende dal principio dei lavori virtuali; questo fatto dimostra ancor più che i principi primi della fisica sono indipendenti dal campo dei fenomeni che una teoria va a spiegare).
Passando alla fisica moderna, notiamo che la crisi dei fondamenti del 1900 è stata affrontata dai fisici con una visione molto limitata dei principi primi (solo Poincaré nelle lezioni di St. Louis del 1904 li recupera parzialmente). Ma poi i fisici hanno dovuto ampliarla. La relatività ristretta, svalutando il principio di Newton, ha avuto come principio primo v < c, nato per analogia al principio della impossibilità del moto perpetuo; che quindi può essere considerato, più in generale, come principio di limitazione. La teoria del corpo nero di Planck ha usato un principio di estremo (dS=0) ma entro calcoli che non erano adeguati; alternativamente, ha introdotto una funzione entropia probabilistica, la quale corrisponde al principio di Huygens, inteso in senso più generale come principio di esistenza di un ente matematico sulla base dei fenomeni fisici. La successiva meccanica quantistica è nata con Heisenberg, basandosi sul principio di indeterminazione, che è un principio di limitazione. Invece la meccanica delle onde di Schroedinger è una diretta conseguenza della fisica matematica, che dipende dal principio di Newton. La meccanica quantistica di Dirac-von Neumann, che discende da un principio di esistenza matematica (la ψ), è basata su un principio alla Huygens.
Inoltre i passaggi matematici di ritorno delle teorie moderne a quelle classiche hanno mostrato che la relatività e la meccanica quantistica non possono tornare al principio di Newton; la prima torna a principi che sono validi con le interazioni solo di contatto; la seconda a quello di Huygens nella forma della esistenza della funzione H della formulazione di Hamilton-Jacobi.
Quindi di fatto la fisica moderna ha recuperato tutta la pluralità dei principi; ma ciò ancora non è stato riconosciuto, preferendosi la proliferazione del principio della forza-causa di Newton (i tanti concetti di “forza” introdotti in tutti i campi della fisica).

 

Alla ricerca di un’equazione: Dirac, Majorana e gli altri

Salvatore Esposito
Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, Sezione di Napoli

La storia delle equazioni d’onda relativistiche non si esaurisce nei ben noti contributi di Klein-Gordon e Dirac, ma si estende, nelle sue linee fondamentali, per circa vent’anni, fino alla metà degli anni ’40 del XX secolo. In questo intervento si ripercorrono le tappe fondamentali di tale storia, volta principalmente alla descrizione quantistico-relativistica di particelle con qualsiasi spin, intero o semidispari, mettendo in evidenza le caratteristiche peculiari di ciascuna equazione proposta. Oltre alla rassegna critica dei contributi noti (Klein-Gordon, Dirac, Majorana, de Broglie, Proca, Fierz-Pauli, Kemmer, Rarita-Schwinger, Bhabha e altri), saranno anche presentati alcuni contributi inediti di Majorana, contenuti nei suoi Quaderni, che hanno anticipato di alcuni anni risultati poi ottenuti indipendentemente da altri autori.

 

Macedonio Melloni e i raggi frigoriferi della Luna:
la ricostruzione di un esperimento storico

Salvatore Esposito1, Edvige Schettino2
1Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, Sezione di Napoli
2Museo di Fisica
Università di Napoli “Federico II”

Le collezioni raccolte nei musei scientifici universitari sono il segno tangibile di una storia autoctona, nello stesso tempo faticosa e pregna di indubitabile ricchezza. Nel Museo di Fisica dell’Università di Napoli “Federico II”, al fine di valorizzare la parte delle collezioni costituite da quegli strumenti che furono già utilizzati per esperienze di grande rilevanza nella storia del pensiero scientifico, si è progettata una serie di allestimenti che avessero ciascuno la durata di un esperimento. L’idea motrice è stata quella di portare gli strumenti fuori dagli armadi, di contestualizzarli rispetto all’utilizzo e alla concezione coeva alle loro costruzioni.
In questa sede presenteremo in modo sintetico l’esperimento sul potere frigorigeno dei raggi lunari, mostrando il video realizzato al Museo di Fisica. Melloni esegue l’esperimento utilizzando una grande lente rifrangente, fatta costruire a Parigi nel 1845 da H. Lepaute e tuttora conservata nel museo.
La proposizione di esperimenti storici, permette di porsi domande come: quali sono i fattori che hanno prodotto la scienza? Quali le circostanze, gli eventi o le figure che ne hanno favorito l’avvento? Quali i motivi che ne hanno ostacolata per lungo tempo la nascita?

 

Eclissi, cosmologia e diagrammi astronomici nella scienza occidentale
all’epoca di Carlo Magno: il ruolo del monaco irlandese Dungal,
maestro di nomina imperiale a Pavia

Lucio Fregonese
Dipartimento di Fisica “A. Volta” e Museo per la Storia
Università di Pavia

Il capitolare promulgato nell’anno 825 dall’imperatore Lotario (795-855), nipote di Carlo Magno, è l’unico documento ufficiale superstite sull’insegnamento superiore in Italia dalla fine dell’antichità fino all’anno 1000 circa. Vengono indicate nove città sede di istruzione e Pavia spicca tra tutte perché è la prima ad essere nominata, perché undici città, tra cui Milano e Genova, di un ampia area oggi distribuita tra Lombardia, Liguria e Piemonte devono mandarvi gli studenti e perché è l’unica ad avere un docente esplicitamente designato: il monaco irlandese Dungal.
La figura di questo antico maestro e i contenuti del suo sapere e di ciò che plausibilmente insegnò a Pavia sono rimasti a lungo sfocati per l’esiguità delle fonti, ma vari studi hanno migliorato la situazione e oggi è possibile tratteggiarla un po’ più chiaramente. Risulta in particolare che ebbe un ruolo molto significativo nello sviluppo dell’astronomia e della cosmologia nel periodo della rinascita culturale che caratterizzò l’età carolingia. Questo aspetto si aggiunge ai più noti e indagati contributi che gli vengono riconosciuti nei campi dell’esegesi, della dottrina, della letteratura e della filologia dei testi.
In questa comunicazione si riassumono i risultati dei principali studi dedicati ai contributi scientifici di Dungal e si propongono alcuni nuovi punti di vista che sembrano promettenti per un’ulteriore messa a fuoco di vari aspetti.
Nell’anno 811 Dungal rispose in una lettera (sopravvissuta) ai quesiti che Carlo Magno gli aveva da poco posto in una lettera scritta nell’810 o 811 (non sopravvissuta) sulla possibilità di una doppia eclisse di sole nell’anno 810. Una di queste eclissi (30 novembre) fu osservabile anche dalla capitale Aquisgrana, ma l’altra fu inaccessibile tanto a Occidente quanto a Oriente perché osservabile solo nel profondo Sud Pacifico. La data indicata da Dungal per questa seconda eclisse (7 giugno) si avvicina notevolmente alla data effettiva in cui essa si verificò (5 giugno) e sorge quindi il problema di spiegare su quali basi nell’Occidente carolingio fu possibile giungere a questo significativo risultato. L’interpretazione standard è che da data sia stata ottenuta con calcoli eseguiti presumibilmente a Costantinopoli e che la notizia sia poi giunta alla corte di Carlo Magno attraverso un vescovo di quella città lì presente con una delegazione diplomatica. Questa tesi viene riconsiderata tenendo conto delle nozioni relative alle eclissi che sopravvissero nel mondo occidentale attraverso passi della Naturalis historia di Plinio (23 d.C.-79) e attraverso l’incorporazione di Plinio nel De natura rerum di Beda il Venerabile (672/3-735). La risposta che Dungal diede sulle eclissi non è ancora stata analizzata in tutti i suoi risvolti. Qui si fa vedere come egli conduca la sua trattazione sulla base di varie nozioni e come quelle di origine pliniana abbiano giocato un ruolo fondamentale nelle sue argomentazioni a favore della plausibilità di un’eclisse di sole in data 7 giugno, pur senza riuscire a stabilire la sua osservabilità solo nell’emisfero meridionale. Si fa inoltre vedere come la disponibilità dei dati pliniani desse la possibilità ai dotti occidentali di inferire l’esistenza di un’eclisse di sole verso i primi di giugno e si fa contestualmente osservare come non necessariamente si debba ricorrere all’ipotesi di un’origine orientale della notizia su un’eclisse di sole in data 7 giugno. Con un ragionamento simile a quello esplicitato da Dungal, anche un dotto occidentale avrebbe potuto stabilire la data dell’eclisse e si presenta così l’interessante possibilità di un primo autonomo, anche se parziale, passo della scienza occidentale nel difficile campo del calcolo delle eclissi.
A Dungal viene oggi anche riconosciuto un ruolo chiave nell’inizio dell’uso di diagrammi geometrici nell’astronomia e nella cosmologia della scienza carolingia. L’impiego di rappresentazioni geometriche costituì un passo importante rispetto al precedente approccio di tipo aritmetico e computistico, con destinazioni prevalentemente legate al calcolo calendariale. Lo stimolo fu esercitato da Dungal attraverso la riproposizione, in una versione ampliata della lettera sulle eclissi, di brani dell’autore tardolatino Macrobio (IV-V sec. d.C.). I brani scelti contengono descrizioni che indicano come tracciare rappresentazioni geometriche della sequenza planetaria, delle fasce climatiche della terra e di corrispondenti fasce cosmologiche che, così si assume, le influenzano determinandone il clima. I dettagli dei tre differenti tipi di rappresentazione geometrica verranno discussi, approfondendo in particolare il caso dei diagrammi planetari per le interessanti connessioni con visuali allora alternative sull’ordinamento dei pianeti rispetto alla terra immaginata al centro del Cosmo.
Si affronterà infine la questione del tipo di insegnamento scientifico che Dungal plausibilmente esercitò a Pavia nella sua veste di maestro di nomina imperiale e dei luoghi della città in cui esso fu presumibilmente impartito.

Bibliografia essenziale
 Ferrari M., 1972, “In Papia conveniant ad Dungalum”, Italia Medioevale e Umanistica, 15 (1972), pp. 1-52.
 Eastwood B.S., 1994, “The astronomy of Macrobius in Carolingian Europe: Dungal’s letter of 811 to Charles the Great”, Early Medieval Europe, 3 (1994), pp. 117-134.
 Eastwood B.S., Ordering the Heavens: Roman astronomy and cosmology in the Carolingian Renaissance, Leiden-Boston, 2007.

 

“Pavia e le svolte della scienza”: storia della scienza, scienza e interdisciplinarietà in una mostra per i 650 anni dell’Università di Pavia

Lucio Fregonese
Dipartimento di Fisica “A. Volta” e Museo per la Storia
Università di Pavia

Nel 2011 ricorre il 650° anniversario della fondazione dell’Università di Pavia. Nel contesto delle varie iniziative promosse per questa importante ricorrenza, ci si è adoperati per realizzare una mostra destinata a valorizzare e a divulgare la ricchissima storia che la scienza ha avuto nell’ateneo pavese nel corso della sua plurisecolare attività come principale centro di istruzione e ricerca universitaria nell’area lombarda. Il livello e la quantità dei contributi scientifici offrivano molte opportunità, ma ponevano allo stesso tempo sfide e rischi, tra cui in primo luogo l’ansia di completezza e lo scadimento nel resoconto ipertrofico.
In questa comunicazione si presentano le principali scelte culturali e museologiche che i curatori hanno adottato nel tentativo di superare gli inconvenienti e di realizzare la mostra con un orizzonte sufficientemente ampio e in grado di trasmettere contenuti accurati in forma fruibile da parte del pubblico.
Aiutati in questo dalla grande storia del nostro ateneo, la scelta principale è stata quella di puntare non su una irraggiungibile completezza, ma sul racconto di “punti di svolta” di valore universale che il sapere scientifico ha avuto tra queste mura. Oltre ai più noti casi dell’invenzione della pila di Alessandro Volta, vero e proprio evento rivoluzionario in grado di dare origine ai nuovi domini dell’elettrochimica e dell’elettromagnetismo, e alla “reazione nera” di Camillo Golgi, recentemente definita la “stele di Rosetta” delle neuroscienze, si sono così considerati altri punti di svolta meno conosciuti, ma non per questo meno importanti, nei campi della matematica, della fisiologia, della biologia, dell’anatomia e della medicina.
Un secondo criterio guida è stato il tentativo di tracciare linee di continuità con il presente, dando un’idea di come, seppure in forma diversa e attraverso le complessità dello sviluppo storico-scientifico, i contributi originari rivivano in concetti e applicazioni chiave della scienza odierna. Nel caso di Volta si è cercato ad esempio di mostrare come la sua idea dell’elettricità di contatto, alla base dell’invenzione della pila, possa essere considerata la lontana progenitrice dell’odierno “effetto Volta” e delle importanti applicazioni tecnologiche che lo sfruttano, tra cui in primo luogo la generazione dell’elettricità fotovoltaica. Questo dà l’opportunità di far riflettere il visitatore sulle radici storiche della conoscenza scientifica e allo stesso tempo sui fertili frutti che incontra nella vita di tutti i giorni e dei quali non sempre riusciamo ad avere piena consapevolezza. Un percorso simile è stato proposto nel caso dell’importante concetto biologico della “staminalità”, prendendo le mosse dagli esperimenti di Lazzaro Spallanzani sulla rigenerazione degli arti delle salamandre, passando attraverso la teoria “emoistioblastica” di Adolfo Ferrata all’inizio del Novecento e giungendo sino al presente. Nel caso della matematica l’attenzione è stata focalizzata in modo particolare sui contributi che Eugenio Beltrami diede allo sviluppo delle geometrie non euclidee e sulle successive importanti applicazioni che queste hanno avuto e continuano ad avere nella cosmologia.
I curatori della mostra hanno coordinato il lavoro entusiasta di diversi colleghi esperti delle varie discipline sia dal punto di vista storico che scientifico. L’allestimento è stato realizzato integrando insieme numerosi materiali dello straordinario patrimonio di strumenti, libri e documenti che l’Università di Pavia custodisce e utilizzando inoltre diversi “exhibit” dimostrativi e interattivi nel tentativo di facilitare la comunicazione e di rendere maggiormente partecipi i visitatori. Oltre che nella realizzazione espositiva, i risultati della collaborazione sono stati offerti al pubblico in un volumetto che, volutamente, non ha preso la forma del catalogo, ma di una raccolta di agili saggi di storia e di scienza per ciascuna delle sette sezioni della mostra.

Bibliografia essenziale
P. Mazzarello, L. Fregonese (a cura di), 2011, Pavia e le svolte della scienza, Pavia 2011.

 

La cristallografia di Haüy alla luce delle due opzioni

Rossella Fucci, Istituto Istruzione Superiore “Montessori-da Vinci”, Porretta Terme (BO)
Antonino Drago, Università di Pisa

Lo studio di molte teorie scientifiche ha individuato alla loro base due opzioni fondazionali. Esse riguardano a) la organizzazione logica della teoria, o assiomatica o basata su di un problema centrale; e b) il tipo di matematica usata, o con la scelta dell'infinito attuale o quello solo potenziale.
Le teorie scientifiche con le seconde scelte presentano delle somiglianze: 1) non usano assiomi generali dai quali fare discendere i teoremi, ma si basano su un problema centrale e argomentano mediante frasi doppiamente negate che non sono equivalenti alle frasi positive corrispondenti, cioè seguono la logica non classica; 2) utilizzano una matematica elementare; 3) compiono cicli di ragionamento alla L. Carnot, cioè introducono una variabile ausiliaria per generalizzare il sistema in esame che poi, una volta trovata la soluzione, viene eliminata; oppure, hanno le simmetrie come tecnica matematica.
La teoria dei cristalli di Haüy nata nel 1784 è la prima teoria con le simmetrie (a parte la meccanica di L. Carnot 1783). Infatti la teoria di Haüy è caratterizzata dalle due scelte precedenti, e presenta tutte le caratteristiche su indicate. Il suo problema generale era quello di spiegare la forma dei cristalli. Inoltre essa ragionava per mezzo di frasi doppiamente negate, di cui si fornisce l’elenco. Haüy propose di considerare i cristalli come costituiti da particelle poliedriche a facce piane, che chiamò molecole integranti. Per ogni data sostanza esse erano ipotizzate uguali, tutte ugualmente orientate e accostate le une alle altre in modo da riempire tutto lo spazio. Esse avevano lo stesso ruolo delle variabili ausiliarie di Carnot: erano aggiunte al sistema con lo scopo di risolvere il problema specifico (qual è la legge di accrescimento del cristallo) e alla fine scompaiono per lasciare solo il cristallo reale. Inoltre, l’intera teoria può essere ricostruita secondo un ciclo di ragionamento alla Carnot, del quale tutti i passaggi possono essere rintracciati nell’opera di Haüy. Per poter dedurre la forma macroscopica di un cristallo a partire da una molecola integrante, Haüy introdusse a parole la legge di decrescimento degli orli, che è basata sui soli numeri razionali; almeno in un caso essa può essere espressa con una semplice formula di matematica ricorsiva.

 

Le ricerche sulla storia del paradosso di Einstein-Podolsky-Rosen dal 1965 al 1995

Augusto Garuccio, Dipartimento Interateneo Università di Bari Aldo Moro
Angela Laurora, Dottoranda in Storia della Scienza, Seminario di Storia della Scienza,
Università di Bari “Aldo Moro”

Si vogliono presentare i primi risultati del progetto che intende ricostruire ed organizzare la storia delle ricerche, dell'indagine sperimentale e del dibattito che si sono sviluppati intorno al paradosso di Einstein-Podolsky-Rosen specificatamente nel periodo dal 1965 al 1995 a seguito del teorema di John Bell. Il lavoro, per una precisa scelta progettuale e metodologica, riguarda sia l’analisi di fonti primarie non ancora esaminate, come le corrispondenze tra gli scienziati protagonisti del dibattito e della realizzazione degli esperimenti, sia la raccolta di ricordi e testimonianze di interlocutori di riferimento del periodo in esame.

 

Thomas Harriot, l’inerzia e la scienza moderna

Enrico Giannetto
Università di Bergamo

Nel 2008, Matthias Schemmel ha pubblicato due importanti volumi, dal titolo: The English Galileo. Thomas Harriot’s Work on Motion as an Example of Preclassical Mechanics. 1: Interpretation. 2: Sources. Si tratta forse del primo lavoro sistematico sui manoscritti sul moto di Harriot e che mette a disposizione tali manoscritti per la prima volta in forma di volume. Nonostante ciò, vi è il rischio che l’interpretazione proposta da Schemmel sia più dannosa che meritoria. Fin dal titolo, si può comprendere quanto la sua prospettiva storiografica sia fuorviante: al di là della sua identificazione retorica e anacronistica che collega Harriot a Galileo, l’invenzione e l’uso della categoria storiografica di “meccanica pre-classica” in cui inquadrare il caso di Harriot sono degli anacronismi del tutto destituiti di fondamento. In questo studio, mi soffermerò in particolare sui passi dei manoscritti correlati alla questione dell’inerzia per decostruire l’interpretazione di Schemmel e per fare una riflessione generale sull’opera di Harriot e sul suo significato nella storia della scienza.

 

Il cavo Otranto-Valona e le origini della telegrafia sottomarina in Italia

Roberto Mantovani
Gabinetto di Fisica: Museo urbinate della Scienza e della Tecnica
Università di Urbino “Carlo Bo”

Questa comunicazione nasce dal fortuito ritrovamento, in un deposito della Biblioteca Oliveriana di Pesaro, di una piccola cassetta di mogano, con sportello in cristallo, contenente tre campioni di un cavo telegrafico sottomarino costruito per il governo italiano dalla ditta Henley di Londra e che, nel 1864, servì a collegare telegraficamente i porti di Otranto e Avlona (oggi Valona, Albania). In Italia, grazie ad un accordo tra la Francia e il Governo piemontese, la posa del primo cavo telegrafico sottomarino si ebbe nel 1854 per collegare La Spezia alla Corsica. Seguirono diverse altre pose che videro l’attiva partecipazione, oltre che degli Stati Sardi, anche del Regno delle Due Sicilie. La relazione prenderà in esame il decennio 1854-1864 che segnò il debutto della telegrafia sottomarina in Italia.

 

Sulla Dissertazione lunare di Ruggiero Giuseppe Boscovich

Massimo Mazzoni
Dipartimento di Fisica ed Astronomia
Università di Firenze

Verso il 1750, l’astronomo croato si impegnò in un’analisi riguardo alla presenza di atmosfera sulla Luna, lavoro che considerò come un punto di convergenza dei suoi precedenti studi di Fisica, Astronomia ed Ottica. Boscovich conduce un’estesa disamina anche dei lavori degli altri scienziati dell’epoca, da Huygens e Grimaldi a Newton. Qui se ne valutano le conclusioni, ricavate da varie considerazioni geometriche ed anche da esperimenti di ottica condotti in laboratorio.

 

Il microscopio come strumento di misura

Giorgio Mirandola
Università di Bergamo

In questa comunicazione è esaminata la storia del microscopio utilizzato non solo per vedere degli oggetti, ma anche per misurarli esattamente. Questo è possibile in due modi: applicando un micrometro all’oculare, o dotando il tavolino portaoggetti di movimenti accuratamente misurabili. Il primo microscopio di questo tipo costruito per il Duca di Chaulnes intorno alla metà del Settecento, possiede entrambi i dispositivi, ed è perciò assai interessante dal punto di vista tecnologico e scientifico. La scarsa qualità ottica dei microscopi settecenteschi impediva però di sfruttare pienamente le possibilità dello strumento. Nell’Ottocento il microscopio raggiunse grandi livelli di precisione ottica e meccanica, ma non fu molto utilizzato per misure. L’industria Novecentesca lo ha invece impiegato con una certa abbondanza, in tipologie a volte estremamente complesse e sofisticate. Per molti anni leader mondiale in questo tipo di prodotto è stata la Zeiss. Oggi anche alcune case giapponesi offrono microscopi di misura di buona qualità. Il microscopio è utilissimo sia per misurare oggetti molto piccoli, invisibili ad occhio nudo, sia per misurare oggetti più grandi, normalmente visibili, ma con un grado di precisione non raggiungibile senza di esso: i microscopi di misura più moderni permettono di misurare lunghezze anche di parecchi centimetri con la precisione di un micron.

 

Il modello meccanico dei corpi solidi della fisica di Democrito

Angelo Pagano
INFN-Sezione di Catania e Dipartimento di Fisica e Astronomia
Università di Catania
Associazione culturale Salvatore Notarrigo
MONDOTRE - La Scuola Italica

In una precedente comunicazione ho discusso il modello meccanico di Democrito di Abdera evidenziandone i caratteri di modernità[1]. In sintesi, è emerso come la fisica democritea sia stata un’anticipazione coerente della fisica di Archimede-Galileo-Newton. In questa nota viene analizzato in maggior dettaglio il concetto di solido (pieno) in relazione agli effetti misurabili della “realtà sensibile”. La realtà sensibile (misurabile) è l’effetto del moto di atomi (solidi) che si muovono in linea retta nello spazio vuoto. Tale moto rettilineo è modificato localmente dagli urti tra atomi (clinamen epicureo). Il modello democriteo assume un universo stazionario in cui si conserva globalmente (ma non localmente) sia l’energia meccanica (di traslazione e di rotazionale) che la funzione di stato entropia. L’interazione a “realtà sensibile”, effetto dell’interazione locale. La legge dell’inverso del quadrato della distanza, di tipo gravitazionale, nascerebbe naturalmente come effetto di assorbimento di materia solida da parte dei corpi composti ed interposti. Importanti tentativi di interpretare la legge di gravitazione con il modello meccanico sopra esposto si sono stati registrati in passato (Fatio de Duillier, Le Sage)[2].

[1] A. Pagano, Teoria fisica e modelli concreti in Democrito; Quaderni CE.R.CO., Atti XXVII Congr. Naz. SISFA-2007- a cura di E. Giannetto, G. Giannini e M. Toscano, pag. 33.
[2] Fatio de Duillier, “De la cause de la pesanteur”,1690;vedi: Pushing Gravity: New perspectives on Le Sage’s theory of gravitation, Matthew R. Edwards (ed.), ISBN 0 -9683689-7-2

 

Intorno a Eusapia: Ermacora, Schiaparelli e l’indagine sul paranormale

Massimo Rizzardini
Dipartimento di Filosofia
Università degli Studi di Milano

È il 27 marzo 1895 quando Giovanni Schiaparelli firma di sua mano una nota intitolata La mia opinione attuale sui fenomeni dello spiritismo. Sono passati dieci anni esatti dal debutto sulle scene della medium Eusapia Palladino, consacrata dai pubblicisti, dai poligrafi (vedi Roberto Bracco Lo spiritismo a Napoli) e talvolta dagli scienziati. Il caso, da napoletano, diviene nel 1892 milanese e gli attori si moltiplicano. Le numerose sedute medianiche della Palladino riuniscono intorno al tavolo esponenti dell’alta cultura e del mondo accademico. Con Schiaparelli, Lombroso e Richet, ci sono anche i fisici Giovanni Battista Ermacora, Giuseppe Gerosa e Giorgio Finzi: l’applicazione del metodo sperimentale ai “fenomeni psichici”, che Ermacora rivendica come obiettivo primario di queste sedute, è solo il primo stadio di un lungo e complesso dibattito che muoverà controverse pagine di studio e accenderà, negli anni successivi, violenti attacchi e imbarazzanti prese di posizione. Autore del volume La telepatia, Ermacora in particolare fece tesoro della riflessione di Schiaparelli (“non bastano i criteri ordinari della filosofia naturale … ma occorrono strumenti più audaci e più potenti di cui fanno uso gli ufficiali di polizia”) nella prospettiva di un attento e scrupoloso esame dei fenomeni, contro quelle che chiamò “le ipotesi affrettate”.

René Thom: forme, catastrofi e complessità

Arcangelo Rossi
Dipartimento di Fisica
Università del Salento

Secondo René Thom (1923-2002), il normale lavoro di rifinitura/applicazione di teorie matematiche è cosa diversa dalla sua teoria delle catastrofi, grande quadro interpretativo ed esplicativo della struttura della realtà in termini matematici topologico-qualitativi. Contro la concezione puramente quantitativa della matematica come mero strumento di calcolo e di previsione, egli sosteneva una concezione della stessa riconciliata con la metafisica quale schema esplicativo universale. Thom utilizzava cioè, al pari di Aristotele, il concetto di bordo o confine per definire le realtà individuali mediante le forme che le definiscono, rappresentabili in termini geometrico-topologici.
La realtà si manifesterebbe quindi attraverso le forme distintive che essa assume, Queste forme permettono altresì di costruire analogie tra una cosa e l’altra, tra un concetto e l’altro. Thom studiò a partire da qui il passaggio continuo tra spazi anche di diversa dimensione (questa ricerca sul “cobordismo” gli fruttò nel 1958 la medaglia Fields), fino ad individuare poche forme universali che rappresentano catastrofi o transizioni brusche, ma pur sempre continue, di forme.
Lo studio delle forme in situazioni irregolari, accidentali e perfino caotiche aveva per la verità portato già prima (cfr. J. H. Poincaré e J. Hadamard, tra ‘800 e ‘900) ad individuare evoluzioni catastrofiche strutturalmente invarianti in termini di divergenze dovute a dipendenza sensibile da piccole variazioni delle condizioni iniziali. Il problema è che in tali casi non vi sono leggi esatte ma solo tendenze evolutive asintotiche che non permettono predizioni esatte. Conviene quindi procedere dall’osservazione globale delle grandi strutture alla loro descrizione locale sempre più fine. Sempre più si constata infatti una complessità, se si vuole definire la realtà scientificamente: la scienza cerca infatti soluzioni, ma si trova spesso di fronte ad aporie che le rivelano illusorie.
La teoria delle catastrofi fornisce dunque un modello o meccanismo qualitativo piuttosto che equazioni che descrivano e prevedano quantitativamente cambiamenti, non essendo scontato che matematizzare significhi quantificare piuttosto che porre relazioni in generale. A tal proposito, una analogia è una relazione qualitativa e può essere espressa anche, sebbene mai del tutto, matematicamente. Ad esempio, dire con Aristotele che la sera è la vecchiaia del giorno o che la vecchiaia è la sera della vita, significa elaborare un’analogia in due formulazioni, di cui la seconda si impone tuttavia come più convincente della prima, nonostante la semplice uguaglianza fra due rapporti che l’analogia esprime dal punto di vista puramente matematico La filosofia, che qui si esprime, è per Thom più difficile della matematica usata. Alla base della sintesi fisico-matematica c’è comunque per Thom una metafisica che realizza un bisogno universale di unificazione.

Bibliografia
René THOM, Prédire n’est pas expliquer, Eshel, Paris 1991, (seconda edizione: Flammarion, Paris 1993); prima edizione italiana (a cura di Angelo GUERRAGGIO e Pietro NASTASI): Prevedere non significa spiegare, “PRISTEM/Storia. Note di matematica, storia e cultura”, 1996, n. 10-11; seconda edizione italiana (a cura di Giuseppe DE CECCO, Giuseppe DEL RE e Arcangelo ROSSI): Prevedere non è spiegare, Quaderno 3/2008 del Dipartimento di Matematica “Ennio De Giorgi” dell’Università del Salento, Lecce 2008.
René THOM, Stabilità strutturale e morfogenesi. Saggio di una teoria generale dei modelli, Torino, Einaudi, 1980.
René THOM, Les Mathématiques dans la science de la nature, in Elisabetta Donini, Arcangelo ROSSI, Tito TONIETTI (a cura di), Matematica e fisica. Struttura e ideologia, Bari, De Donato, 1977.

 

Due originali esercizi del giovane Majorana

Giovanni Salesi
Facoltà di Ingegneria
Università di Bergamo

Un paio di esercizi del Majorana studente universitario, riportati nel Volumetto I del 1927, appaiono sufficientemente generali da poter essere applicati anche in ambiti più specificamente “biologici”. La trattazione, pur semplice e pedagogica, è del tutto originale, e l’interesse di Majorana per quei temi e metodi potrebbe non essere stato di ordine esclusivamente didattico.

 

La meridiana di Temistocle Zona a Castiglione di Sicilia

Maria Luisa Tuscano
Membro SAIt, SIA e SISFA

Questo strumento, descritto accuratamente dal suo progettista, Temistocle Zona (1848-1910), nelle diverse fasi costruttive, costituisce un’efficace testimonianza dell’evoluzione del Tempo vero nel Tempo medio nell’ambito di una peculiare identità oraria goduta dalla Sicilia prima della Conferenza Internazionale del 1884.



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