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LA VIA ISTOLOGICA ALLA NEUROBIOLOGIA    
Nato a Corteno (oggi Corteno Golgi), un piccolo paese montano dell’alta Valcamonica nell’estremo Nord della Lombardia austriaca, Golgi era il terzo dei quattro figli del medico del paese, Alessandro, di origini pavesi. Dopo gli studi primari e quelli liceali, si era iscritto all’Università di Pavia con la «sola aspirazione di conseguire regolarmente il […] diploma professionale» per esercitare la professione medica così come il padre aveva fatto tanti anni prima (1). Dopo la laurea, ottenuta il 7 agosto 1865, Golgi non riuscì a trovare immediatamente la sua strada. Riformato dal servizio militare per gracilità, iniziò a operare come medico civile per la sanità dell’esercito e venne impiegato nella lotta contro il colera con base operativa a Zavattarello (un piccolo paese in provincia di Pavia); per un breve periodo lavorò nell’Ospedale di Novara come chirurgo, alla fine riuscendo a ottenere un modesto impiego come medico secondario effettivo (in sostanza medico a contratto) presso l’antico Ospedale di San Matteo di Pavia. A seconda delle esigenze sanitarie venne impiegato nel reparto chirurgico, nel piccolo reparto psichiatrico e nel sifilocomio. Deve risalire a questo periodo l’esperimento che Golgi fece (probabilmente nel reparto sifilopatico) «per risolvere il problema della trasmissibilità della sifilide col latte di donna infetta, mediante cioè la inoculazione su sé stesso di latte di donna sifilitica» (2). Un esperimento singolare di cui, purtroppo, non esiste alcun resoconto scientifico conosciuto.
Intanto Golgi entrava nell’orbita scientifica di Cesare Lombroso, docente all’Università di Pavia e responsabile del reparto psichiatrico ospedaliero, che sarebbe diventato internazionalmente noto per le sue teorie antropologiche su genio, follia e criminalità. L’incontro con Lombroso costituì certamente un punto di svolta nella vita scientifica di Golgi. Lo psichiatra era un uomo dalla spiccata originalità, conosciuto fin da quando, a vent’anni, aveva pubblicato un saggio Su la pazzia di Cardano in cui già delineava alcuni temi che lo faranno diventare in pochi anni una delle figure preminenti della cultura psichiatrica e medico-forense italiana. La passione per l’indagine scientifica del brillante professore dovette avere un effetto contagioso, perchè apriva su orizzonti sconfinati. Dopo tante speculazioni sembrava allora a portata di mano un programma di lavoro che prometteva enormi sviluppi nella conoscenza dell’encefalo, l’organo più affascinante dell’intero dominio biologico.
Le malattie neuropsichiatriche si liberavano della zavorra della “metafisica”, il cervello cessava di essere “l’organo dell’anima” per diventare, più modestamente “l’organo della psiche”. Così l’elemento strutturale, il dato anatomico e antropometrico diventava la via attraverso cui esplorare la biologia delle “alienazioni mentali”. Interessi che ben presto catturarono Golgi, ancora incerto sulla via da seguire. Spesso Lombroso attorno al 1867-68 fece riferimento a Golgi, ricordato nelle pubblicazioni come collaboratore zelante e talvolta come «l’amico Golgi», che si sobbarcava molto del lavoro di routine del reparto psichiatrico. Tuttavia l’astro di Lombroso iniziò presto a tramontare dall’orizzonte del giovane medico; lo psichiatra affermava una cosa e ne faceva un’altra, si dichiarava fermamente aderente al metodo sperimentale, ma il suo modo di procedere era senza rigore. Tutto andava bene per confermare le sue teorie. Invece di procedere su base induttivistica, “raccogliere i fatti”, e poi costruire delle interpretazioni, come voleva l’epistemologia positivistica dell’epoca, Lombroso veniva folgorato da intuizioni brillanti, ma spesso strampalate, che diventavano il “filtro” attraverso cui selezionare i dati sperimentali. Golgi che aveva il senso pratico, o potremmo dire il buon senso, dei montanari, non poteva certamente approvare questi metodi, anzi questa mancanza di metodo. Il tramonto di Lombroso si accompagnò al sorgere di un nuovo astro scientifico nella Pavia dell’epoca: Giulio Bizzozero (3) .
Nato a Varese, di tre anni più giovane di Golgi, Bizzozero si era laureato in medicina nel 1866, all’età di vent’anni, passando rapidamente dal banco degli studenti alla cattedra di docente di patologia generale in sostituzione del professore titolare, Paolo Mantegazza, che era stato eletto deputato nel Parlamento nazionale. Bizzozero aveva la capacità magnetica di attrarre nell’orbita della sua potente personalità chiunque avesse interesse per la ricerca scientifica. Tutto in lui impressionava: l’eloquio, i gesti rapidi, il modo affascinante di far lezione presentando gli argomenti come un sapere in divenire, in ciò straordinariamente diverso da un ambiente accademico dove la scienza era ancora insegnata come una verità da porsi ex cathedra. L’incontro con Bizzozero fu certamente l’evento determinante per lo sviluppo della futura personalità scientifica di Camillo Golgi. Dal giovanissimo docente, anima e guida del Laboratorio di Patologia Sperimentale (in seguito Patologia Generale) ubicato nel Palazzo dell’Orto Botanico, egli acquisì la conoscenza delle tecniche istologiche che adotterà e non abbandonerà per il resto della sua vita.
Se fu dunque Lombroso che accese in Golgi la passione per il sistema nervoso, fu tuttavia Bizzozero a catalizzare la sua personalità scientifica, dotandola di un metodo di lavoro e facendogli scoprire la via istologica alla neurobiologia. Da quel momento, e per diversi anni, il sistema nervoso diventò meta preferita dei suoi studi, così come le tecniche istologiche costituirono mezzo privilegiato (anche se non esclusivo) del suo modo di far ricerca.
Nel tempo che gli lasciava libero l’impegno ospedaliero nel reparto di Lombroso, Golgi incominciò a frequentare il Laboratorio di Patologia Sperimentale. Intanto iniziava a pubblicare i suoi primi lavori scientifici tra cui il saggio scritto sotto l’influenza delle nuove dottrine antropologiche lombrosiane Sull’eziologia delle alienazioni mentali. Sempre più stretto diventava comunque il rapporto con Bizzozero; i due abitarono anche nello stesso stabile (per un certo periodo vi abitò anche Lombroso) ed è presumibile che quelle sere al lume di candela passassero velocemente a discutere di scienza in un periodo in cui Charles Darwin aveva sconvolto gli ambienti culturali mondiali con la sua teoria dell’evoluzione. Sotto la guida di Bizzozero, Golgi pubblicò i suoi primi lavori istologici: un notevole studio sulla glia, che rappresenta il suo primo rilevante contributo all’istologia e alla neurobiologia, e un lavoro sui linfatici del cervello nel quale utilizzò, oltre al bicromato di potassio, il nitrato d’argento per lo studio delle membrane dell’encefalo. Sono i due reagenti che, usati in successione, gli avrebbero permesso la messa a punto della reazione nera.
Iscrittosi all’università con la «sola aspirazione di conseguire regolarmente il […] diploma professionale» per esercitare la professione medica così come il padre Alessandro aveva fatto tanti anni prima, Golgi aveva ormai profondamente modificato i suoi interessi di vita e la ricerca scientifica era diventata una vocazione profondamente sentita. Purtroppo però non vi erano possibilità di impiego nell’ambiente accademico pavese. La facoltà medica, è vero, gli conferì un incarico di insegnamento in “Microscopia Clinica” e le soddisfazioni scientifiche non mancavano; i suoi primi lavori erano stati citati e riassunti nella letteratura tedesca e inglese, la «Rivista Clinica» di Bologna lo incluse nel comitato di redazione fin dal 1870. Ma ciò che mancava, soprattutto nella considerazione del padre Alessandro, che come tutti i pavesi mirava al sodo, era un impiego adeguatamente remunerato. Così a ventott’anni, pressato da quel genitore con i piedi per terra, Camillo Golgi si sentiva forzato a trovare un posto sicuro e ben pagato, anche a costo di abbandonare il miraggio dell’Università e di tradire la passione per la ricerca scientifica (4).


(1) Mazzarello 1993.
(2) Cfr. quanto riportato dalla «Gazzetta Medica Italiana», 1902, pp.431-40 e nell’articolo L’opera scientifica di Camillo Golgi, in «Giornale di Sicilia», 19-20 novembre 1906.
(3) Mazzarello et al. 2001.
(4) Mazzarello 1999; Mazzarello 2006
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